Export armi: Italia non dice a chi le vende. Segreti anche con Onu
Da nove anni l’Italia non invia informazioni all'Unroca, cioè al Registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali. E al Segretariato dell’Att di Ginevra non fornisce la lista dei paesi a cui esporta gli armamenti
C’è un settore di cui i nostri governi, di qualsiasi colore, di tanto in tanto si fanno vanto. È quello del controllo dell’export di armi. Dopo gli scandali degli anni Ottanta, e grazie soprattutto all’ampia mobilitazione messa in campo dalla società civile, l’Italia si è dotata di una legge che regolamenta una materia fondamentale per la pace e per la nostra stessa sicurezza: le esportazioni di sistemi militari.
La legge 185/90 sull’esportazione di armamenti
La legge n. 185 del 9 luglio 1990 ha infatti introdotto nel nostro Paese “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Una legge per niente pacifista. Se così fosse stata, avrebbe avuto un solo articolo semplice e chiaro: «La produzione di materiali d’armamento è vietata». Ma che molte associazioni, anche dichiaratamente pacifiste, hanno promosso e cercano tuttora di difendere soprattutto dai continui attacchi delle lobby militari-industriali (e politiche) nazionali che non hanno mai sopportato le restrizioni, i controlli e la trasparenza che la legge ha introdotto.
Non è un caso, quindi, che siano proprio coloro a cui sta più indigesta a presentarla con frasi roboanti del tipo «una delle normative più restrittive e avanzate a livello internazionale», «grazie alla quale il Parlamento è puntualmente e dettagliatamente informato in materia». È sufficiente ascoltare in proposito gli interventi della ministra Roberta Pinotti per farsene un’idea.
Obbligo di trasparenza sul commercio di armi
Uno degli aspetti più rilevanti della legge 185/1990 è quello dell’informazione pubblica sulle esportazioni di armamenti. La norma, infatti, stabilisce che il presidente del Consiglio dei ministri invii al Parlamento una relazione annuale sulle operazioni autorizzate e svolte, nell’anno precedente, di esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento.
La legge definisce con chiarezza anche il livello di dettaglio delle informazioni che la relazione deve contenere. Si tratta di «indicazioni analitiche – per tipi, quantità e valori monetari – degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite indicandone gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti» e «la lista dei Paesi indicati nelle autorizzazioni definitive, l’elenco delle revoche delle autorizzazioni stesse» (art. 5).
Così facendo, la legge identifica nella trasparenza un valore positivo anche in una materia, come le esportazioni di armamenti, che per decenni era stata sottoposta al “segreto di Stato”. Detto semplicemente: la trasparenza è un valore fondamentale anche per quanto riguarda le nostre esportazioni militari e il commercio di armi.
Non è un caso, quindi, che molti dei nostri rappresentanti politici siano portati a pensare che, grazie proprio alla legge 185/1990, l’Italia sia non solo uno dei paesi più restrittivi, ma anche più trasparenti a livello mondiale.
Armi convenzionali: l’Italia non informa l’Onu da 9 anni
Ha suscitato non poca sorpresa un mio intervento lo scorso ottobre, quando in un’audizione in Commissione alla Camera ho “svelato” che l’Italia è, invece, uno dei paesi meno trasparenti se non al mondo, sicuramente a livello europeo.
L’ho documentato segnalando, innanzitutto, la differente informazione pubblica tra l’Italia e gli Stati Uniti (che sono il principale esportatore mondiale di sistemi militari) e anche rispetto ai principali paesi europei. A differenza dei suddetti paesi, l’Italia dal 2009 non invia informazioni all’Unroca, cioè al Registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali.
Pare che da allora nessun parlamentare se ne sia accorto o abbia chiesto spiegazioni al governo. Men che meno le hanno chieste gli esperti di strategie militari che quotidianamente pontificano nei salotti televisivi. Anche se con la Rete italiana per il disarmo abbiamo ripetutamente sottoposto la questione all’attenzione degli organi incaricati dai governi che si sono succeduti in questi anni.
Riserbo totale anche in Arabia Saudita, Kuwait e Qatar
Sta di fatto che Stati Uniti, Germania, Regno Unito (e anche Francia) puntualmente inviano loro rapporti all’Unroca e perfino Russia e Cina hanno inviato all’Onu informazioni abbastanza aggiornate. L’Italia, invece, è ferma al 2009.
Segnalo che tra i Paesi che non inviano informazioni all’Onu sulle proprie importazioni di armi figurano Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Turkmenistan, che sono i Paesi verso cui l’Italia negli ultimi anni ha esportato sempre più armamenti: Paesi che i nostri recenti governi considerano partner affidabili, anche nel contrasto al terrorismo internazionale.
A chi vende armi l’Italia? Informazione top secret
Ma c’è di più. Nonostante l’enfasi con cui la Farnesina afferma che «l’Italia è stata il primo paese dell’Unione Europea a ratificare il Trattato sul Commercio di Armi-ATT (settembre 2013), cui essa attribuisce un ruolo fondamentale non solo per la regolamentazione del commercio delle armi, ma anche per la promozione del rispetto dei diritti umani», il nostro Paese lo scorso anno ha inviato a Ginevra, cioè alla sede del Segretariato dell’ATT, informazioni gravemente insufficienti riguardo alle esportazioni di armamenti autorizzate ed effettuate nel 2016.
Qui sopra, la Farnesina (di Gianni o O, via Wikimedia Commons)
Una veloce scorsa al rapporto dell’Italia per l’anno 2016 rivela che manca una colonna che era presente nel rapporto per l’anno 2015: quella dei paesi destinatari.
Si sanno cioè le tipologie e il numero di armamenti la cui esportazione è stata autorizzata (però non le consegne effettive, che non è un dato irrilevante, anzi!), ma non si conosce il Paese acquirente. Manca, cioè, un’informazione fondamentale per un effettivo controllo delle esportazioni di armi del nostro Paese.
Informazione che non manca, invece, nei rapporti inviati a Ginevra da parte del Regno Unito, Germania, Olanda, Spagna e nemmeno da parte di Francia e Svezia, che pur segnala l’utilizzo della “clausola di riservatezza”.
Quella strana clausola di riservatezza
Questo accade perché l’Italia (o meglio l’Uama, l’autorità competente in materia) ha deciso di avvalersi di quella che viene definita “clausola di riservatezza”: «In the submitted report, some commercially sensitive and/or national security-related data has been withheld in accordance with Article 13.3 of the Treaty».
Avvalersi di questa clausola rivela una decisione che l’Uama non può avere assunto da sola: è, infatti, una decisione di tipo politico che chiama in causa precise responsabilità se non dell’intero governo, sicuramente di alcuni ministeri tra cui quelli degli Esteri, della Difesa e dello Sviluppo economico.
Non è dato di sapere – ed andrebbe chiarito in sede parlamentare – il motivo dell’utilizzo della “clausola di riservatezza” e, nello specifico, se sia stata impiegata dall’Italia per ragioni di tipo commerciale o relative alla “sicurezza nazionale”: non sono, ovviamente, la stessa cosa.
Così è impossibile controllare le esportazioni di armi
Una cosa, invece, è certa: c’è un lungo elenco di paesi ai quali l’Italia esporta armamenti dei quali anche chi, come l’Uama, rilascia le autorizzazioni, evidentemente si vergogna. Ma invece di smettere di autorizzare le forniture, l’Uama continua a permetterle, nascondendo non solo agli italiani, ma anche nelle sedi internazionali, informazioni essenziali per il controllo dell’export di armi.
Sono informazioni fondamentali anche per il controllo dell’operato dell’Uama, per verificare cioè se questa Autorità rilascia le autorizzazioni rispettando i divieti e criteri imposti dalle leggi e dalle normative che essa stessa deve rispettare.
I lucrosi affari militari delle aziende italiane continuano
Al momento non è possibile sapere la ragione di questa sottrazione di informazioni: va fatta chiarezza nelle sedi appropriate, a cominciare dal Parlamento, perché non si può pensare di tacitare l’opinione pubblica. Ho però il forte sospetto che il motivo per cui l’Italia non invia alle sedi internazionali le informazioni richieste abbia ben poco a che fare con la “sicurezza nazionale”, ma sia di natura molto più volgare e meschina: cercare di non compromettere i lucrosi affari militari che le aziende, e soprattutto quelle a controllo statale come Leonardo (ex Finmeccanica), hanno in corso con dittatori e autocrati di mezzo mondo.
Affari che queste aziende si possono permettere grazie anche alla compiacenza dell’Uama. Non è perciò un caso che anche per il direttore dell’Uama, il ministro plenipotenziario Francesco Azzarello, la legge 185/1990 sarebbe «fra le più avanzate e rigorose in ambito internazionale». Appunto.