Amnesty International: i diritti umani nel Rapporto 2017
Repressione, pena di morte, tortura, diritti umani violati nel mondo. E anche pulizia etnica, stupri, odio. Ecco il nuovo Rapporto 2017-2018 di Amnesty International. Una panoramica impietosa sulla situazione dei diritti umani in 159 Paesi del mondo. E c'è spazio pure per l'Italia
Repressione del dissenso. Pena di morte. Attacchi ai difensori dei diritti umani e ai giornalisti. Conflitti armati. Violenze. Torture e impunità. E persino pulizia etnica, odio, stupro. Riassumere il Rapporto 2017-2018 appena pubblicato da Amnesty International è impossibile. Un documento crudo, capace di aprire gli occhi e risvegliare le coscienze offrendo una panoramica impietosa delle violazioni dei diritti umani. Una ricognizione tra 159 Paesi in ogni angolo del mondo. Dagli Stati più ricchi, Italia compresa, alle aree più povere. Posti molto diversi tra loro, ma che quando vengono osservati con la lente dei diritti umani offrono inquietanti punti in comune.
«Gli spettri dell’odio e della paura oggi aleggiano ampiamente nelle questioni mondiali. In questi tempi difficili, sono ben pochi i governi che stanno dalla parte dei diritti umani (…). I governi stanno vergognosamente facendo arretrare le lancette dell’orologio a scapito di decenni di conquiste per le quali si era lottato duramente», scrive nell’introduzione al report Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
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Pulizia etnica contro i rohingya in Myanmar
Il documento non poteva che partire ricordando «l’orribile campagna militare di pulizia etnica contro la popolazione rohingya in Myanmar, che in poche settimane ha causato un esodo di circa 655.000 persone verso il vicino Bangladesh, la crisi dei rifugiati esplosa più velocemente del 2017».
Una tragedia ancora in corso. Un evento, sottolinea ancora Shetty, che «rimarrà nella storia come un’ulteriore prova del fallimento catastrofico del mondo nell’affrontare situazioni che possono offrire terreno fertile per atrocità di massa».
Questa tragedia, ricorda il documento, era stata preceduta da segnali d’allarme quali «discriminazione e segregazione su larga scala». Tanto che «per molti anni la popolazione rohingya è stata demonizzata e privata delle condizioni basilari per vivere in dignità».
Dalla discriminazione e dalla demonizzazione si è passati in fretta alle violenze di massa. «È qualcosa di tragicamente familiare e le sue conseguenze disastrose non possono essere facilmente cancellate».
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A 70 anni da Dichiarazione universale diritti umani Onu
Quello del Paese asiatico è solo uno dei tanti esempi citati nel Rapporto 2017-2018 (pubblicato in Italia da Infinito Edizioni). E le violazioni sono ancora sistematiche in tante parti del mondo.
A 70 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, sottolinea Amnesty, «non possiamo dare per scontato il fatto di poterci riunire per protestare o per criticare i nostri governi. Né possiamo dare per scontato che avremo a disposizione un sistema previdenziale quando saremo vecchi o invalidi; che i nostri bambini potranno crescere in città con un’aria pulita e respirabile; o che, in quanto giovani, lasceremo la scuola per trovare lavori che ci permetteranno di comprare una casa».
Una questione di odio, a partire dagli Usa di Trump
Il 2017 è stato aperto dal presidente Usa nel peggiore dei modi, quanto a dichiarazioni politiche. «Il gesto, apertamente mosso dall’odio, dell’amministrazione Usa che nel gennaio 2017 ha impedito l’ingresso nel paese a persone provenienti da alcuni stati a maggioranza musulmana, ha dato il là a un anno in cui i leader hanno portato le politiche dell’odio alle loro più pericolose conclusioni», ha dichiarato ancora Salil Shetty.
E quello di Donald Trump non è certo un caso isolato, stando all’analisi fatta da Amnesty. Dice ancora il segretario generale dell’organizzazione:
«Lo scorso anno il nostro mondo è stato immerso nelle crisi e importanti leader ci hanno proposto una visione da incubo di una società accecata da odio e paura. Ciò ha rafforzato coloro che promuovono l’intolleranza ma ha ispirato ancora più persone a chiedere un futuro di maggiore speranza».
Se da una parte ci sono segnali positivi di resistenza a questa situazione, dunque, dall’altra la retorica dell’odio sta provocando danni e ferite profondi ai gruppi che sono vittima di questa campagna.
Yemen, Arabia, Isis: commercio d’armi e vittime civili
La numero uno dell’organizzazione non si scorda di chiamare in causa i commercianti di armi. Uno degli attori più importanti nelle guerre disseminate in mezzo mondo che, come sempre, continuano a causare moltissime vittime tra i civili.
«I conflitti, alimentati dal commercio internazionale di armi, continuano ad avere effetti devastanti sui civili, spesso secondo un piano prestabilito. Che sia nella catastrofe umanitaria dello Yemen, esacerbata dal blocco imposto dall’Arabia Saudita, o nelle uccisioni indiscriminate di civili compiute dalle forze governative e internazionali, nell’uso dei civili come scudi umani da parte del gruppo armato autoproclamatosi Stato islamico in Iraq e Siria o nei crimini di diritto internazionale che portano a enormi flussi di rifugiati dal Sud Sudan, talvolta le parti coinvolte nei numerosi conflitti del mondo hanno rinunciato anche a fingere di rispettare i loro obblighi di protezione dei civili».
Rifugiati «problema da risolvere», non esseri umani
La «crisi globale dei rifugiati», come la definisce il Rapporto, è affrontata ovunque in chiave difensiva. La maggior parte dei Paesi, cioè, si chiude a riccio, invece che offrire protezione a chi ne ha diritto. «I leader dei paesi ricchi hanno continuato ad affrontare la crisi globale dei rifugiati con una miscela di elusione e totale insensibilità, riferendosi ai rifugiati non come a esseri umani ma come a problemi da evitare», si legge nel documento.
E il dito non viene puntato solo contro il presidente degli Stati Uniti. Secondo Amnesty, infatti, «la maggior parte dei leader europei è stata riluttante ad affrontare la grande sfida di disciplinare la migrazione in modo sicuro e legale e ha deciso che, in pratica, niente è vietato nell’intento di tenere i rifugiati lontani dalle coste del continente».
Una scelta politica precisa, dunque. Che porta con sé «conseguenze inevitabili» ovunque è applicata sistematicamente. Come nel caso dei «scioccanti abusi subiti dai rifugiati in Libia, con la piena consapevolezza dei leader europei».
I diritti umani in Italia: niente accoglienza per i rifugiati
Il voluminoso rapporto dedica anche quattro pagine, a partire dalla numero 420, alla situazione dei diritti umani in Italia. A partire dai diritti di rifugiati e migranti, passando quindi per il diritto all’alloggio e agli sgomberi forzati, per terminare dunque con «torture e altri trattamenti» e i «decessi in custodia».
Il nostro Paese, in particolare, è accusato innanzi tutto di aver messo in piedi una collaborazione con la Libia – tanto con le autorità, quanto con gli attori non statali – che di fatto mira a «limitare la migrazione irregolare attraverso il Mediterraneo centrale». Ebbene, secondo Amnesty proprio questa mossa ha portato a gravi conseguenze per i profughi:
«Rifugiati e migranti – scrive l’organizzazione – sono stati sbarcati e sono rimasti intrappolati in Libia, dove hanno subìto violazioni dei diritti umani e abusi».
Il nostro Paese, in particolare, continua a dare supporto ai libici per cosiddetti «centri ufficiali di detenzione per migranti». Mentre, ricorda ancora il libro, «tortura e altri maltrattamenti sono rimasti diffusi in questi centri».
E sempre in tema di migranti, l’Italia è finita sotto accusa per altri motivi: il codice di condotta imposto alle organizzazioni non governative che si occupano di salvataggi in mare; le nuove procedure d’asilo, che non hanno fatto chiarezza sul funzionamento degli hotspot; la gestione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
Amnesty International: rom e tortura in Italia
Ma non è tutto. A vedere i propri diritti umani violati nel nostro Paese ci sono spesso anche i rom, che «hanno continuato a essere sgomberati con la forza e segregati in campi dove le condizioni di vita erano al di sotto degli standard minimi». Una situazione talmente grave, questa, che neppure la Commissione europea è riuscita a contrastarla in maniera efficace, fanno notare i ricercatori.
Infine, scrive ancora il rapporto a riguardo della situazione nel nostro Paese, «è stato introdotto il reato di tortura, ma la nuova legge non ha soddisfatto tutti i requisiti richiesti dalla Convenzione contro la tortura».
Carcere, Stefano Cucchi nel Rapporto 2017-2018
Nel voluminoso rapporto trova spazio anche il caso di Stefano Cucchi. Il documento, infatti, ricorda che nel luglio 2017 «cinque agenti di polizia sono stati incriminati per il decesso in custodia di Stefano Cucchi, avvenuto nel 2009. Tre agenti sono stati accusati di omicidio colposo e due di diffamazione e false dichiarazioni». Il processo è ancora in corso.
Opporsi alla violazione dei diritti umani costa caro
Amnesty ricorda anche le tante lotte in corso in difesa dei diritti umani. «Ma il prezzo da pagare continua a crescere». La carrellata di Paesi citati dal segretario generale è molto lungo. Si va dalla Turchia, che ha colpito anche presidente e direttrice di Amnesty International Turchia. Alla Cina, che con la scusa della «sicurezza nazionale» silenzia tutte le critiche rivolte al governo del Paese.
Ma non mancano ampi riferimenti, da questo punto di vista, anche a Russia, Angola, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone, Togo, Uganda, Venezuela. E le libertà civili sono pesantemente ristrette pure In Egitto, Iran e in diverse altre nazioni.
Difensori dei diritti umani: il caso Xiaobo
A 20 anni dall’adozione della Dichiarazione dei difensori dei diritti umani da parte dell’Onu, il documento ricorda la storia del premio Nobel Liu Xiaobo, morto nel 2017 in Cina. Una fine «emblematica del disprezzo di troppi governi per i difensori dei diritti umani. È morto in custodia per un cancro al fegato, il 13 luglio, dopo che le autorità cinesi gli avevano impedito di ottenere trattamenti medici».
Fake news: abusi e false notizie viaggiano sul web
Il report denuncia anche «la valanga di abusi online, specialmente contro le donne, e l’incitamento all’odio verso le minoranze», che nonostante la situazione «hanno indotto una risposta debole e inconsistente da parte delle compagnie che gestiscono i social media e azioni insufficienti da parte dei governi».
I ricercatori ricordano dunque l’impatto delle “notizie false” come mezzo per manipolare l’opinione pubblica. Una situazione che ha evidentemente a che fare con il diritto d’accesso all’informazione. E che è aggravata «dalla concentrazione estrema nelle mani di solo poche aziende del controllo sulle informazioni che le persone vedono online e da un’enorme asimmetria di potere tra i singoli individui, le compagnie e i governi, che controllano una vasta quantità di dati».
Tra i pericoli citati a questo proposito, ci sono quelli «dell’incitamento all’odio e alla violenza, praticamente senza controllo».