Palestina tra occupazione israeliana e divisioni interne
La Palestina oggi è divisa dentro e fuori. Se da una parte si parla delle uscite di Trump e dei suoi rapporti con Netanyahu, dall'altra restano profonde crepe tra la dirigenza palestinese: Hamas da una parte, Olp dall'altra. In mezzo il popolo che ne subisce le conseguenze. A partire dalla Striscia di Gaza, una «prigione a cielo aperto»
Staremo a vedere se Donald Trump manterrà la promessa. A maggio, dichiarazione del presidente degli Stati Uniti, l’ambasciata americana di Tel Aviv dovrebbe spostarsi a Gerusalemme. Decisione che lascia indifferente l’intellighenzia israeliana, secondo cui la capitale dello Stato Gerusalemme è, e Gerusalemme resta. Ma che ha ulteriormente inasprito gli animi dei palestinesi, soprattutto a Gaza.
La situazione nella Striscia di Gaza, racconta chi ci vive, non è mai stata peggio di ora. Una prigione-discarica a cielo aperto. Dove tutti hanno paura di tutto. E dove Hamas continua a soffocare i diritti umani, soprattutto quelli legati alle donne e alla libertà d’espressione.
Israele nel mondo: Netanyahu, Trump e gli altri
Una decina di giorni fa, Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, in carica da più di due decenni e inseguito da molteplici indagini per corruzione, è volato in sordina a Washington per incontrarsi con l’amico Trump. A supportarlo si è attivato il genero Jared Kushner, che ha trascorso una nottata in compagnia del suo coetaneo, Mohamed Bin Salman, erede al trono e governante di fatto dell’Arabia Saudita, primo esportatore al mondo di petrolio.
A fronte di una partita a poker giocata tra quattro potenti, c’è un popolo, arabi ed ebrei, che lotta per la sopravvivenza, per crescere e porre fine a un conflitto che ormai non ha più senso di esistere.
Il fronte interno tra ortodossia ebraica, Hamas e Olp
Netanyahu annaspa e si attacca alla destra più estrema, l’unica ormai che può sostenerlo. L’ortodossia ebraica e gli Stati Uniti sono i suoi alleati. Hamas spadroneggia a Gaza, con una popolazione allo stremo e terrorizzata. In Cisgiordania l’Olp ha come presidente un vecchio e stanco Abu Mazen, che sta pensando di lasciare il timone al suo delfino, il figlio di Arafat.
Si fa strada intanto, sia in Israele sia in Palestina, una nuova generazione che vorrebbe la pace e che non è per nulla interessata a continuare un conflitto senza senso. Sono i giovani a parlarne, ai quali spesso non si dà voce.
Striscia di Gaza e Cisgiordania: la Palestina oggi divisa
L’ultimo attentato è di martedì 13 marzo. Il convoglio su cui viaggiava il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Rami Hadallah, è stato colpito da una bomba. Illeso lui, ma gravemente ferite sette persone del suo gruppo. Arrivavano da Ramallah, in Cisgiordania, e stavano viaggiando nella Striscia di Gaza per incontrare i vertici di Hamas. Per l’Anp sarebbero state le stesse milizie di Hamas, che ufficialmente nega e condanna l’attentato. Come dire: uccidiamoci nello stesso cortile.
La Palestina, anziché unificarsi, continua a essere divisa. Lo Stato dovrebbe comprendere la Striscia di Gaza e la Cisgiordania (West Bank). Peccato che da più di un decennio i vertici non vengano rinnovati. E che nonostante i tentativi e i fasulli Trattati di pace, continuino a vivere come dei separati in casa, in lotta perenne.
Nessuno pensa a indire elezioni nei territori palestinesi. Piuttosto che perdere è meglio far finta di nulla, e intanto la gente è stremata. Ai pochi che hanno ancora voglia di vivere, basta arrestarli.
Gaza, abbandonata nel 2005 dalle milizie israeliane sotto Sharon, si è trasformata in una fucina di disperati che passano il tempo a costruire tunnel che gli israeliani faranno saltare, inchiodati da embarghi anche da parte dell’altro paese confinante, l’Egitto, e milizie armate che comunque scorrazzano via cielo, terra e mare per impedire fuoriuscite di clandestini.
Cisgiordania, l’occupazione e le colonie «di nessuno»
In Cisgiordania gli insediamenti crescono, anche se, come spiega Sergio Dalla Pergola, professore di Demografia e studi sulla popolazione all’Università Ebraica di Gerusalemme, «molte colonie abusive vengono condannate dal tribunale israeliano, ma il problema è la mancanza di giurisdizione. Sono terre che un tempo furono del demanio turco, poi passarono sotto il demanio britannico e infine divennero giordane. Ma se si va al catasto non appartengono a nessuno. Quando Israele si è ritirata da Gaza tutti speravamo di arrivare a un giusto modello di vicinato. Speravamo anche in un ritiro delle nostre truppe dalla Cisgiordania. Però poi hanno incominciato a lanciare missili. E la lotta è ricominciata».
In ogni caso, prosegue il professore, «l’occupazione israeliana ha portato accesso a strutture mediche e scolastiche, molti coloni israeliani convivono con i palestinesi e danno loro lavoro e diritti. Il problema è che una forte maggioranza degli abitanti di Gaza sta con Hamas».
Striscia di Gaza: diritti negati a donne e giornalisti
Il paese, racconta chi ci vive, non è mai stato così male. Sommerso dai rifiuti organici e dalle macerie, è nido di epidemie. Se non si muore per le bombe si muore per infezioni o anche semplici patologie. Per i palestinesi uscire dai confini per farsi curare è difficilissimo e i pochi ospedali locali sono fatiscenti e senza mezzi.
La gente comune vive schiacciata in quella che viene chiamata una «prigione a cielo aperto». Hamas impone restrizioni sempre più dure, soprattutto alle donne e a chi fa informazione o non appoggia la linea del partito.
Nel luglio 2017 è spuntata una nuova legge «sui reati elettronici» che prevede l’arresto immediato per chiunque critichi online le autorità. La pena prevede pene fino a 25 anni di prigione, lavori forzati, torture finalizzate alla confessione.
Decine tra giornalisti e attivisti sono stati arrestati. Il corrispondente televisivo palestinese Fouad Jaradeh è stato processato per collaborazionismo con Ramallah (capitale della Cisgiordania, dove a governare è l’Autorità nazionale palestinese con presidente Abu Mazen). Tuttavia, racconta Meri Calvelli, cooperatrice internazionale che a Gaza ci sta trascorrendo la vita, «tutti pensano che questa terra sia una fucina di terroristi, impavidi e violenti, in realtà c’è un po’ di tutto, ma soprattutto grandi pacifisti».
Hamas e la cappa liberticida su Gaza
Giulia Montercoboli è medico. A Milano lavora all’Ospedale San Paolo. È stata a Gaza qualche mese fa per costatare che «la situazione è diventata terribile rispetto a 10 anni fa. Hamas non ha alcun rapporto con i giovani, quelli che non stanno lì immobili a piangersi addosso. Abbiamo organizzato un festival di free style, di pittura e disegno. Ma le ragazze dovevano travestirsi da maschi per non essere fermate dagli uomini di Hamas. Dopo poche ore dall’inizio delle danze siamo stati circondati dai militari perché secondo loro le donne non possono mostrarsi in pubblico».
Ricorda, Giulia, che «10 anni fa Gaza era un posto eccezionale dal punto di vista di energia e vita. Ora il tasso di suicidi è altissimo, si vive in una condizione di prigionia e la situazione è inimmaginabile».
Mappa della Palestina: un po’ di storia
La mappa è di Palestine solidarity campaign (via Flickr).
Questo professor Della Pergola ha detto esattamente quello che decine di esperti statunitensi e reporter israeliani hanno ammesso: l’occupazione danneggia il popolo palestinese. Lo hanno ammesso anche esperti USA di origine ebraica. Ora arriva lui e dice che l’occupazione ha portato benefici. Dove lascia le demolizioni di case arabe a Gerusalemme est? Il muro condannato dalla Corte dell’Aja? Per me il professore in questione è un teorico dell’occupazione israeliana. Potevate intervistarne almeno un altro, per avere un quadro più chiaro.
Gentile lettore, purtroppo parliamo di un argomento talmente vasto e complicato che come la scrivi la sbagli. Temo però che, forse, lei si sia limitato a leggere superficialmente l’articolo. Il Professor Dalla Pergola non ha detto solo che l’occupazione ha portato benefici. Ha parlato di molti insediamenti che vengono quotidianamente smantellati per ordine della Corte, ha raccontato come quando “l’esercito si è ritirato da Gaza abbiamo sperato tutti di arrivare a un modello di vicinato e a una società di civile convivenza”. A domanda diretta su come la popolazione effettivamente vive la questione, ha spiegato che esistono casi di integrazione, dove sono israeliani a impiantare fabbriche e a dare lavoro, diritti e assistenza ai palestinesi”. Ha anche detto che purtroppo la situazione è formata da. Palestina e Israele sono in contrasto anche sul calcio, uno dei pochi argomenti che riesce a unire il mondo. Comunque nel prossimo numero approfondiremo la questione. Lei continui a seguirci. Grazie. Renata Fontanelli