Guerra in Siria, la vergogna delle armi chimiche non risparmia nessuno
Le immagini degli attacchi chimici in Siria fanno il giro del mondo e diventano la bilancia della politica estera di Usa, Gran Bretagna e Francia, da un lato, e della Russia, dall'altro. Nel mezzo i civili siriani, che continuano a morire a migliaia, tra cui tanti bambini. Domani via alle ispezioni di Onu e Opac, ma nessuno pare intenzionato ad aspettare
Un nuovo presunto attacco con armi chimiche in Siria, lanciato la notte del 7 aprile su Douma, città alla periferia est di Damasco, ha riportato l’attenzione dell’opinione pubblica su una guerra che si protrae da più di 7 anni. Un conflitto che ha provocato circa 511 mila vittime, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, più di 5 milioni e mezzo di profughi e oltre 6 milioni di rifugiati interni secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
Anche se a far parlare di una regione ormai martoriata e al limite del collasso non sono più tanto i morti o i migranti che si spingono sulle coste europee, ma il contrattacco aereo che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha deciso di sferrare contro il regime di Bashar al-Assad, accusato dagli attivisti antigovernativi di aver utilizzato il gas sarin per colpire l’ultima città in mano ai ribelli nella regione della Ghouta orientale.
Immagini di bambini morti in Siria e la mossa di Trump
Le immagini dei corpi ammassati, tra cui anche quelli di molti bambini, nelle cantine o nei rifugi, irrigiditi, con gli occhi spalancati e la schiuma bianca alla bocca, hanno fatto il giro del mondo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sarebbero oltre 70 le vittime e almeno 500 i feriti che hanno riportato sintomi coerenti con l’esposizione a sostanze tossiche.
Se da un lato il governo siriano ha negato di essere il responsabile di questo orrore, appoggiato dall’alleato russo, dall’altro Trump ha trasformato l’utilizzo delle armi chimiche in Siria nel nuovo ago della bilancia della politica estera americana. Una decisione presa a poco più di una settimana dal suo stesso annuncio di voler ritirare le truppe a stelle e strisce dal suolo siriano. Una mossa che, a inizio aprile, aveva creato non pochi attriti tra l’amministrazione e i vertici del Pentagono.
Raid Usa, Francia, Gran Bretagna contro armi chimiche
Donald Trump ha ordinato di bombardare la Siria in diretta tv, in un discorso pronunciato intorno alle 21 del 13 aprile (le 3 di notte in Italia), in cui ha precisato che gli attacchi aerei sarebbero stati fatti in coordinamento con Francia e Gran Bretagna, con l’obiettivo di colpire tre strutture strategiche del governo di Damasco.
«Lo scopo delle nostre azioni stasera – ha detto il presidente Usa – è stabilire un forte deterrente contro la produzione, la diffusione e l’uso di armi chimiche».
Anche se di prove certe, al momento, non ce ne sono o, se ci sono, non sono state rese ancora pubbliche. E anche se, più o meno un anno fa, il 4 aprile del 2017, lo stesso Trump aveva già lanciato un’altra offensiva contro il regime di Damasco, sempre a causa di un bombardamento chimico compiuto a Khan Shaykhun, provincia siriana di Idlib, che provocò la morte di almeno 74 persone, la maggior parte delle quali civili.
Gli attacchi chimici nella storia della guerra in Siria
Douma, infatti, non è il primo centro ad essere attaccato con delle armi chimiche nella storia della guerra civile siriana. Secondo la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta Onu sulla Siria, dal 2013 ad oggi sono stati almeno 34 gli interventi con gas tossici, della maggior parte dei quali Assad è ritenuto il responsabile. Human Rights Watch ne ha invece contati 85, di cui 50 collegati al regime siriano.
Quello di Khan Sheikhoun è stato il più importante, dopo che il governo di Damasco aveva aderito alla Convenzione sulle armi chimiche nell’ottobre 2013, che prevedeva la distruzione dell’arsenale. Un’adesione arrivata dopo gli attacchi chimici a Ghouta, il 21 agosto 2013.
Le stime delle vittime non sono ancora state del tutto accertate, ma si parla di cifre che si aggirano intorno alle 1.400. In quell’occasione la famosa “linea rossa” tracciata da Barack Obama nell’agosto del 2012, quando il presidente dichiarò che «l’impiego di armi chimiche avrebbe rappresentato per gli Stati Uniti un limite tale da rivedere la scelta di non intervenire in Siria», fu dichiaratamente superata. Ma dopo l’annuncio di un imminente attacco militare contro Damasco, alla fine Obama decise di astenersi.
Siria: cosa sta accadendo al Consiglio di Sicurezza Onu
Dopo la tempesta di missili “intelligenti” di Trump, lo scontro dal campo di battaglia si è spostato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Lo stesso organo attraverso il quale la Russia ha più volte posto il veto per difendere l’alleato Assad proprio sulla questione delle armi chimiche. Come quello del 16 novembre 2017 su una risoluzione promossa dagli Stati Uniti per rinnovare i lavori del Joint Investigative Mechanism (Jim), il meccanismo congiunto formato da Onu e Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) che indaga sui responsabili degli attacchi chimici in Siria.
Sabato 14 aprile, l’ambasciatore all’Onu del Cremlino, Vasily Nebenzya, si è presentato al Palazzo di Vetro per schierarsi di nuovo dalla parte del regime di Damasco, chiedendo la condanna della «aggressione armata occidentale» contro la Siria, ma questa volta ha incassato una netta bocciatura, con tre voti a favore, otto contrari e quattro astenuti.
In tutta risposta, Usa, Francia e Gran Bretagna hanno rilanciato chiedendo all’Onu una risoluzione per rivedere i metodi investigativi relativi all’utilizzo di armi chimiche e minacciato nuove sanzioni contro Mosca.
Nessuna soluzione per il conflitto dopo 7 anni di guerra
Se Obama aveva optato per il dialogo, Trump ha scelto di soffiare sui venti di guerra, anche se la sua decisione si è basata su una presunzione di responsabilità. Gli ispettori dell’Opac, infatti, raggiungeranno Douma, teatro del presunto attacco chimico attribuito alle forze del regime siriano, solo mercoledì 18 aprile. Il capo dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha confermato che il lavoro di ispezione non è potuto cominciare, perché Russia e Siria ritengono non ci siano le «condizioni di sicurezza».
Spetterà a loro il compito dimostrare l’uso di gas da parte di Assad. Ma Trump, Macron e May non hanno voluto aspettare, convinti che a Douma cloro e sarin siano stati davvero usati dalle forze di Damasco.
Siria oggi: il commento di Human Rights Watch
La storia degli ultimi anni ha dimostrato che né l’approccio diplomatico di Obama, né quello aggressivo di Trump, né quello protettivo della Russia si sono rivelati efficaci nella risoluzione di un conflitto dove le armi chimiche sono ormai diventate lo spauracchio delle superpotenze, che da anni sanno ma che per anni hanno lasciato correre.
«In Siria – ha detto il responsabile di Human Rights Watch del Medioriente, Lama Fakih, giusto qualche giorno prima dell’attacco di Douma – il governo sta usando armi chimiche che sono vietate nel resto del mondo senza pagare nessuna conseguenza. Un anno dopo il terribile attacco con il sarin a Khan Sheikhoun, né il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite né l’Opac non si sono ancora mossi per far rispettare il divieto di ricorrere a questi mezzi».