Prostituzione: «Bisogna trovare il coraggio di colpire i clienti»
Intervista a Myria Vassiliadou, coordinatrice anti-tratta della Commissione Ue. I passi avanti ci sono stati nelle legislazioni europee, ma manca il coraggio di colpire i clienti delle prostitute. Per due terzi, le vittime sono cittadine europee
Delle 11 mila donne nigeriane arrivate in Italia dalla Libia nel 2016, l’ufficio anti-tratta dell’Unione europea stima che 9 mila siano vittime di tratta. Gli studi danno una media al ribasso di dieci “rapporti” al giorno. Un termine improprio, che andrebbe sostituito con stupri. Il costo di ogni singolo abuso sessuale varia tra i 15 e i 90 euro. Da un minimo di 500 mila a un massimo di 3 miliardi di euro prodotti dalla prostituzione forzata ogni anno dalla violazione delle sole donne nigeriane entrate nel nostro Paese.
Questa è solo la punta dell’iceberg: il mercato della tratta ha un suo indotto inestimabile, fatto di protettori, di proprietari che affittano le stanze, di “collaboratori” delle organizzazioni criminali che trasportano le donne. Quello delle ragazze nigeriane sfruttate per motivi sessuali non è nemmeno il più grosso mercato della tratta: il 70% delle vittime (dati Europol), infatti, sono cittadine europee. Come le donne romene che in Sicilia di giorno sono schiavizzate nei campi e di notte costrette a prostituirsi in strada.
La coordinatrice anti-tratta dell’Unione europea parla di «interessi economici astronomici»
Nell’Unione europea c’è una grande attenzione sul “traffico” (smuggling in inglese) di esseri umani, ma non sulla “tratta” (trafficking). La differenza è che, nel primo caso, chi parte vuole raggiungere l’Europa attraverso canali irregolari. La vittima di tratta, invece, viene portata in un Paese straniero e costretta a prostituirsi, a lavorare in condizioni di schiavitù o ad altre forme di sfruttamento.
«Quello che non si vuole capire è che dietro la tratta di essere umani ci sono degli interessi economici astronomici», afferma Myria Vassiliadou, coordinatrice anti-tratta dell’Unione europea.
«Chi commette il reato di tratta – ricorda – viola un diritto umano». Il suo lavoro, in pratica, è rendere più efficace e coerente la strategia per combattere la tratta di esseri umani in Europa. Stati membri e agenzie europee, infatti, non sempre sono allineati.
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Dimitris Avramopoulos (Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza) con Myria Vassiliadou © European Union 2016/Source: EC-Audiovisual Service/Photo: Georges Boulougouris
«Mancano i fondi? No, ne abbiamo tanti. Mancano le leggi? Men che meno. Prima della crisi migratoria (2013, ndr) la Commissione europea ha speso per la sola lotta alla tratta 160 milioni di euro. Ora anche se dico il doppio è una stima conservativa. Dobbiamo continuare nella stessa direzione, senza pensare di dover reinventare la ruota. Sappiamo com’è fatto il traffico. Dobbiamo fermare il flusso di denaro, i trafficanti e chi abusa. È sempre la stessa legge, anche in questo microcosmo economico terrificante, di domanda e offerta».
Myria Vassiliadou, qual è il legame tra tratta e immigrazione?
Spesso del fenomeno migratorio ci si ferma alle dimensione del fenomeno. Quello che non si vede è perché. Si dice che il motivo che spinge le persone a partire è che sono poveri, vulnerabili, che ci sono le guerre. Ma vale per una parte: non si diventa vittime di tratta perché si è poveri. Lo si diventa perché c’è qualcuno da qualche parte che ha bisogno di quel servizio e che è disposto a pagare per averlo.
Come valuta la consapevolezza dei Paesi europei in materia di tratta?
La catena dello sfruttamento comincia nel Paese d’origine, nel momento in cui è costretta a lasciare il villaggio, dalla famiglia oppure da qualche trafficante. Poi prosegue in Europa. È terribile per me che in certi Paesi dell’Ue non ci sia alcuna sanzione per gli abusatori. Mi rivolgo agli uomini: chi vede una donna nigeriana mezza nuda in strada, non pensa che dietro ci sia un business che la sfrutta? Non pensa a chi finiscono questi soldi? Per chi vende materiale contraffatto in strada le sanzioni esistono, ed è un bene, ma dovrebbero esserci anche per chi vende esseri umani.
Rispetto alla lotta alla tratta delle nigeriane, che risultati ha portato la missione europea Sophia istituita nel 2015 dopo il naufragio di alcune imbarcazioni che trasportavano profughi dalla Libia? Tra i suoi scopi principali c’è la lotta ai trafficanti nel Mediterraneo.
Non è compito mio parlare dei risultati di Sophia. Posso dire che l’Unione europea ha lavorato moltissimo negli hotspot italiani per accertarsi che fossero addestrati al meglio i funzionari delle diverse agenzie che devono identificare le vittime. Nel settore della tratta si sono spesi 46 milioni di euro per migliorare la gestione delle migrazioni (in Libia, ndr).
E risultati in termini di criminali arrestati?
Ancora una volta, non è materia della Commissione. La mia domanda per altro va oltre: al di là degli arresti, come sono andati i processi, quante sono le condanne? La Commissione non può fare indagini, può solo investire in formazione e dare le cifre di questo mercato. Penso che si debba essere tutti trasparenti ed efficienti, dal Paese d’origine, fino a quello d’arrivo, comprese agenzie internazionali e istituzioni terze perché siamo tutti coinvolti.
Perché c’è poca cultura di colpire i clienti delle persone vittime di tratta sfruttate per motivi sessuali?
Credo che ci sia un problema di attenzione e consapevolezza. La realtà è che se uno è vittima di tratta è perché qualcuno vuole sfruttarla. È merce umana. Sono discorsi che dovrebbero far pensare due volte prima di andare con una prostituta. Ma cosa fanno i Paesi membri per diffondere maggiore consapevolezza? Quando puniranno gli abusatori? Di fronte a una persona costretta a prostituirsi in strada la mia reazione sarebbe chiedere «hai fame?», non «quanto costi?».