Missioni militari: Italia e Francia si contendono Libia e Niger

Montecitorio dà il via libera a nuove missioni militari in Africa. L'obiettivo è fermare migranti, trafficanti di uomini e jihadisti. La Francia è già nel Sahel. Partner e competitor allo stesso tempo, cercano il primato europeo nella rotta dei migranti. In palio c'è l'influenza sulle risorse

Trafficanti di uomini. Narcotrafficanti. Jihadisti. Il loro crocevia è la fascia desertica che dalla Mauritania si distende fino al Sudan: il Sahel. La Francia da luglio guida con 4 mila soldati una missione per «stabilizzare» la regione. «Bisogna vincere la guerra contro i terroristi», diceva il presidente Emmanuel Macron a Niamey, capitale del Niger, a dicembre. Parigi guida una coalizione di cui fanno parte i Paesi del “G5 Sahel”: Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad e Mauritania.

Presidiare il cuore del Sahel per bloccare i migranti

Dal 17 gennaio anche l’Italia ha una sua missione in Niger, il cuore del Sahel, il Paese da cui transita la maggior parte dei migranti diretti in Libia e poi in Italia. Non è un Paese semplice: a ottobre, un commando del jihadista Adnan Abu Walid al-Sahraoui, promotore dello Stato Islamico del Sahel, ha ucciso quattro militari americani, in missione insieme ai nigerini.

Il controllo delle autorità locali è scarso: soprattutto lungo i confini, imperversano personaggi come il ciadiano Barka Chidimi, comandante della brigata Suqur al-Sahara (le Aquile del Sahara). Visto che la strategie europea, come insegna la Libia, sembra stringere alleanze con i trafficanti e pagarli per “non lavorare”, l’uomo si sarebbe proposto con una lettera a inizio ottobre come cacciatore di trafficanti (come lui) lungo i confini tra Niger e Libia. Una terra di nessuno dove convivono mercenari, gruppi jihadisti, trafficanti di petrolio.

missioni militariFoto di Jason Hall (via Flickr)

Ma ogni operazione di contrasto a trafficanti di uomini passa dal Niger. L’importanza strategica, di conseguenza, si è alzata al punto di attirare promesse da istituzioni internazionali come Unione europea, Banca Mondiale, fondi sovrani di Paesi del Golfo, per aiuti da oltre 23 miliardi di dollari da qui fino al 2021.

L’Italia in Niger: una missione militare da 470 soldati

L’obiettivo della missione italiana, si legge nell’ultimo decreto missioni militari, è «fornire supporto al governo nigerino rafforzandone le capacità di controllo del territorio al fine di incrementare il contrasto ai traffici illegali; concorrere alla sorveglianza delle frontiere e allo sviluppo della componente aerea».

In media, l’Italia porterà in Niger un contingente di soldati che in precedenza si trovavano in Afghanistan. Sarà composto in media da 256 soldati, numero che può aumentare fino a 470, e avrà mandato per operare anche in Mauritania, Nigeria e Benin.

I mezzi impiegati saranno due aerei e 130 terrestri, per un costo totale, previsto da gennaio a settembre, di oltre 30 milioni di euro, 49,5 milioni in un anno. A questa si aggiungono altri due militari per la missione Eucap Sahel, una missione civile di supporto alle guardie di frontiera di Mali e Niger da 244 mila euro. La loro autorizzazione è stata votata a camere sciolte, a un mese e mezzo dalle elezioni.

Una contesa tutta europea: Roma, Parigi e l’Ue

Francia e Italia si contendono il primato in Africa. Parigi vuole rafforzare la sua presenza in Niger, colonia ricca in particolare di uranio e vuole guadagnare spazio anche in Nord Africa, soprattutto in Libia e Tunisia.

Roma, da parte sua, vuole guidare il contrasto all’immigrazione irregolare (nella speranza, anche, di farlo pesare in Europa) e confermare il suo ruolo in Libia, dove storicamente ha vie privilegiate per lo sfruttamento di gas e petrolio.

In questo scontro europeo, in mezzo ci sono i migranti. L’alto commissario europeo Federica Mogherini ha detto in più occasioni che vuole «evacuare» quelli che si trovano in Libia e bloccare le rotte per nuovi ingressi nel Paese. Intervistato da il manifesto, il viceministro degli Esteri Mario Giro ha dichiarato: «Andiamo in Niger per evitare una nuova Libia».

missioni militariFoto: Alixandra Fazzina (via Flickr)

Nonostante a febbraio siano previste le prime elezioni libere in Libia, il Paese è lontano dalla stabilità, nonostante qualche timido tentativo di riconciliazione. Serraj ha promesso a dicembre agli sfollati di Tawergha, città vicino a Misurata fedele a Gheddafi nella rivoluzione del 2011, di poter rientrare a casa.

Voto in Libia: elezioni nel caos tra Haftar e Serraj

Il prossimo voto in Libia è tra le cause dell’escalation di violenza nel Paese. Non c’è entità che sia in grado di esercitare il monopolio nell’uso della forza, prima condizione per costruire esercito e polizia ed evitare abusi dei diritti umani, oggi all’ordine del giorno sia contro i migranti, sia contro la popolazione civile.

Da un lato c’è il generale Khalifa Haftar, che si sente il leader in pectore del Paese, come una sorta di nuovo Gheddafi. Dall’altra, c’è Fayez Serraj, il primo ministro nominato dalle Nazioni Unite. Haftar controlla la Cirenaica, l’est del Paese. Serraj, invece, è sempre più debole, anche a Tripoli.

Impossibile controllare le partenze dei migranti

A sud e a ovest il Paese è completamente spaccato. Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme per il rischio di violenze sui civili dopo che nell’area metropolitana di Tripoli si sono accesi gli scontri per il controllo dell’aeroporto di Mitiga. Secondo un comunicato del Governo di Serraj si tratta «di terroristi» vicini a Isis o Al Qaeda, ma secondo analisti e giornali locali è più probabile che si tratti del Benghazi Shura Council, una coalizione di rivoluzionari e jihadisti in contrasto con lo Stato Islamico e vicini ad Haftar.

L’instabilità ha reso impossibile anche un controllo delle partenze, che nel 2017 sono scese di molto rispetto agli anni scorsi. Secondo i dati Unhcr, dalla Libia sono partite nei primi 17 giorni del 2018 quasi 3 mila persone, una cifra in linea con i dati del 2015. Per altro, le milizie con le quali collaborava il governo di Serraj a Zuara e Sabratha, nel nord ovest del Paese, sono state sconfitte da gruppi armati rivali nel corso dell’estate.

Le missioni in Libia

In questo contesto esplosivo, l’Italia ha confermato nel decreto missioni il supporto alla Guardia costiera libicanonostante le critiche – con 3,5 milioni di euro per l’addestramento dei locali; offre un sostegno economico e militare alla missione Onu in Libia da 1,1 milioni di euro; supporta il governo Serraj in missioni di contrasto all’immigrazione irregolare e formazione di militari per 35 milioni di euro circa. E questo è solo lo sforzo economico a terra, a cui si aggiungono altri 120 milioni per Mare Sicuro, missione per proteggere le piattaforme petrolifere Eni al largo della Libia.

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