Tratta di esseri umani: ecco come funziona la mobilità del male
40 milioni di vittime di "schiavitù moderna" in tutto il mondo. Dalla Libia al Bangladesh. Dalle donne intrappolate nella prostituzione ai ragazzini costretti al lavoro forzato. In ogni angolo del Pianeta c'è qualcuno che è stato travolto nella tratta di esseri umani. Lo raccontiamo in occasione della Giornata mondiale contro la tratta
Nel mondo ci sono 40,3 milioni di persone vittime di “schiavitù moderna“. E solo negli ultimi 5 anni 89 milioni di esseri umani hanno subito esperienze di schiavismo, per periodi variabili da pochi giorni fino all’intero quinquennio. A dirlo sono l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) e la Walk Free Foundation, che includono in questo mondo di diritti violati e soprusi i matrimoni forzati e il lavoro forzato.
Giornata mondiale contro la tratta: storia di Bakhita
L’8 febbraio 2018 è la Giornata mondiale contro la tratta di essere umani che mira a mettere al centro delle agende politiche la lotta al dramma quotidiano di queste persone. Una data non casuale: l’8 febbraio del 1947 moriva a Schio, in provincia di Vicenza, la prima donna africana in grado di parlare il dialetto veneto, dichiarata santa da papa Giovanni Paolo II nel 2000.
Era nata 78 anni prima in un villaggio del Darfur, in Sudan, e la chiamavano Giuseppina Bakhita. “Giuseppina” come il nome scelto in sede di battesimo per lei dalle suore canossiane di Venezia (Figlie della Carità), con cui aveva preso i voti.
Anche perché la donna, rapita all’età di 7 anni dai mercanti di schiavi arabi nel suo villaggio natale, aveva rimosso dai ricordi il suo vero nome. “Bakhita” (“fortunata” in arabo) era il nomignolo che le avevano affibbiato proprio i suoi rapitori per renderla ancora più appetibile sul mercato delle bambine. È la breve storia di una delle prime schiave moderne con una storia che è in grando di ricordare quanto ancora oggi accade lungo le rotte migratorie di tutto il pianeta.
Schiavitù moderna tra prostituzione e lavori forzati
La schiavitù moderna ha mille facce. Dal sesso sui marciapiedi delle metropoli a cui vengono costrette le donne nigeriane vittime di tratta fino al caporalato nei campi del mezzogiorno d’Italia. Dai lavori domestici forzati degli ispanici irregolari negli Stati Uniti ai bambini-soldato armati di kalashnikov nelle guerra civile in Repubblica Centrafricana, passando per i macchinisti dei pescherecci che solcano l’Oceano Indiano fino agli espianti di organi illegali in uno scantinato di Baku, in Azerbaijan (l’articolo dell’Linkiesta).
Lo schiavismo moderno ha tante facce e, soprattutto, non conosce frontiere e non conosce età. Nel documento pubblicato l’anno scorso dal Dipartimento di Stato Usa Rapporto sulla Tratta degli esseri umani 2017, per esempio. è sufficiente osservare le foto allegate per comprendere che cosa sia la mobilità del male.
In una si vede un poliziotto peruviano in divisa fare da vedetta e security privata a un bordello in pieno centro, mentre una giovane sporge il volto da dietro una tenda per intercettare clienti.
In un altro scatto un bambino del Bangladesh indossa solo una sciarpa attorno alla bocca per proteggere i suoi polmoni dai fumi e le polveri d’alluminio sul luogo di lavoro. Un suo coetaneo di famiglia indonesiana trasporta a spalla un sacco di merce alto più di lui lungo i moli del porto di San Francisco. E, ancora, un ragazzino brasiliano, seminudo, fissa in camera mentre rastrella carbone da terra.
Sfruttamento dalla Libia ai profughi Rohingya in vendita
Se il 2017 è stato l’anno in cui per la prima volta delle telecamere, quelle della Cnn, sono riuscite a immortalare una vera e propria asta di schiavi in Libia, riaccendendo i riflettori su una delle peggiori crisi umanitarie del Pianeta, è vero anche che la geografia dello sfruttamento va ben oltre il Mediterraneo, le sue rotte migratorie o ciò che possiamo vedere, come la prostituzione nigeriana in Europa (su questo tema, leggi l’intervista di Osservatorio Diritti a Myria Vassiliadou, coordinatrice anti-tratta della Commissione Ue).
Nel luglio 2017 un’inchiesta giornalistica della Reuters ha rivelato come le forze di sicurezza navale e la polizia di frontiera thailandese collaborassero sistematicamente con gruppi di trafficanti di uomini per vendere i profughi Rohingya soccorsi in mare.
I Rohingya sono una minoranza musulmana perseguitata in fuga dal Myanmar, spesso in direzione di India, Bangladesh o Oceania e che hanno dato vita al più gigantesco esodo di persone nell’area dai tempi dei boat people vietnamiti.
L’inchiesta della Reuters si è basata su oltre venti testimonianze di sopravvissuti. Il meccanismo era crudele e ben rodato: chi organizzava il gommone-barcone e il trasporto dall’area del Rakhine State in Myanmar si faceva pagare 200 dollari a persona e, con quei soldi, corrompeva le autorità portuali e costiere locali per lasciar partire l’imbarcazione. Poi girava la lista dei passeggeri e la rotta a un trafficante di uomini in Thailandia. Che, a propria volta, passava il tutto a forze di sicurezza navale private e polizia tailandese in grado di intercettare il barcone alla coordinate comunicategli e lo rimorchiava a terra.
A quel punto, chi poteva pagare fino ad altri 1.900 dollari veniva stipato su dei pick up e portato fino al confine con la Malesia con tanto di mazzetta alle dogane locali per farli entrare. Per tutti gli altri un destino certo: le donne mandate in sposa al miglior offerente, mentre gli uomini usati come manodopera gratuita nelle piantagioni o sui pescherecci.
America Latina ai lavori forzati
Andando ad altre longitudini, il fenomeno della tratta di persone presenta caratteristiche ancora diverse. Secondo l’Ufficio Onu per le droghe e il crimine (Unodc), in America Latina e Caraibi oltre il 44 per cento delle persone trafficate erano destinate a lavori forzati non sessuali. Una quota più elevata che in Europa e Asia.
L’Organizzazione internazionale del lavoro segnalava nel 2012 come oltre 1,8 milioni di sudamericani fossero coinvolti in lavori forzati, una cifra che non considera i flussi extracontinentali verso Europa e Asia.
I due Paesi con percentuali più alte di popolazione in “schiavitù moderna” (come la definiscono le Nazioni Unite) sono Repubblica Domenicana e Haiti. In America Latina le cause della tratta raramente coincidono con conflitti bellici o vere e proprie persecuzioni ai danni di gruppi etnici, religiosi o politici.
Le cause della tratta di esseri umani
Accade più spesso, invece, che la tratta sia legata a un mix di fattori socio-culturali: livelli salariali, educativi e occupazionali molto scarsi, soprattutto fra le donne e per i membri delle minoranze indigene in nazioni che di per sé già vivono profonde crisi del proprio modello economico e statale; disastri naturali, come il terribile terremoto che colpì Haiti nel 2010; presenza di gang e criminalità diffusa in stati come El Salvador, dove si sono combattute cruente guerre civili (1982-1992) che hanno creato veri e propri mercenari della violenza urbana; corruzione diffusa, in particolare fra gli uomini della agenzie di law enforcement e controllo delle frontiere che lasciano correre i traffici in cambio di tangenti (quando non sono loro stessi gli organizzatori); un persistente “machismo” di stampo culturale che tende a discriminare su base sessuale; le politiche migratorie molto restrittive, sia in entrata sia in uscita, per esempio con i rimpatri coatti, nei Paesi di destinazione dei flussi, come avviene ai confini californiani e texani degli Stati Uniti. Politiche dure perseguite a caro prezzo e con grande dispendio di risorse che finiscono spesso ottenendo l’effetto contrario rispetto ai propositi: incentivare la tratta e le rotte illegali.