Caporalato: braccianti sikh sfruttati e riscattati nell’Agro Pontino

14 ore di lavoro, sette giorni su sette, nei campi e nelle serre. Una situazione drammatica che inizia a vedere le prime condanne dei responsabili grazie a scioperi e denunce. Ne parla Marco Omizzolo di "In Migrazione", che ha studiato il fenomeno del caporalato in provincia di Latina

Grazie al film “The Harvest” del regista Andrea Paco Mariani si è tornati a parlare di un caporalato meno conosciuto, quello che caratterizza le campagne della provincia di Latina. Marco Omizzolo, sociologo e responsabile scientifico di In Migrazione, da anni studia il fenomeno dello sfruttamento agricolo e del caporalato. Non si tratta di episodi isolati, ma di un «sistema di sfruttamento strutturato», che funziona così da più di 20 anni.

Nel dossier “Sfruttati a tempo indeterminato”, pubblicato nel 2015, evidenzia come spesso i contratti appaiano in regola ma nascondano gravi forme di sfruttamento. Braccianti che risultano impiegati per due giornate al mese, ma lavorano tutti i giorni, buste paga fasulle senza ferie o straordinari e mancato pagamento dei contributi.

Marco Omizzolo ha conosciuto il fenomeno anche attraverso l’esperienza diretta:

«Circa 8 anni fa fui bracciante infiltrato in un gruppo di braccianti indiani, sotto caporale e con un padrone», racconta a Osservatorio Diritti.

«In quell’occasione scoprimmo e denunciammo situazioni estreme di sfruttamento, con lavoratori che percepivano 1,50 euro o 2 euro l’ora, per lavorare 14 ore al giorno, sette giorni su sette», spiega Marco Omizzolo. E aggiunge: «La retribuzione media era intorno ai 3 euro». Ben lontana dai 9 euro orari, previsti dalla legge di allora.

Il caporalato oggi in Italia e in provincia di Latina

La situazione oggi è cambiata?

Ci sono ancora realtà di gravissimo sfruttamento lavorativo, anche se in percentuale inferiore, grazie alle denunce e agli scioperi di questi anni. Oggi la media retributiva si aggira intorno ai 4- 4,50 euro l’ora, ancora molto al di sotto di quanto stabilisce il contratto provinciale del lavoro. Le campagne della provincia di Latina sono ancora caratterizzate da fenomeni di caporalato, di tratta internazionale e di sfruttamento lavorativo.

Quali sono le caratteristiche delle aziende della provincia di Latina?

Le aziende agricole dell’Agro Pontino sono di piccole, medie e grandi dimensioni. Le produzioni variano: dalle coltivazioni ortofrutticole cicliche a campo aperto a quelle annuali in serra. Ci sono aziende ben inserite nel panorama agroindustriale italiano e piccole aziende contadine. Si spazia dalle grandi aziende che hanno una loro catena di distribuzione alle piccole che riforniscono i mercati rionali. Alla produzione ortofrutticola è associata quella florovivaistica e lattiero casearia. I lavoratori impiegati in queste aziende hanno in genere contratti stagionali della durata massima di 9 mesi.

Caporalato nell’Agro Pontino: indiani sikh sfruttati

Nella provincia di Latina il caporalato è prevalentemente monoetnico, come spiega ad Osservatorio Diritti Marco Omizzolo: «È composto in prevalenza da indiani, per questioni legate all’organizzazione stessa del lavoro».

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Marco Omizzolo, responsabile scientifico di In Migrazione. Foto: Marco Omizzolo

La maggior parte dei braccianti è indiana, di religione sikh, e proviene dalla regione nordoccidentale del Punjab.

La figura del caporale

Nei casi di sfruttamento che ha studiato, chi è il caporale?

Ad essere impiegati nell’agricoltura sono soprattutto indiani sikh e il caporale, che fa da intermediario e procura il lavoro, non può che essere uno di loro, per via della conoscenza della lingua. In alcuni casi il caporale è anche un faccendiere. Non è, infatti, solo colui che recluta e porta nei campi i lavoratori, ma svolge anche un’altra serie di servizi. È colui che trova l’abitazione, che permette di rinnovare la carta di identità o il permesso di soggiorno. Diventa un punto di riferimento per la comunità.

Il vantaggio per il caporale spesso si esplicita attraverso un contratto in regola che gli permette di superare i mille euro al mese. In alcuni casi il caporale è anche un reclutatore internazionale perché agevola l’arrivo di indiani che verranno inseriti nel sistema di sfruttamento.

Reclutamento di braccianti in agricoltura e uso di droga

Come avviene il reclutamento dei braccianti?

Lo abbiamo definito “reclutamento 2.0” perché funziona attraverso i social network, in particolare grazie ai gruppi Whatsapp. Al lavoratore arriva un messaggio che indica direttamente dove dovrà recarsi. Questo rende il fenomeno più invisibile.

Nel 2014 avete pubblicato un dossier dal titolo “Doparsi per lavorare come schiavi”…

Lo studio denunciava l’assunzione di sostanze dopanti da parte di lavoratori indiani, con alcuni datori di lavoro che facevano finta di non vedere, allo scopo di sopportare meglio fatiche psicologiche e materiali legate allo sfruttamento. Quando si è obbligati a lavorare 14 ore al giorno sotto una serra, d’estate, inginocchiati a raccogliere ortaggi, dopo qualche settimana c’è un calo di resa lavorativa. Il padrone e il caporale aiutano il lavoratore a reggere quei ritmi consentendo l’ingresso nei campi a spacciatori di diversi tipi di sostanze.

La sostanza più diffusa è l’oppio assunto attraverso il chai, che è la bevanda tipica indiana. Vengono spacciate anche metanfetamine e antispastici.

Dal 2014 a oggi la situazione è cambiata?

A distanza di 4 anni la situazione è cambiata ma non è né migliorata né peggiorata. Il fenomeno si è molto allargato rispetto ai 12 casi rilevati nel 2014 ma ci sono stati anche importanti interventi di magistratura e forze dell’ordine. In alcuni casi al circuito economico legato allo sfruttamento si è associata la dipendenza. Alcuni braccianti hanno cominciato ad assumere eroina. Nel Sud Pontino, infatti, ci sono stati i primi casi di overdose. L’eroina arriva dalla Campania e lega la provincia di Latina al sistema camorristico-mafioso.

Minacce e intimidazioni a chi denuncia

«Nella provincia di Latina, grazie alle denunce, sono partiti i primi processi e i primi arresti», sottolinea Marco Omizzolo, che tramite “In Migrazione” ha raccolto testimonianze e racconti di molti braccianti. «Lo ha raccontato e analizzato anche l’ultimo rapporto Agromafia di Eurispes e Coldiretti».

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Braccianti sikh in sciopero. Foto: Marco Omizzolo

Come cooperativa avete denunciato minacce e intimidazioni nei confronti di chi si rivolge a voi.

Vogliono evitare che i braccianti abbiano contatti con la cooperativa o con me. In alcuni casi ci sono state vere e proprie spedizioni punitive gravi. Questa violenza dimostra la nascita di un’organizzazione italo-panjabi, che per tutelare i suoi interessi tiene molti indiani in situazioni di grave sfruttamento. Sono arrivate intimidazioni nei miei confronti, nei confronti di sindacalisti, soprattutto della Cgil, e giornalisti. Questo perché in provincia di Latina parlare di caporalato e mafie significa toccare interessi economici, politici e criminali.

Denunce e scioperi contro sfruttatori e caporali

In questi anni “In Migrazione” ha organizzato servizi sociali, presidi davanti alle aziende agricole e degli sportelli. In questi luoghi protetti i braccianti possono raccontare la loro storia, ricevono informazioni relative alle norme in vigore e ai loro diritti. Possono decidere di avviare una denuncia penale o una vertenza di lavoro.

In Migrazione conta circa 100 tra denunce e vertenze avviate, alcune delle quali hanno già prodotto risultati. Il 24 maggio 2016 la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro condusse un’ispezione all’interno di un’azienda agricola dell’Agro Pontino. Il 18 aprile 2016 a Latina la cooperativa e il sindacato Flai Cgil organizzarono uno sciopero, cui aderirono circa 4.000 braccianti indiani.

«Con la Commissione parlamentare Antimafia e soprattutto grazie all’impegno dell’onorevole Mattiello, siamo riusciti a parlare di caporalato e tratta internazionale in una importante audizione che ha sdoganato definitivamente il tema e permesso una riflessione più ampia».

«Non a caso la relazione definitiva della commissione cita, tra i vari suoi capitoli, anche la provincia di Latina e le sue mafie e il fenomeno del caporalato».

Bella Farnia: una buona pratica contro il caporalato

Il Progetto “Bella Farnia” ha fatto nascere a Sabaudia, in provincia di Latina, un centro polifunzionale d’informazione e di orientamento per superare l’intermediazione del caporale con la comunità. Il centro oltre ad offrire corsi di italiano ha attivato uno sportello di orientamento ai servizi, assistenza legale e di diritto del lavoro.

Il progetto, che è stato premiato come buona pratica contro lo sfruttamento da Eurispes e dal consiglio nazionale delle Ricerche, ha attivato una serie di nuovi servizi strategici, come la lettura della busta paga e la formazione sui diritti.

«Abbiamo raccolto le prime importanti denunce, che sono diventate vertenze sindacali e poi scioperi».

Si tratta di un progetto finanziato dalla Regione Lazio, che non è stato rifinanziato. Una decisione inspiegabile, secondo Marco Omizzolo, «visti i risultati straordinari ottenuti sia in termini di processi di emancipazione dei migranti indiani e di contrasto alle agromafie, sia mediaticamente, considerando che di questo presidio ha parlato la stampa nazionale e internazionale».

Proprio da “Bella Farnia” è nata l’idea dello sciopero e dai servizi resi «si costituì la prima consapevolezza che ha poi agevolato gli indiani nell’organizzare scioperi e manifestazioni», spiega Omizzolo. «Forse proprio questo ha dato fastidio alla Regione Lazio e ai Comuni investiti dal progetto Bella Farnia», sostiene.

«Emancipare una comunità di braccianti indiani sfruttati, vuol dire aggredire interessi economici leciti importanti e un consenso, che è anche elettorale, consolidato e che non si voleva toccare. Un pessimo segnale da parte della politica».

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