Festa della donna: 8 marzo 2018 in piazza per sciopero femminista
L'8 marzo, il movimento Non Una di Meno ha indetto, per il secondo anno consecutivo, uno sciopero globale femminista. Le donne di tutto il mondo, attiviste e non, scendono in piazza per protestare contro la violenza maschile e la violenza di genere
A distanza di un anno dal primo sciopero globale femminista, la marea di Non Una di Meno, anziché ritirarsi si è allargata. Il movimento, nato in Argentina nel 2015, si è fatto rete, si è organizzato in maniera capillare e si è dato di nuovo appuntamento nelle piazze di tutto il mondo l’8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della donna. Le manifestazioni previste in Italia sono una settantina, ma la mobilitazione riguarderà anche una cinquantina di altri stati. Sarà una protesta pacifica e colorata, ma sarà una protesta. Niente mimosa, ma cappelli da strega per esempio a Milano. A scendere in piazza saranno «le nipoti di tutte quelle che non siete riusciti a bruciare», fanno sapere le attiviste del gruppo milanese.
Violenza sulle donne, un problema strutturale
Spesso, quando ci si riferisce alla violenza sulle donne, si parla di femminicidio, ma in realtà questa è «soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno assai più profondo e radicato», si legge nel Piano femminista italiano. Un manifesto sintesi di un anno di lavoro. Nove punti in cui si rende chiara la consapevolezza che la violenza contro le donne non è solo quella fisica o verbale e che «non è un problema emergenziale, né una questione geograficamente o culturalmente determinata». «La violenza maschile è espressione diretta dell’oppressione che risponde al nome di patriarcato, sistema di potere che a livello materiale e simbolico ha permeato la cultura, la politica, le relazioni pubbliche e private».
Da qui lo slogan coniato dal movimento che risuona forte e chiaro, tanto quanto le ragioni dello sciopero: «Se non valiamo, allora non produciamo».
8 marzo 2018, le ragioni dello sciopero
Precarietà, discriminazione, insicurezza fisica ed economica, diritto alla salute. Sono queste le principali ragioni per cui le donne di tutto il mondo scendono in piazza l’8 marzo.
«Rivendichiamo un reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale.Vogliamo autonomia e libertà di scelta sulle nostre vite. Vogliamo essere libere di andare dove vogliamo senza avere paura, di muoverci e di restare contro la violenza razzista e istituzionale. Difendiamo gli spazi femministi e liberati della città», si legge nell’appello italiano allo sciopero.
La richiesta è di astenersi «dal lavoro produttivo e riproduttivo, formale o informale, retribuito o gratuito».
La violenza sulle donne nel mondo del lavoro
Un’attenzione particolare quest’anno a Milano sarà riservata al mondo del lavoro, anche alla luce del “caso Weinstein”, il produttore di Hollywood accusato di molestie sessuali ai danni di un’ottantina di attrici in cambio di una parte in qualche film. Caso da cui è poi scaturito il fenomeno #Metoo. Come si deduce dall’ultimo rapporto Istat, anche in Italia la situazione non è rosea.
Secondo l’Istituto di statistica nazionale, tra il 2015 e il 2016 «sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. L’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione». Con riferimento ai soli ricatti sessuali sul lavoro, «sono un milione 173 mila (il 7,5%) le donne che nel corso della loro vita lavorativa sono state sottoposte a qualche tipo di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera».
Gender gap pay, violenza non solo fisica ma economica
Ed è proprio l’ambito lavorativo, oltre alla scarsa presenza delle donne nel mondo della politica, quello che ha fatto fare all’Italia un balzo indietro di ben 32 posizioni nell’ultimo rapporto del World Economic Forum sulla disparità di genere, passando nel 2017 all’82mo posto su 144. Il calcolo viene fatto sulla base di un indice che misura la differenza che c’è tra maschi e femmine in quattro ambiti fondamentali: economia, politica, salute, formazione. In quello economico il nostro paese segna una delle performance peggiori, finendo alla 118ma posizione. I motivi sono, oltre alla differenza salariale, anche la bassa partecipazione al lavoro delle donne. Sempre secondo l’Istat, infatti, in Italia, nel 2015, solo il 43,3% delle donne percepiva un reddito da lavoro (dipendente o autonomo) rispetto al 62% degli uomini. Mentre nel 2014, il reddito guadagnato dalle donne era in media del 24% inferiore ai maschi (14.482 euro rispetto a 19.110 euro).
A livello mondiale, invece, l’Onu ha stimato che le donne guadagnano il 23% in meno degli uomini, definendo il gender pay gap «il più grande furto della storia». Per questo è stata lanciata la campagna #stoprobbery.
E per questo la Un Women (l’entità delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne), nell’Agenda 2030 pubblicata a febbraio 2018, ha affermato che «non ci può essere uno sviluppo sostenibile senza parità di genere».
Lavoro riproduttivo, un furto non dichiarato
Un’altro furto che viene denunciato in particolar modo da Non Una di Meno riguarda il cosiddetto lavoro riproduttivo. Lo sciopero vuole evidenziare il ruolo delle donne all’interno della società, «in quanto salariate, ma anche come lavoratrici non pagate rispetto a quello che si può definire – spiega Marie Moïse, attivista di Non Una di Meno Milano e ricercatrice precaria – il lavoro di cura: della casa, della famiglia, dei figli, dei parenti. Una propensione che si narra essere naturale nelle donne, ma che costa fatica e tempo, un vero e proprio “lavoro”, imposto e per il quale per di più non viene riconosciuto nessun compenso».
Dal #MeToo al #WeToogether
Lo sciopero dell’8 marzo indetto dal movimento femminista è un modo per alzare la voce contro la violenza sulle donne e la violenza di genere in tutte le sue forme. Un modo per provare a trasformare la denuncia individuale del #MeToo, che tanto ha smosso le coscienze, in un’azione di rifiuto collettivo che si può riassumere nel nuovo motto #WeToogether.
«La violenza sulle donne e quindi la violenza di genere è strutturale nella società e non casuale. Lo stesso vale per le molestie sul lavoro, violazione con cui ogni giorno si sottolinea l’asimmetria di genere e la piramide sociale in cui le donne devono sempre stare un gradino sotto», sostiene Marie.
«#WeToogether vuol dire, quindi, fare tesoro delle testimonianze personali che le singole donne hanno avuto il coraggio di denunciare. “WeToo” significa che le storie di violenza e molestie sono successe non a una singola persona ma a “noi” e per questo, da questo momento in avanti, si potranno affrontare insieme. Affermare #Wetoogether oggi – continua Marie – vuol dire che ci possiamo difendere se creiamo una rete di solidarietà tra donne».
Festa della donna, il “regalo” è un piano politico
Il Piano Femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, stilato da Non Una di Meno Italia ha una chiara impronta politica, che non rivendica nessun tipo di compassione ma evoca soluzioni chiare e precise. Nel caso del lavoro per esempio, il reddito di autodeterminazione, il reddito minimo europeo, il welfare universale gratuito, la fine della disparità salariale tra uomo e donna, il sostegno economico alla maternità e la genitorialità condivisa.
Un piano da presentare al Governo, affinché metta in atto le linee guida dettate dalla Convenzione di Istanbul, adottata nel 2011 e entrata in vigore nel 2014. Un testo chiave in materia, in cui si precisa che «la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne». Al mese di settembre 2017, tutti gli Stati membri dell’Ue hanno firmato la convenzione e, fino ad ora, 14 l’hanno ratificata. Tra questi c’è anche l’Italia. Ma il testo prevede anche l’adesione formale dell’Unione europea, che per ora manca ancora.
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