Maldive: nelle isole regna il caos a pochi mesi dalle elezioni
Le Maldive sono in piena crisi. Ferite da un colpo di stato e da un presidente che annulla fondamentali diritti umani dei cittadini, le isole sono contese tra India e Cina. Una spirale che si è aggravata con la dichiarazione delle stato di emergenza, già condannata dalle Nazioni Unite
Da una parte gli amici dell’Arabia Saudita e della Cina, che sta facendo razzia di isole, appalti e potere nello strategico arcipelago dell’Oceano Indiano. Dall’altra una spaventosa recrudescenza di estremismo islamico, che ha trovato nel Paradiso Maldive un nutrito vivaio di giovani disposti a immolarsi in nome del wahabismo più fanatico.
In mezzo un popolo sempre più oppresso, spaventato e schiacciato dal presidente dittatore Abdul Yameen, l’uomo che la scorsa settimana ha conquistato l’attenzione della stampa internazionale. Non per la bellezza e la trasparenza dei mari della sua nazione, bensì per le continue gravissime violazioni dei diritti umani più basilari del suo popolo.
Dove si trovano le Maldive: la cartina
L’avanzata della Cina nel caos delle isole Maldive
Sì, perché il problema non è più soltanto l’abuso di potere, il dilagare di gang armate, corruzione, droga e omicidi che, denunciano i suoi oppositori, sono stati commissionati dal presidente. L’affaire Maldive sta creando un caos geopolitico. Se prima il partner commerciale di Malè era la democratica India, da sempre in ottimi rapporti diplomatici e commerciali col Paese, ora la stessa India è stata scalzata dai cinesi, il cui potere economico e strategico si fa sempre più forte.
Proprio per permettere a questi ultimi di fare affari nell’arcipelago, il presidente in carica ha abrogato nel 2015 una norma costituzionale, ovvero il divieto per gli stranieri di acquistare isole e terreni senza partner commerciali locali. La posizione delle Maldive fa infatti gola alle grandi potenze vicine, per le quali gli oltre mille atolli – tantissimi disabitati – costituiscono un eccellente punto strategico nel bel mezzo dell’Oceano Indiano.
Racconta al telefono dall’esilio in Sri Lanka Hamid Abdul Gafoor, portavoce internazionale del Partito democratico internazionale:
«I cinesi si stanno comprando tutto. È un saccheggio. Con operazioni che di trasparente non hanno nulla, si sono impossessati di decine di isole, spesso sgomberando la popolazione locale».
Gli affari di Pechino nel Paradiso dei turisti
Ma più che al turismo e ai lussuosi resort, i nuovi investitori sono interessati al commercio: «Stanno mettendo le mani su grossi affari, come la costruzione di porti e la pesca, da sempre unica fonte di sostegno della popolazione. E poi si sono aggiudicati decine di appalti per costruire case destinate ai maldiviani “amici” (criminali e gang che forniscono una sorta di servizio di polizia parallelo, ndr)». Progetto, quest’ultimo, del valore di 434 milioni di dollari, finanziato dall’Industrial Commercial Bank of China.
Malè, capitale delle Maldive (via Wikimedia Commons)
Infine le infrastrutture, come il ponte che collega Malè all’isola attigua, dove atterrano i voli internazionali, e un nuovo aeroporto finanziato dalla China’s Exim Bank per 373 milioni di dollari, con un avveniristico terminal appaltato alla Saudi Bin Laden Group per 500 milioni di dollari senza aver indetto alcuna gara.
Progetti faraonici quanto – secondo l’opposizione – inutili, che starebbero facendo lievitare il tesoretto miliardario frutto di mazzette e tangenti accumulato dal presidente Yameen in Arabia Saudita. A fronte di una popolazione che muore di fame e paura, sempre più povera e priva di lavoro, dignità e diritti.
Onu: stato di emergenza è «violazione dei diritti umani»
Tutto è cominciato il 1° febbraio, quando cinque giudici della Corte suprema hanno ordinato la scarcerazione di nove detenuti politici, per la gioia del partito democratico all’opposizione. Una festa che è durata pochissimo. La polizia ha interrotto tutti i raduni dei “dissidenti” e il presidente Yameen ha immediatamente dichiarato lo stato di emergenza (definito dall’Onu «un assalto alla democrazia e l’ennesima violazione dei diritti umani»), avocando a sé tutti i poteri, sospendendo la Costituzione e mandando l’esercito a sfondare le porte della Corte suprema.
Due giudici sono finiti in galera e agli altri tre, resi più collaborativi da una pistola puntata alle tempie, è stata imposta la revoca della sentenza di scarcerazione. Gafoor parla di «una situazione infernale per la popolazione. I maldiviani, dopo un momento di euforia sono ripiombati nel buio e nella paura. Attualmente ci sono in carcere, o agli arresti domiciliari, circa 1.700 persone che hanno ricevuto processi sommari e che nella gran parte dei casi sono in prigione solo per aver espresso opinioni politiche contrarie al governo».
In carcere sono finiti anche due giornalisti di France Presse e Abdhul Gayoom, fratellastro di Yameen, che aveva governato il paese per trent’anni prima del breve periodo democratico di Mohammed Nasheed, ora in esilio a Londra, uno dei destinatari della contestata sentenza della Corte suprema.
La storia: da democrazia a colpo di stato alle Maldive
Nel 2012 un colpo di stato militare rovescia il governo democratico di Nasheed.
Yameen diventa presidente l’anno successivo, sconfiggendo per un soffio il rivale Nasheed. Sin dai primi giorni, sostengono i suoi oppositori, ordina incarcerazioni, rapimenti, omicidi, raccolta di tangenti e detta lui stesso le sentenze di condanna ai suoi amici giudici. Yameen mette in carcere quasi tutti i membri del partito democratico. Ma anche quelli che l’hanno sostenuto nella sua ambigua ascesa, personaggi che chiedono il rispetto delle promesse fatte in campagna elettorale. Squadra nuova vita nuova, insomma.
In cella finisce per l’ennesima volta il suo peggior rivale Nasheed, primo presidente eletto dal popolo nel 2008 con regolari votazioni nella storia dell’arcipelago.
7 febbraio 2012-7 febbraio 2018: sarà festa nazionale?
Il colpo di stato è avvenuto il 7 febbraio del 2012 e il 7 febbraio di quest’anno è il giorno in cui Yameen ha ripreso le redini delle Maldive, da qui l’idea di dichiarare festa nazionale la data.
Tra le riforme del nuovo presidente insediato, il “suggerimento” alle donne di riprendersi il velo (le Maldive avevano una forma di islamismo molto moderata), la stretta osservanza di un codice penale a metà tra la sharia e la legge inglese, la reintroduzione della pena di morte e del reato di tradimento da parte delle donne.
Tutto questo mentre i suoi uomini venivano filmati in un reportage di Al Jazeera visibile su You Tube intenti a ubriacarsi, fare orge con minorenni, ricattare e intascare a man bassa tangenti da una popolazione sempre più impoverita e sottomessa.
Nei giorni scorsi il dittatore ha dichiarato che «i giudici hanno tentato di mettere in ginocchio il paese. Non ci sono riusciti e questo passerà alla storia. Rendiamoci conto che il lavoro più sincero è stato fatto dalla polizia e dalle forze dell’ordine».
Alla storia, però, passerà senz’altro la sua decisione, presa nel 2016, di uscire dopo 34 anni dal Commonwealth che aveva intimato al paese «di aver tempo fino al 2017 per migliorare la sua azione in relazione alla gestione della democrazia nell’arcipelago».
Yameen attacca la libertà di stampa a Malè
Yameen sta abolendo la libertà di stampa nel paese. Decine di giornalisti incarcerati o uccisi. Tra questi il giovane Ismail Rasheed, scomparso misteriosamente per aver denunciato «il crescente fondamentalismo religioso accompagnato da ortodossia xenofoba».
In un rapporto di Amnesty International si legge: «Le forze di sicurezza prendono di mira le persone solo per l’appartenenza politica. Tra le vittime ministri, parlamentari e sostenitori del partito democratico maldiviano».
Nasheed si prepara alle elezioni dall’esilio a Londra
Nasheed, giornalista e politico, ha trascorso metà della sua vita in carcere a causa del suo impegno per la democrazia. Nonostante le cicatrici che si porta addosso, dichiara:
«Non ho mai pensato di abbandonare la politica e il mio paese, ma per favore non chiamatemi il Mandela dell’Oceano Indiano. Di Mandela ce n’è solo uno»
Ora è esiliato politico a Londra, da dove continua la battaglia in attesa di candidarsi alle elezioni di ottobre. Con frequenti viaggi in Sri Lanka, paese che ha dato asilo gran parte dell’opposizione, ha tenuto in piedi il partito democratico.
Con lui il popolo ha visto per la prima volta una Costituzione, tribunali indipendenti e un inizio di politica sociale, che comprendeva la costruzione di scuole, ospedali e progetti di infrastrutture. Tra le riforme previste e mai portate a termine, c’era anche quella di togliere gli abitanti dall’isolamento in cui vivono, confinati in isole deserte, spesso senza corrente e fognature e col divieto assoluto di avvicinarsi ai resort e ai turisti.
Recentemente al Partito democratico si è avvicinato anche Gayoom, il fratellastro di Yameen che dopo averlo appoggiato per anni, stanco di vedere il popolo oppresso ha deciso di schierarsi contro di lui. Ora è in carcere. Ma le prossime elezioni non sono così lontane.