Messico a rischio militarizzazione con la nuova legge di sicurezza

Militarizzazione del Messico e un aumento delle violazioni dei diritti umani: questi i rischi che porta con sé la nuova legge sulla sicurezza interna. A denunciarlo non è solo la società civile, ma anche l'Onu, la Commissione interamericana sui Diritti umani, Amnesty International e altre istituzioni internazionali

In Messico, ad appena sei mesi dalle prossime elezioni presidenziali, il Senato ha approvato la nuova Legge sulla sicurezza interna (Ley de seguridad interior). Una norma che attribuisce poteri straordinari alle forze armate, legittimando l’intervento dell’esercito, della marina e dell’aeronautica in questioni di ordine pubblico. E che qualcuno pensa possa trasformarsi nella carta vincente in caso di brogli elettorali.

La proposta – approvata il 15 dicembre e sostenuta dal Pri (Partido Revolucionario Institucional) del presidente Enrique Peña Nieto e dai suoi alleati di centro-destra, tra cui il Pan (Partido Acción Nacional) – è stata contestata con forza dalla società civile, che si è riunita nel collettivo #SeguridadSinGuerra. E ampiamente criticata da diverse organizzazioni e istituzioni internazionali, tra cui l’Onu, la Commissione interamericana sui Diritti umani (Cidh) e Amnesty International.

L’Onu parla di «diritti umani a rischio» in Messico

Una legge ambigua, e secondo alcuni incostituzionale, che permetterà alle forze armate di intervenire in normali questioni di polizia. L’Onu, in un comunicato emesso il giorno prima del dibattito in Senato, ha parlato di un ampliamento di poteri che, «senza i dovuti controlli e l’obbligo di rendere conto a nessuno», se non al Presidente della Repubblica, come specificato nell’articolo 5, «rischia di scatenare nuove violazioni di diritti umani, come quando si assegnò all’esercito un ruolo da protagonista nella lotta contro la criminalità».

Il riferimento è alla guerra al narcotraffico che ha provocato più di 170 mila morti e oltre 25 mila desaparecidos. Un’offensiva militare lanciata 11 anni fa dall’ex presidente Felipe Calderón, fatta passare all’epoca come uno stato d’eccezione e che oggi, invece, è diventata legge. Sottolinea il Cidh in un comunicato:

«In Messico l’esperienza dimostra che l’intervento delle forze armate in questioni di sicurezza interna, in generale, è sempre accompagnato da violenza e gravi violazioni dei diritti umani».

L’ambiguità della Legge sulla sicurezza interna

Uno dei punti deboli e tra i più criticati anche dalle Nazioni Unite è l’ambiguità del testo che contiene «una definizione eccessivamente ampia delle situazioni in cui le autorità militari possono usare la forza».

Nella proposta di legge si dice che «le forze armate potranno intervenire in caso di minaccia della sicurezza interna quando queste compromettano o superino le capacità delle altre autorità», senza entrare troppo nello specifico delle questioni e demandando quindi qualsiasi tipo di decisione alla discrezionalità dell’esecutivo.

Amnesty International: troppi poteri a forze armate

Il segretario generale di Amnesty InternationalSalil Shetty, in una lettera aperta al presidente Peña Nieto, ha chiesto quindi di bloccare la legge perché «sotto la definizione vaga e indeterminata di “sicurezza interna” si nasconde uno sforzo orchestrato e pericoloso di mantenere le forze armate attive in compiti che invece spetterebbero alla polizia».

Commissione Diritti umani: «Legge incostituzionale»

Come ha spiegato a Osservatorio Diritti Fabrizio Lorusso, giornalista freelance e docente-ricercatore universitario in Messico, «affidare alle forze armate la gestione della sicurezza pubblica, normalmente compito degli apparati civili, e trasformarla in questione di sicurezza interna, se non addirittura di sicurezza nazionale, è incostituzionale».

A promuovere una studio sulla incostituzionalità della norma ci sta pensando la Commissione nazionale dei Diritti umani (Cndh), che, il giorno dopo l’approvazione, ha esortato Peña Nieto a formulare delle osservazioni sul testo prima di approvarlo in via definitiva.

Il Cndh ha voluto ricordare ai politici e allo stesso presidente che «la sicurezza è possibile e compatibile con il rispetto della dignità umana, delle libertà e dei diritti che sono la sostanza delle istituzioni democratiche del paese».

Esercito in strada contro proteste e manifestazioni

Uno dei passaggi più controversi del testo è quello in cui tra gli ambiti di competenza delle forze armate si specificano anche le mobilitazioni civili e sociali.

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Manifestazione di domenica 17 dicembre a Città del Messico contro la Legge sulla sicurezza interna

Il senato ha dovuto rimettere mano a questo articolo dopo le critiche al testo approvato a novembre dalla Camera, ma lascia comunque ancora una porta aperta all’intervento dell’esercito in caso di proteste «che non saranno in nessun modo considerate una minaccia per la sicurezza interna solo se si svolgono “in conformità con la Costituzione”».

Messico verso il “modello Honduras”

Per Lorusso, la parte riservata alle manifestazioni può essere interpretata come «una mossa in vista delle elezioni del 2018, tra le più competitive degli ultimi 20 anni e con una concreta eventualità che ci possano essere proteste in caso di brogli, visti i precedenti dell’88». In quell’anno Carlos Salinas de Gortari fu eletto presidente al posto del candidato di sinistra, Cuauhtémoc Cárdenas, in seguito a un conteggio dei voti poco chiaro. Dice ancora Lorusso:

«Il Messico sta andando verso un modello Honduras, in cui l’esercito svolge funzioni che non corrispondono a quelle delle forze armate e, proprio in virtù dell’ambiguità di alcune definizioni, finisce fuori dal controllo dei giudici e dei difensori dei diritti umani».

Impunità dell’esercito, l’esempio dei desaparecidos

La volontà di lasciare in un limbo di impunità la manovra dell’esercito è dimostrato, sempre secondo Lorusso, anche da un’altra norma approvata a novembre 2017, la Legge generale in materia di sparizioni forzate e commesse da privati (Ley General de Desaparición Forzada de Personas y de Desaparición cometida por particulares). Una mossa del governo che ha ricevuto il plauso dell’opinione pubblica e di alcune organizzazioni di familiari di desaparecidos, ma anche un paio di critiche. A muoverle sono state diverse associazioni attive su questo fronte, tra cui lo storico Comitè Cerezo e ¡Hasta Encontrarlos! Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos.

«La prima è l’insufficienza del budget messo a disposizione per il 2018. I 470 milioni di pesos (22 milioni di euro) non sono molti e questa cifra potrebbe rendere vana la legge, proprio come è successo nel 2014 con la Ley de victimas, sterilizzata da meccanismi burocratici, oltre che da uno scarso finanziamento».

Pur essendo «un primo passo per affrontare il problema, e non per risolverlo, lo Stato continua però a non riconoscere la responsabilità dei superiori gerarchici, quindi degli autori intellettuali delle sparizioni forzate. Inoltre non è previsto l’accesso ai campi militari – una delle richieste dei genitori dei 43 studenti di Ayotzinapa – luoghi a volte di arresto e detenzione dei desaparecidos».

«Quella che è stata promulgata – conclude Lorusso – è più una legge per i desaparecidos della guerra al narcotráfico. Questo significa cancellare una pagina di storia del paese, perpetrando il meccanismo dell’impunità militare».

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