Elezioni politiche 2018: i diritti umani nei programmi dei partiti/1
Ecco come sono messi in tema di diritti umani i programmi dei maggiori partiti e schieramenti politici - Pd, LeU, M5S, coalizione di centrodestra - presentati per le elezioni politiche del 4 marzo 2018 in Italia. L'analisi è del Master in Human Rights e Conflict Management della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, che comincia oggi un nuovo blog su Osservatorio Diritti
di Francesca Calcavecchia e Alessandro Guadagnoli
Cosa dicono i programmi elettorali presentati in vista delle elezioni politiche del 4 marzo a proposito dei diritti umani? Cosa promettono, e cosa si impegnano concretamente a fare, in materia di giustizia, tortura e difesa. Oppure, ancora, come affrontano tematiche legate a minori e ius soli, salute e immigrazione. E le questioni di genere e Lgbt rientrano tra le priorità di qualcuno? E all’ambiente, che posizione spetta?
Analizzare i programmi elettorali con questa chiave di lettura non è facile, ma ci abbiamo provato – in questo articolo e in una seconda puntata – studiando le proposte di Pd, LeU, M5S, coalizione di centrodestra. Anche se format eterogenei, slogan e generiche dichiarazioni d’intento non permettono di identificare con chiarezza un impegno serio e sostenibile nei confronti dei diritti umani.
L’Istituto Cattaneo analizza i programmi dei partiti
L’Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo ha analizzato il contenuto dei programmi elettorali dei principali partiti italiani da cui risulta che tutti – chi più, chi meno – hanno inserito nei programmi dei punti riguardanti welfare ed istruzione. Questo risulta essere il “gruppo di policy” più ricorrente, occupando circa il 25% dei programmi.
Ci sono partiti – come CasaPound e Lega Nord – in cui la ricerca non ha rilevato obiettivi riguardanti né l’ambiente né il lavoro. Le tematiche sociali, invece, rimangono sempre care ai partiti di centro-sinistra (Pd, Liberi e Uguali, Insieme, Civica e popolare, Potere al popolo).
Allo stesso tempo, possiamo leggere, «è significativa anche l’alta frequenza di affermazioni generali per quel che riguarda le questioni del lavoro (79,5% sul totale), soprattutto in riferimento alle politiche dedicate a determinate categorie sociali (giovani e donne in primis)». Un dato preoccupante, quest’ultimo, se pensiamo alla pressione da parte della comunità internazionale e della società civile nei confronti dello Stato italiano affinché vengano adottate delle proposte effettive riguardanti i diritti civili, politici e sociali.
Elezioni 4 marzo 2018: appelli Onu da non dimenticare
Le affermazioni dei programmi elettorali vanno lette anche alla luce delle osservazioni conclusive della Comitato Onu contro la tortura, organo di monitoraggio della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT) ratificata dall’Italia nel 1988.
Nel documento di dicembre 2017, il Comitato Onu si dice ancora preoccupato per la mancata implementazione da parte del nostro paese delle raccomandazioni – rivolte allo Stato italiano ormai una decina di anni fa – sulle forme di tutela fondamentale, la legge sulla tortura, il divieto di respingimento dei migranti e le condizioni di detenzione nelle carceri italiane.
L’appello del Comitato affinché l’Italia istituisca un organo nazionale e indipendente a tutela e promozione dei diritti umani è rimasto inascoltato da molti dei principali partiti che non vi hanno fatto riferimento nei propri programmi, ad eccezione della lista +Europa che dichiara, nel suo programma, di sostenere «la battaglia per l’istituzione di un’agenzia nazionale autonoma e indipendente per la tutela dei diritti umani che favorisca la prevenzione delle discriminazioni e la difesa delle libertà fondamentali in ottemperanza alle risoluzioni ONU ratificate dall’Italia».
Proveremo dunque qui ad analizzare come, da un punto di vista giuridico, i programmi elettorali dei principali partiti italiani – Pd, LeU, M5S, coalizione di centrodestra – si pongono riguardo ad alcune tematiche direttamente collegate al rispetto dei diritti umani.
La giustizia nei programmi Pd, LeU, M5S, centrodestra
Sul tema della giustizia si può notare un generale richiamo, da parte di tutti i partiti, ad un allineamento agli standard internazionali e CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), con grande enfasi sulla necessità di riduzione della durata dei processi e sulla necessità di assicurare l’imparzialità del sistema giudiziario: tutti elementi che, anche se espressi generalmente nella forma di semplici slogan, devono comunque essere accolti positivamente. Lo stesso riguarda il sovraffollamento nelle carceri, citato sia dal centrosinistra che dal M5S.
All’interno della sezione “Giustizia” del programma del M5S sono presenti varie proposte di intervento con lo scopo di mettere la giustizia al servizio del cittadino e renderla «certa, rapida ed equa». Al fine di eliminare l’uso strumentale del ricorso in appello per raggiungere i termini di prescrizione si propongono sia una revisione dell’istituto della prescrizione, sia l’abolizione del divieto di reformatio in peius, anche in quei casi in cui la pubblica accusa decida di non appellare la sentenza di primo grado. Queste due proposte sembrano stridere con l’obiettivo che si è proposto il MoVimento.
Per quanto riguarda la revisione della prescrizione, se da un lato sono comprensibili le preoccupazioni riguardo il suo uso strumentale per ottenere l’impunità, bisogna ricordare, tuttavia, che questo istituto nasce per evitare che l’imputato viva per un tempo eccessivamente lungo con la preoccupazione di ricevere una condanna. Non sembra accettabile che la lentezza della macchina giudiziaria italiana danneggi l’imputato facendolo vivere a tempo indefinito in un limbo in cui non ha certezze sul suo futuro.
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Ci pare quindi che non sia l’istituto della prescrizione a presentare criticità, semmai è il contesto giudiziario in cui è inserito che ne permette un uso distorto e indesiderabile: l’uso strumentale dell’appello ai fini del raggiungimento dei termini di prescrizione è una conseguenza della lentezza e inefficienza del sistema giudiziario italiano, non la sua causa.
Interessante sulla prescrizione e la funzione della pena all’interno del programma del MoVimento il pensiero espresso dalla ong Antigone: «D’altra parte, la pena ha una funzione ben precisa: da un lato serve a preservare la società dall’allarme sociale rappresentato dal reo; dall’altro mira a reinserirlo in società. Senza quest’ultimo aspetto la pena non ha legittimità. A 10 o 20 anni di distanza dalla commissione di un reato, sia l’individuo che la società sono cambiate, pertanto non si può parlare di allarme sociale né si può reinserire un individuo che non esiste più. Vale l’esempio dell’imputato per spaccio che mentre il processo va avanti cambia città, lavoro e vita, mettendo su famiglia e crescendo. Che allarme sociale rappresenta a 10 anni dai fatti? Che individuo si vuole reinserire in società?».
Per quanto riguarda la proposta di abolizione del divieto di reformatio in peius – istituto il cui scopo è garantire all’individuo una sentenza di appello che permetta una revisione a suo favore o, nel peggiore dei casi, al massimo una conferma della sentenza di primo grado, ma mai peggiorativa – sono almeno due gli aspetti che suscitano perplessità.
Innanzitutto il rimedio proposto sembra perdere di vista il rapporto di forza fra Stato ed imputato all’interno del processo penale, dato che è il secondo a necessitare di maggiori garanzie per livellare la disparità di forza rispetto all’accusa. Infatti, la presenza di un giudizio di appello è prevista proprio per fornire all’individuo la possibilità di ottenere una revisione a suo favore – o al massimo una conferma – della sentenza di primo grado: l’abolizione del divieto di reformatio in peius, pensato espressamente in favore della parte più debole del processo penale, costituirebbe un ostacolo insormontabile per quei cittadini che ritengono di aver ricevuto una sentenza di primo grado ingiusta rendendo di fatto inutilizzabile il giudizio di appello.
In secondo luogo tale proposta sembra distanziarsi anche dalle raccomandazioni dei Comitati Internazionali dell’Onu che suggeriscono di seguire un percorso che veda l’aumento dei diritti dei cittadini, scoraggiando l’eliminazione dei diritti acquisiti.
Sempre all’interno della sezione “Giustizia” va menzionato positivamente l’impegno che il MoVimento si assume per «potenziare e rendere realmente applicabile l’istituto della condanna ai lavori di pubblica utilità» indirizzandoli al benessere collettivo, tuttavia la previsione della possibilità di svolgere tali lavori al servizio della vittima suscita perplessità sulla legittimità di questa proposta essenzialmente per il carattere eccessivamente vago con cui viene presentata.
Sia Pd che Liberi e Uguali sottolineano la necessità del carattere rieducativo della pena e l’adozione di misure alternative.
Anche il programma di +Europa merita una menzione laddove suggerisce di preferire pene riparative rispetto alla detenzione, soprattutto nei reati che non offendono la persona. Tali pene, infatti, permettono alla vittima di trovare ristoro del danno subito e al reo di rimediare al danno commesso nei confronti sia della persona offesa sia della comunità. Anche qui si ripresentano le perplessità espresse nei riguardi della proposta del M5S generate, principalmente, dall’eccessiva vaghezza del loro contenuto.
Interessante anche la proposta di abolizione dell’ergastolo avanzata da +Europa e fondata sul riconoscimento del contrasto di questo istituto con l’art. 27 della Costituzione, il quale prevede la finalità rieducativa della pena: l’assenza di ogni possibilità di uscire dal carcere è logicamente incompatibile con la finalità rieducativa che la nostra Costituzione attribuisce alla pena.
Per quanto riguarda la situazione delle carceri va premesso che le preoccupazioni espresse dal Comitato riguardo il contenuto dell’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario – il c.d. “carcere duro” – non hanno trovato risposta all’interno dei programmi elettorali dei maggiori partiti. Potere al Popolo propone l’abolizione dell’art. 41bis prevedendo l’adozione di misure di controllo, per i reati di stampo mafioso, allo stesso tempo efficaci e umane.
Elezioni politiche in Italia: la tortura nei programmi
Recentemente si è discusso molto sull’introduzione del reato di tortura in Italia, soprattutto in relazione alle raccomandazioni ricevute dal Comitato dell’Onu contro la tortura. Quest’ultimo si è espresso negativamente sulla nuova legge, in quanto il contenuto dell’art. 613 bis del Codice Penale differisce in più aspetti fondamentali dall’art. 1 CAT (Committee against Torture). Tra gli aspetti più critici vi sono l’assenza di un qualsiasi riferimento allo scopo dell’atto di tortura, all’autore, ai fattori motivanti e alle ragioni dell’uso della tortura, tutte lacune che potrebbero causare una minore protezione del diritto.
Il programma del M5S coglie in parte le raccomandazioni del Comitato, soprattutto nella parte più critica della legge, proponendo una «modifica del reato per rendere la fattispecie efficace e chiara, prevedendo che sia qualificabile come tortura anche una singola violenza o minaccia non reiterata ed eliminando le parti superflue».
Nel programma del Pd non è possibile riscontrare alcuna menzione di una possibile modifica del nuovo articolo.
Dal canto suo, LeU propone di modificare la normativa proprio alla luce delle raccomandazioni ricevute sia dalle Nazioni Unite, sia dagli organismi europei.
Anche la coalizione di centrodestra menziona la necessità di una revisione della legge sulla tortura, senza però fornire altri elementi per comprendere che tipo di modifiche riceverebbe l’attuale art. 613 bis.
Desta preoccupazione dunque il silenzio da parte di alcuni partiti e la vaghezza con cui l’argomento è affrontato dal centrodestra. All’interno della quinta sezione “Più sicurezza per tutti” del programma comune della coalizione composta da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia, sono elencati 12 punti sintetici tra cui si annoverano «l’introduzione del principio che la difesa è sempre legittima, più tutele e aumento di stipendi per forze dell’ordine e forze armate, inasprimento delle pene per violenza contro pubblico ufficiale» e, appunto, la modifica della legge sulla tortura.
Alla luce delle critiche del comitato Onu, tra le altre cose, proprio sull’assenza della previsione riguardante il reato commesso dal pubblico ufficiale, i presupposti di una dichiarazione di intenti così generica sembrano destare dubbi sulla possibilità di ampi spazi di impunità.
Difesa: proposte dei partiti candidati alle elezioni 2018
Per quanto riguarda la posizione dei partiti sul tema della difesa e degli armamenti, il M5S richiama il diritto dei popoli alla pace e il ripudio della guerra stabilito nella nostra Costituzione, ammettendo solo l’uso di truppe di mera interposizione pacifica. Il programma del MoVimento, inoltre, prevede una politica estera incentrata sulla cooperazione e il dialogo, nel rispetto dell’autodeterminazione dei popoli, della sovranità e del principio di non ingerenza negli affari interni richiamando i principi e gli scopi previsti nella Carta delle Nazioni Unite.
In direzione opposta rispetto al MoVimento, la coalizione di centrodestra si impegna a prevedere un aumento della spesa militare a livello europeo, ma non fornisce altri elementi per un’analisi approfondita.
Il programma del Pd pone enfasi sulla necessità di sviluppare e promuovere il sistema di difesa comune a livello europeo per migliorare l’efficienza ed abbassare le spese tramite la «creazione di un Fondo europeo della difesa che possa gradualmente portare all’istituzione di una guardia costiera e di frontiera comune, garantendo il buon funzionamento di Schengen».
Come il M5S, LeU si incentra sulla necessità di sottoscrivere e promuovere il Trattato di proibizione degli armamenti nucleari e pone enfasi sul ripudio della guerra e sulla necessità di una politica estera di pace.
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