Il gran ballo della cooperazione internazionale tra Africa ed Europa

Il summit di Abidjan di fine novembre doveva essere un «nuovo inizio». Ma l'unico elemento che ha costretto Bruxelles ad aprire un dialogo con l'Africa è la gestione della crisi dei migranti. Il resto sembrano essere ancora vuote promesse

«Cosa cambierà, da oggi in poi? Perché i giovani africani dovrebbero avere fiducia in voi?». La domanda è arrivata dalla sala stampa del Parlamento europeo a Bruxelles, il 22 novembre. Era stata appena lanciata l’Alta conferenza per il dialogo tra Europa e Africa, la fase preparatoria del quinto summit Unione europea-Africa, un passaggio politico attraverso cui ridisegnare gli equilibri tra i due continenti e, dal punto di vista europeo, rensponsabilizzare gli africani nella gestione dei flussi migratori. L’obiettivo numero uno della Commissione europea.

A porre la questione è stata una giovane giornalista ghanese che vive in Europa. Il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, e l’Alto commissario europeo per gli affari esteri e la sicurezza, Federica Mogherini, i padroni di casa, sono stati i primi a rispondere (rispettivamente al centro e a sinistra nella foto in apertura di pagina).

Da un lato, per loro, ascoltare la domanda è stato un sollievo: non si parlava dei complessi rapporti con la Libia, delle critiche dell’Alto commissario Onu per i diritti umani ai negoziati per la gestione dei flussi migratori. La narrazione europea del «nuovo inizio» delle relazioni tra i due continenti, basata su un imponente aiuto finanziario già definito Piano Marshall per l’Africa, pareva reggere.

Un piano per la cooperazione internazionale in Africa

Il piano, come spiegato all’emiciclo, prevede un contributo da 3,3 miliardi di euro raccolti dalla Commissione europea, moltiplicabili fino a 44 miliardi di euro con l’aiuto degli investimenti delle imprese in Africa e degli Stati membri. Come il fondo fiduciario e come tutte le raccolte fondi di questo genere, il rischio è che Bruxelles resti con il cerino in mano, come unico finanziatore di strumenti finanziari che non sono mai coperti quanto ci si aspetterebbe.

cooperazione internazionalePartecipanti al summit di Abidjan del 30 novembre 2017 (Photo-GCIS, via Flickr)

Detto questo, comunque, nella sua semplicità la domanda della giornalista ghanese ha messo alle corde la retorica europea. Si parla di una crisi migratoria che comincia nella fascia dell’Africa subsahariana, che diventa drammatica in Libia e che si conclude, con i suoi strascichi, in Europa. È questo l’unico motivo per cui all’Europa interessa il dialogo con l’Africa. Gli altri obiettivi sono orpelli per indorare la pillola, in special modo all’opinione pubblica africana.

La retorica di Antonio Tajani e Federica Mogherini

Mogherini e Tajani hanno risposto in modo molto politico, concentrandosi sull’opportunità di sviluppo per l’Africa. Ma c’era ancora una retorica stantia che s’appiccicava alle parole dei due politici, nonostante gli sforzi. Tajani quando parlava di guardare l’Africa con «le lenti degli occhiali africani», una formula che inevitabilmente crea un “noi” e un “loro” e che massifica le richieste dell’Africa, come fosse un unico Paese. Il peccato originale di ogni relazione bilaterale Africa-Europa.

Mogherini, invece, quando interveniva all’emiciclo parlando di «fratelli e sorelle africane» quando voleva incitare una reazione alla messa in schiavitù dei migranti subsahariani in Libia. Una formula terzomondista che ammiccava ancora all’opinione pubblica africana.

La competizione tra Europa e Cina nel mercato africano

La seconda preoccupazione dell’Europa, che traspare ancora una volta dalle parole di Tajani, è il timore che la Cina conquisti il mercato africano prima dell’Europa. Che all’Ue restino i problemi umanitari, mentre Pechino possa pensare allo sviluppo economico. Ma i Paesi che compongono l’Unione europea hanno un passato ingombrante a certe latitudini, mentre i cinesi hanno solo un presente.

Per questo, a parità di violazioni dei diritti umani, in Africa i soldi facili cinesi faranno per anni più gola di quelli europei, più difficili da ottenere e connessi, fino ad oggi, a una forma di colonizzazione anche culturale (imposizione di sistemi legislativi, economici, educativi, politici).

Cooperazione internazionale e Centrafrica

Accanto ai due rappresentanti europei, a fare da ospite d’onore c’era Faustin-Archange Touadéra, presidente della Repubblica Centrafricana, Paese che ha poche leve negoziali da usare con l’Europa visto il peso politico molto basso nelle questioni che interessano il Mediterraneo, il cuore dei negoziati Ue-Africa. E infatti, Touaderà nel rispondere si è espresso come il peggiore dei governanti:

«Ci serve tutto, a partire da soldi e tecnologie».

Sembrava di tornare all’eterna racconto del re che si vende per pochi benefici personali al colonizzatore di turno. E non è un caso, appunto, che a dirlo sia stato il rappresentante di un Paese che dal Piano Marshall europeo ha tutto da guadagnare e nulla da perdere. Non è infatti un Paese che deve risolvere il tema politico delle migrazioni regolari, della presenza europea sul suo territorio. Anche le briciole del gran ballo della cooperazione Europa-Africa sono ben gradite al leader della Repubblica Centrafricana.

Summit Africa-Europa: immigrazione e task force Libia

Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, al summit Africa-Europa che si è svolto il 29-30 novembre, l’argomento che ha tenuto banco è stato, come previsto, l’immigrazione. Il risultato concreto che si è raggiunto è stato la creazione di una task force africana ed europea, coordinata dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) per evacuare dalla Libia i migranti che si trovano nei centri di detenzione, tra 400 e 700 mila secondo le stime dell’Unione africana.

Il resto è ancora avvolto da una coltre di vuote promesse. Come è sempre accaduto fino ad oggi. I numeri dell’Unione africana dicono che per contrastare la disoccupazione e per promuovere lo sviluppo servono nel continente 22 milioni di nuovi posti di lavoro. Da qui, molto probabilmente, verranno anche i nuovi migranti economici.

Se un giorno qualcuno saprà dare una risposta a quest’istanza di lavoro comune ad entrambi i continenti, allora anche la giovane giornalista ghanese della domanda iniziale saprà perché vale la pena fidarsi del «nuovo inizio» dei rapporti Africa-Europa.

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