Brasile, Lula condannato a 12 anni: «È una sentenza politica»
L'ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, è stato condannato a 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggio di denaro. Ma tutto fa pensare a una «sentenza politica»: presentati tanti indizi, ma nessun documento che provi la proprietà dell'appartamento all'origine del processo
L’ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, è stato condannato ieri in appello per i crimini di corruzione e riciclaggio di denaro**. Ma la sua condanna in primo e secondo grado si basa su indizi e denunce fatte dai collaboratori di giustizia, senza alcuna prova documentata in grado di dimostrare la proprietà dell’appartamento che sta all’origine del processo. I tre giudici del Tribunale federale di Porto Alegre hanno confermato la condanna per unanimità.
L’ex presidente può ancora fare ricorso alle istanze superiori, come il Tribunale superiore elettorale e al Supremo tribunale federale.
Processo Lula: cosa è successo in primo grado
Lula è stato condannato nel luglio di 2017 dal giudice di primo grado Sergio Moro a 9 anni e 6 mesi di carcere in un caso collegato all’operazione Lava Jato, l’inchiesta che ha svelato lo scandalo di corruzione che ha travolto il Brasile.
Nella sentenza, Moro sosteneva che l’ex presidente sarebbe il proprietario di un appartamento che avrebbe occultato nella località marittima di Guarujá e che l’immobile sarebbe una tangente della società edile Oas.
Pena di 12 anni senza prove per l’ex presidente
Durante l’udienza di ieri, che è durata tutta la giornata, le parole usate con frequenza dai magistrati sono state: «elementi», «collegamenti causali», «indizi collegati ai fatti». I giudici João Pedro Gebran Neto, relatore del processo, e Leandro Paulsen, hanno cercato di argomentare le loro decisioni. Ma quanto a prove concrete, che provino che Lula fosse il proprietario dell’appartamento, non si è visto neppure uno straccio di documento.
Luiz Inácio Lula da Silva – Foto: Ricardo Stuckert/PR-Agência Brasil (via Wikimedia Commons)
Gebran Neto ha fatto la più lunga esposizione sulle convinzioni di colpevolezza di Lula. Dopodiché Paulsen e Laus hanno pronunciato i loro voti seguendo le indicazioni di Gebran, che non solo confermava la sentenza di primo grado, ma aumentava la pena da 9 a 12 anni e 1 mese di reclusione.
Condannato con «sentenza politica, una grande farsa»
In un’intervista rilasciata alla Rádio Brasil Atual, Paulo Sergio Pinheiro, ex ministro per i Diritti umani nel governo dell’ex presidente del Brasile Fernando Henrique Cardoso ha dichiarato che «la magistratura (in Brasile) ha assunto il ruolo di consigliere del colpo di stato. Una decisione estremamente politicizzata. Anche se i giudici cercano di dimostrare di rispettare la democrazia, è stata una grande farsa, la seconda parte della farsa dopo l’impeachment (di Dilma Rousseff)».
«Non è solo una decisione inaccettabile, ma certamente gravissima nella prospettiva di un sistema giudiziario indipendente. Questa decisione conferma che nell’attuale sistema giudiziario del Brasile non ci sono condizioni affinché (il processo a) Lula sia esaminato da una giustizia equa».
Magistrato: «Avevo convinzioni, non prove contro Lula»
Il disastroso scenario era prevedibile già dall’accusa del pubblico ministero nei confronti di Lula. All’epoca Deltan Dallagnol, uno del pool di magistrati che lavorano al caso Lava Jato, aveva affermato di «avere convinzioni e non prove contro Lula». Da allora si era capito che questo processo avrebbe avuto un andamento più politico che giuridico.
Luiz Inácio Lula da Silva – Foto: Agência Brasil Fotografias (via Flickr)
Come dimostra la mancanza d’imparzialità dei magistrati nel caso, a partire dal fatto che Moro è stato, allo stesso tempo, il giudice istruttore e quello giudicante. Cioè, quello che ha condotto l’indagine e poi quello che ha emesso la sentenza contro Lula. Tutto accompagnato da un’importante spettacolarizzazione mediatica.
Elezioni presidenziali in vista: candidatura Lula in forse
A ottobre 2018 ci sono le elezioni presidenziali in Brasile e i sondaggi pre-elettorali davano Lula nettamente al primo posto con il 35% delle intenzioni di voto. Un vantaggio abbastanza importante sul suo concorrente diretto, Jair Bolsonaro, ex militare in pensione rappresentante dell’estrema destra brasiliana e attualmente deputato federale a Brasilia.
Con la condanna in appello, però, Lula forse non potrà più partecipare alle elezioni. In base alla legge della “Ficha Limpa”, firmata proprio da Lula nel 2010, infatti, i condannati in secondo grado non possono candidarsi alle elezioni.
**Alla redazione di questo articolo ha partecipato anche un’altra giornalista brasiliana, Caroline Cavassa