Reati di solidarietà: leggi europee colpiscono chi aiuta i migranti
La ong inglese Irr denuncia 45 casi di persecuzione per favoreggiamento dell'immigrazione irregolare. Tutti casi in cui le leggi europee contro il traffico di esseri umani hanno colpito attivisti e persone intenzionati ad aiutare i migranti. L'Italia è tra i Paesi più severi proprio contro chi soccorre i profughi
Le leggi europee sono costruite per colpire chi cerca di aiutare i migranti. È la conclusione di sei mesi di indagini dell’Institute of Race Relations (Irr), fondazione che si occupa di minoranze e diritti costituita nel 1958 a Londra. Il report, “Aiuto umanitario: la faccia inaccettabile della solidarietà“, affronta 45 casi di persone e organizzazioni perseguite per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare con 26 azioni legali negli ultimi due anni.
Attivisti condannati per solidarietà “sbagliata”
Una ragazza inglese di 25 anni, volontaria in un gruppo di supporto per rifugiati, ha accompagnato in macchina una madre albanese e i suoi due figli in Gran Bretagna per stare di nuovo con il marito. A marzo la corte inglese l’ha condannata a 14 mesi di reclusione, nonostante sia stato sospeso il reato per “solidarietà sbagliata” (misguided humanitarinism, in inglese).
Seppur non ci sia alcuna distinzione tra solidarietà per motivi economici e per casi di persecuzione, il tribunale britannico ha considerato un’aggravante che la famiglia albanese volesse raggiungere la Gran Bretagna per motivi economici e non umanitari e di conseguenza ha punito più severamente la ragazza inglese.
Lisa Bosia Mirra, famosa come la Madre Teresa dei profughi, è stata condannata a settembre a pagare una multa di 8.800 franchi svizzeri per aver aiutato, tra agosto e settembre 2016, minori migranti ad attraversare il confine tra Italia e Svizzera, a Chiasso. E questi sono solo alcuni dei casi presi in esame.
Per Commissione Ue non servono altre leggi
L’Italia è uno dei Paesi il cui nome ricorre più volte nel report, 54 per l’esattezza. Insieme alla Francia, è l’unico Paese in cui ai cittadini è impedito di distribuire pasti alla popolazione in alcune città. È successo a Ventimiglia, a Parigi, a Calais. Si tratta di fatti accaduti a marzo. Eppure, nonostante le richieste dei gruppi di sostegno ai migranti, la Commissione europea ha votato contro la revisione del “pacchetto dei facilitatori“, il nome con il quale viene definito il sistema di leggi per contrastare l’immigrazione irregolare e i passeur, in uso dal 2002.
Secondo i gruppi di sostegno ai migranti e le ong che hanno cercato di farsi portatori dei loro interessi in sede europea, le leggi hanno solo lo scopo di colpire gli attivisti. Al contrario, la Commissione ha negato ogni necessità di cambiare il pacchetto legislativo vigente.
I reati di solidarietà in Italia: i casi di Udine e Como
I casi italiani di criminalizzazione di gruppi di attivisti sono molti. Il report prende in esame ad esempio Udine, dove sette volontari di Ospiti in arrivo sono stati accusati di favoreggiamento quando invece non davano altro che un supporto medico ai migranti. E Como, dove il no boarder Fabio Gabaglio e altri 15 attivisti sono stati costretti a lasciare la città, dalla quale dovranno restare lontani per un anno. L’accusa, anche per loro, è aver aiutato i migranti a passare irregolarmente in Svizzera.
Queste indagini sono, secondo i ricercatori, «incompatibili con gli obblighi dei diritti umani espressi negli articoli 2 e 3 della Convenzione europea sui diritti umani, che proteggono il diritto alla vita e vietano trattamenti inumani o degradanti».
Dopo “Mare Nostrum” la solidarietà è un crimine
Il report dell’istituto Irr di Londra sottolinea anche l’ambiguità dello strumento giuridico usato contro gli attivisti. C’è una sorta di periodicità nel suo utilizzo: ogni volta che tornano ad aumentare gli sbarchi, i “passeur solidali” vengono colpiti negli hub di frontiera della rotta che i migranti, ormai da quattro anni, percorrono lungo l’Europa. Sono luoghi come Ventimiglia, Calais, Chiasso, il ponte Øresund (che collega Copenhagen, in Danimarca, a Malmø, in Svezia), l’isola di Lesbo in Grecia.
Targa in bronzo ad Amburgo con ringraziamento dei profughi vietnamiti. Foto di Emma7stern (via Wikimedia)
Esiste, scrivono gli autori del report, «una connessione tra i reati (di solidarietà, ndr) e il declassamento delle missioni umanitarie nel Mediterraneo». La lotta agli attivisti, quindi, coincide con la fine di Mare Nostrum, unico esempio in cui un’istituzione europea – la Marina militare italiana – si è presa carico in toto dei salvataggi in mare per volere del governo. Da allora l’attività umanitaria è stata condotta solo da organizzazioni non governative, che quest’estate sono venute allo scontro con il ministero dell’Interno italiano.
Salvataggi in mare: le indagini sulle ong
Il report ricorda poi la storia delle procure italiane e delle loro indagini nei confronti delle ong che salvano i migranti. Il primo caso riguarda la Cap Anamur, ong tedesca che nel 2004 ha recuperato in mare con una delle sue navi 37 migranti, facendoli sbarcare successivamente in Italia dopo una lunga negoziazione tra Italia e Germania per chi se ne dovesse prendere carico. L’imbarcazione è stata immediatamente posta sotto sequestro. Il processo è finito solo nel 2009, con una piena assoluzione dell’equipaggio e dei vertici dell’ong.
Stessa sorte è toccata a due capitani tunisini, che nel 2007 hanno portato a Lampedusa 44 migranti salvati in alto mare. Anche per loro, c’è stato il sequestro delle imbarcazioni, evento che ha creato un disincentivo ai salvataggi in mare, notano gli autori del report.
Foto: IOM/Francesco Malavolta 2014
Ma è quest’estate che si è consumato lo scontro più aspro, conclusosi con la firma del codice di condotta delle ong e con il sequestro prima della nave Iuventa della ong Jugend Rettet e poi persino della nave Von Hestia, sulla quale operava Save the children. L’accusa: cooperare con i trafficanti.
Centri per migranti sempre più chiusi
Un ultimo capitolo sull’Italia lo cura Simon McMahon, ricercatore del Centre for Trust, Peace and Social Relations dell’università di Coventry. Lo studioso sottolinea il tentativo delle istituzioni italiani di rendere difficoltoso l’accesso ai luoghi dove ci si occupa dei migranti. Specialmente i Cie. Ricorda la campagna LasciateCIEntrare, che dal 2011 invoca il diritto di poter entrare nei Centri di identificazione ed espulsione e che oggi si muove anche per fare entrare giornalisti e ricercatori negli hotspot. In nome della “securizzazione” dei luoghi dei migranti.
Così, per ricostruire le storie di chi passa dai centri, si è costretti ad andare ai margini, scrive McMahon, in chiese, moschee, centri occupati, dove l’accoglienza è libera dai vincoli di quella istituzionale.
«La securizzazione del sistema di accoglienza e la criminalizzazione del sostegno ai rifugiati e i migranti – scrive McMahon – sono due facce della stessa medaglia, con implicazioni significative per la ricerca. Entrambi tengono gli osservatori indipendenti fuori dai luoghi dove, dopo l’arrivo, i rifugiati e i migranti vengono controllati e schedati. Creano incertezza e preoccupazione tra i ricercatori e rifugiati e migranti allo stesso modo».