The Harvest: il film sul nuovo caporalato agricolo in Italia
Recensione e trailer di The Harvest, il film di Andrea Paco Mariani, un racconto dello sfruttamento dei braccianti indiani, di religione Sikh, impiegati nelle aziende ortofrutticole della provincia di Latina. Un documentario dove si alternano testimonianze e denunce di vittime di caporalato a balli tradizionali
Dall’alba al tramonto la giornata di Gurwinder, agricoltore indiano Sikh, si intreccia con quella di Hardeep, italiana di seconda generazione, mediatrice culturale della comunità indiana dell’Agro Pontino. Le due storie raccontano la realtà di caporalato e sfruttamento a cui sono sottoposti i Sikh, che lavorano come braccianti nelle piccole, medie e grandi aziende della provincia di Latina. Ne parla il docu-musical di Andrea Paco Mariani, The Harvest, che ha già vinto il premio come miglior documentario al “Noida International Film Festival”, in India.
Il trailer e la trama del film The Harvest
Il film racconta l’umiliazione e il riscatto di un’intera comunità, combinando il linguaggio della musica e delle danze tradizionali a quello del documentario.
Lo spiega a Osservatorio Diritti Claudio Cadei, responsabile della colonna sonora originale e membro del team di produzione: «Il linguaggio del musical genera nello spettatore empatia nei confronti della comunità Sikh, la avvicina alle nostre esperienze di lavoro».
Caporalato nascosto nell’Agro Pontino in The Harvest
Nell’Agro Pontino la comunità indiana conta circa 30 mila persone, impiegate principalmente nel settore agricolo. Gurwinder, 34 anni, è uno di loro. Viene reclutato dal caporale tramite messaggi vocali sul telefono. Lavora fino a 14 ore al giorno nei campi e nelle serre dove vengono prodotti meloni, pesche e ortaggi, diretti in tutta Europa. «Abbiamo scelto l’Agro Pontino per poter parlare di sfruttamento lavorativo senza spettacolarizzare il tema», spiega Claudio Cadei.
«Volevamo fare breccia in un contesto più nascosto, dove lavoro nero e regolare si mescolano»
Il riscatto di Gurwinder nella trama del documentario
«La storia di Gurwinder è quella di tanti uomini della sua età che hanno deciso di alzare la testa nei confronti dello sfruttamento», dice ancora Claudio Cadei. E sottolinea come il riscatto sia stato un processo collettivo, che ha ha portato allo sciopero del 18 aprile 2016. La protesta è cominciata nei templi, come emerge nel film.
«Gurwinder ha fatto parte di tutto questo percorso e ha subito ripercussioni per aver richiesto migliori condizioni al datore di lavoro».
Il protagonista maschile del documentario, infatti, è stato allontanato da un’azienda per cui lavorava appena prima che iniziassero le riprese del film. «È stata una scelta coraggiosa la sua», sottolinea. «Ci ha messo la faccia».
Una filiera ortofrutticola di sfruttamento e caporalato
Il regista Andrea Paco Mariani descrive una realtà opaca della filiera ortofrutticola e florovivaistica fatta di buste paga fasulle, salari bassissimi e ritmi di lavoro inumani. «Dai 2 ai 4 euro all’ora per lavorare tutta la giornata nelle campagne, sette giorni su sette», spiega il sociologo Marco Omizzolo, responsabile scientifico della cooperativa In Migrazione che ha accompagnato il regista nelle riprese del film. Gurwinder, come altri, è stato costretto ad accettare di lavorare reclutato dai caporali, ha ricevuto pagamenti in nero, salari di molto inferiori rispetto alla normativa di riferimento.
Hardeep, invece, fa luce su un’altra realtà: quella degli sportelli a sostegno dei diritti dei lavoratori. Da mediatrice culturale aiuta le famiglie a comprendere se hanno un lavoro in regola, se ricevono i contributi. Li supporta nello sbrigare le pratiche relative al permesso di soggiorno e insegna l’italiano per farli uscire dalla condizione di subalternità.
Al lavoro nei campi con “l’aiuto” di sostanze dopanti
Nel film Gurwinder rappresenta chi è stato costretto ad assumere sostanze dopanti per affrontare la lunga giornata di lavoro.
«Spesso il datore di lavoro o il caporale incentivano l’uso di queste sostanze per aumentare la produttività dei braccianti».
Lo racconta nel film il presidente della cooperativa In Migrazione, Simone Andreotti. E il protagonista ha accettato di mostrare l’aspetto controverso dell’assunzione di sostanze per migliorare le prestazioni lavorative:«È un tema di cui la comunità Sikh fa fatica a parlare, a farlo emergere nel discorso pubblico», spiega Claudio Cadei.
Il film di Paco Mariani girato in un contesto protetto
«Qualche settimana prima del nostro primo set, una troupe di Presa Diretta era stata aggredita», racconta Claudio Cadei. Che sottolinea: «Ci siamo organizzati per ricostruire alcune scene in un contesto protetto, basandoci sui racconti dei ragazzi».
Una scelta che il membro del team di The Harvest spiega così: «Abbiamo voluto tutelarci e tutelare i braccianti che vivono e lavorano nel territorio di Latina, non volevamo metterli in pericolo».
The Harvest: documentario nato da lavoro collettivo
Claudio Cadei definisce il film come frutto di un lavoro collettivo, che ha coinvolto l’intera comunità Sikh e un gruppo di danzatori tradizionali di seconda generazione, originari di Cremona.
Il documentario è stato occasione di incontro tra prime e seconde generazioni, attraverso linguaggi comuni. Spiega Claudio Cadei: «La danza riveste un ruolo importante nella diaspora migratoria dei Sikh, parla del Panjab, la loro terra d’origine».
Il film sarà proiettato per la prima volta a Milano giovedì 15 febbraio allo Spazio Oberdan. A seguire, il 16 febbraio, sarà al Cinema Corso di Latina, il 17 al Cinema Apollo 11 di Roma e il 21 al Bloom Cinema di Mezzago.