Desaparecidos: sulle “Orme della memoria” contro le sparizioni
"Orme della Memoria" è un progetto artistico nato in Messico: le scarpe dei familiari dei desaparecidos trasformate in un oggetto di denuncia delle sparizioni forzate. Un'iniziativa che nel tempo ha preso la forma di una vera mostra e che sta facendo ora il giro del mondo
da Città del Messico
Huellas de la memoria (Orme della Memoria) è un progetto artistico nato in Messico nel 2013 per sostenere e affiancare l’attività di ricerca dei familiari dei desaparecidos. A trasformarsi in totem contro l’amnesia collettiva sono le suole delle scarpe, quelle con cui i parenti e gli amici macinano chilometri alla ricerca dei loro cari.
I nomi, le storie e gli affetti sono incisi in maniera indelebile sulla gomma delle calzature. Di colore verde per chi ha ancora una speranza, nero per chi l’ha persa definitivamente con il ritrovamento dei resti della vittima. Oppure rosso, come il sangue versato per non aver voluto smettere di cercare.
Orme della memoria: per ricordare e continuare la lotta
«Miylinalli, la mia anima ti insegue a piedi fino ad incontrarti. La tua mamma, Graciela Pèrez. Mia figlia è scomparsa a Ciudad Mante, Tamaulipas, il 14 agosto 2012».
«Sono Chayito Muñoz Hernández, cerco mio zio José Rosario Hernández Domínguez, fatto sparire dal vigile Pablo I. a Cuauhtémoc, Chihuahua. Di lui non si hanno più notizie dal 23 ottobre del 2011». «Mi chiamo Manyelly Shadey, sono alla ricerca di mio padre, Patricio Barrera Corona, scomparso durante un controllo della polizia municipale a Turicato, Michoacán, il 23 settembre del 2009». Ecco alcune “orme della memoria”, raccolte dal collettivo.
Prove di un’assenza incolmabile, ma anche della responsabilità delle sparizioni forzate da parte dello Stato messicano, autore per questo di un crimine contro l’umanità, come riconosciuto dalle Nazioni Unite nel dicembre del 2006.
Chi sono i desaparecidos oggi
I desaparecidos oggi non sono persone che non si riescono più a localizzare e neppure esclusivamente gli oppositori politici, come in passato. Si definisce desaparecido chi in generale viene sequestrato e detenuto – quindi privato di un diritto fondamentale come la libertà di movimento – da un funzionario statale (o con la sua complicità) o da altri soggetti, e del quale non viene più data alcuna notizia.
Messico: il numero dei desaparecidos cresce in fretta
A febbraio 2013, il governo di Enrique Peña Nieto, in carica da soli due mesi, rese pubblico il database del Registro nazionale delle persone scomparse e desaparecidos in Messico (Rnped). All’epoca erano 24.957. Da quel momento l’Rnped, elaborato dal Sistema nazionale di sicurezza pubblica che raccoglie i numeri dal 2007, non ha mai smesso di essere aggiornato (leggi un articolo pubblicato da Osservatorio Diritti proprio sui desaparecidos in Messico).
A ottobre 2017 il totale era di 33.514. Tuttavia, secondo Data Civica, il 70% dei dati pubblicati sono sbagliati o approssimativi, come dimostra la piattaforma rilasciata a novembre 2017, con cui l’associazione ha provato a dare un nome e un volto per ora solo a 32.277 persone.
Volti e storie di donne, uomini e bambini scomparsi
Come precisa il collettivo Huellas de la memoria, quella dei desaparecidos, però, non è solo una questione di numeri. Prima di tutto sono donne e uomini, ragazze e ragazzi, figlie e figli. Huellas de la memoria cerca di recuperare e portare alla luce i loro nomi, raccontare le loro storie, spiegare come le famiglie continuino indefessamente a cercarli.
«Crediamo fermamente che l’angustia provocata dall’assenza di una persona scomparsa forzatamente sia un sentimento che riguarda tutti e non solo i familiari. Crediamo che quello di preservare la memoria sia un compito che riguarda tutti e non solo i familiari. Per questo lavoriamo in modo collettivo e orizzontale».
«La nostra funzione è di contribuire alla denuncia del fenomeno della sparizione forzata e di ricordare e filtrare attraverso il cuore le storie di ricerca e di amore che raccontano le “orme”».
Continue sparizioni forzate, resistenza, lotta a impunità
Anche se il progetto si esprime attraverso una forma artistica, «l’istanza è, e rimane, prima di tutto sociale, determinata dalla grave situazione di crisi in cui versano i diritti umani nel nostro paese». «Gli obiettivi del collettivo, infatti, sono tre: dimostrare che in Messico la sparizione forzata è una pratica continuativa e sistematica. Dare dignità all’esperienza dei familiari dei desaparecidos, attraverso il recupero delle loro storie di lotta e di resistenza e dei loro processi di organizzazione di fronte a un contesto di diffusa impunità, negazione e oblio».
E l’ultimo, non meno importante, è quello di «denunciare non solo il fenomeno, ma anche l’impunità che regna in Messico da decenni. Il governo, infatti, non ha mai voluto riconoscere i responsabili delle sparizioni forzate», come dimostrano i registri di alcune organizzazioni storiche tra cui il Comitato ¡Eureka! e Afadem.
Le scarpe come oggetto di memoria e denuncia
L’idea del progetto è venuta a uno dei fondatori del collettivo, Alfredo Lopéz Casanova, durante la seconda Marcia della dignità nazionale, che si è svolta a Città del Messico il 10 maggio del 2013. Non un giorno qualunque. Anche in Messico, infatti, il 10 maggio si celebra il Día de la Madre (Festa della Mamma). «In questa occasione ci siamo resi conto che le scarpe di tutti i familiari presenti alla manifestazione erano consumate dalla tanta strada che avevano fatto per cercare i loro cari».
«È stato in quel momento che si è pensato di trasformare le calzature, così personali, in un oggetto che faccia riflettere l’opinione pubblica e allo stesso tempo in un simbolo di denuncia del fenomeno della sparizione forzata».
Quel giorno, alcuni membri del collettivo hanno chiesto le scarpe a una madre di Monterrey, Nuevo León e con quelle hanno iniziato a sperimentare l’incisione delle parole sulla suola. Poi ne hanno ricevuto un altro paio da una madre de Torreón, Coahuila che conteneva un messaggio scritto a mano, una lettera rivolta al figlio scomparso. Con questo si è completata l’idea della creazione di un oggetto di denuncia e di memoria.
Desaparecidos: la mostra delle “orme” gira il mondo
Con il passare degli anni, nella sede dell’associazione hanno continuato ad arrivare sempre più scarpe e sempre più storie. Un materiale dal forte impatto comunicativo che non poteva e non doveva rimanere chiuso nelle scatole, dentro quattro mura nel centro storico di Città del Messico.
La prima mostra risale a maggio 2014. L’esposizione, con più di 100 paia di scarpe, è stata allestita al museo “Casa de la Memoria Indómita” della capitale messicana. Da quel momento le scarpe con i messaggi dei familiari hanno iniziato a viaggiare da sole, prima in vari stati federali (Coahuila, Guanajuato y Chiapas, Querétaro), poi in diverse città europee, tra cui Londra, Parigi, Berlino, Firenze, Roma e Torino, come simbolo della Campagna Internazionale contro la sparizione forzata in Messico (Campaña Internacional contra la desaparición forzada en México – Ruta Europa), durata da marzo a novembre 2017.
Mappa della strategia del terrore in America Latina
Le scarpe raccolte dal collettivo non provengono solo dal Messico, ma anche da altri stati centroamericani. Alcune sono di familiari di migranti desaparecidos durante il viaggio verso gli Stati Uniti, altre di colombiani fatti sparire nel periodo della Violencia, un paio risale all’ultima dittatura in Argentina e ad altri desaparecidos politici dell’America Centrale.
I luoghi e le distanze sono ampi, i paesi di provenienza delle “orme” e le date a cui risalgono le sparizioni aiutano a tracciare la mappa di un fenomeno che è evidentemente trasversale a gran parte dell’America Latina. Una vera e propria strategia del terrore, con cui i governi hanno tenuto e tengono tuttora sotto pressione i cittadini per renderli impotenti.
In Messico, negli anni ’70 ci pensavano la Brigata Bianca e i militari della Direzione federale di sicurezza (Dfs). Poi, con l’espandersi del narcotraffico, a partire dagli anni ’80 e ’90, oltre ai desaparecidos politici sono iniziati a sparire anche persone comuni e sempre più difensori dei diritti umani.