Violenza sulle donne: 11 vittime di stupro denunciano il Messico

Nei giorni scorsi 11 donne vittime di violenza sessuale hanno raccontato la propria storia alla Corte interamericana per i diritti umani. Trascinando così il Messico davanti alla giustizia per non aver indagato su quanto accaduto nel 2006. Quando la polizia usò violenza carnale e torture contro le mobilitazioni

«Il riconoscimento della responsabilità dev’essere completo. Una verità a metà, non è la verità». «Il lavoro che mi dà forza giorno dopo giorno è quello che faccio insieme alle altre donne della campagna Rompendo il silenzio. È a partire da questo spazio che ho potuto ricostruirmi». La prima frase è di Norma Aidé Jiménez Osorio, la seconda di Barbara Italia Méndez Moreno.

Quando hanno parlato così, entrambe si trovavano di fronte alla Corte interamericana per i diritti umani, che il 16 e il 17 novembre 2017 ha accolto in udienza 11 donne che hanno denunciato le aggressioni sessuali subite il 3 e il 4 maggio 2006 da parte di elementi delle forze di polizia del Messico.

Gli agenti fecero ricorso alla violenza carnale come risposta repressiva alle mobilitazioni di massa promosse a San Salvator Atenco e a Texoco, nello Stato del Messico, contro la costruzione di un nuovo aeroporto.

Donne violentate: le «sopravvissute a tortura sessuale»

In quei giorni di undici anni fa furono uccise due persone e ben 31 donne denunciarono le violenze subite. In tutto 217 persone furono detenute in modo arbitrario. A chi scrive toccò raccogliere le loro testimonianze insieme ad altre 27 persone di sette Paesi che tra il 29 maggio e il 4 giugno del 2006 presero parte ad una Commissione civile internazionale di Osservazione dei diritti umani sul “caso Atenco”.

Il Centro diritti umani Miguel Augustin Pro di Città del Messico (Centro Prodh), che ha accompagnato per 11 anni le vittime di Atenco, oggi descrive le donne che hanno portato il governo messicano sul banco degli imputati come «sopravvissute a tortura sessuale».

Violenza sessuale durante un’operazione di polizia

Gli uomini impegnati nell’operazione di polizia utilizzarono dita e manganelli contro molte delle donne fermate. Le prime a denunciarlo erano state due cittadine spagnole, Cristina Valls e Maria Sostres, che si trovavano ad Atenco la sera del 3 maggio 2006 per portare la propria solidarietà.

La violenza sessuale avvenne sia durante il trasferimento verso le carceri di massima sicurezza dove vennero rinchiusi i manifestanti, sia all’arrivo nelle strutture. Il paradosso è che, mentre le vittime hanno dovuto subire per anni processi penali con accuse come oltraggio a pubblico ufficiale, porto di arma, blocchi stradali e sequestro, le gravi violazioni ai diritti umani commesse contro di loro sono rimaste impunite.

Undici donne trascinano il Messico in giudizio

Tra le detenute c’erano anche le 11 donne che nel 2011 decisero di cercare giustizia nel Sistema interamericano per i diritti umani. Si chiamano Mariana Selvas Gómez, Georgina Edith Rosales Gutiérrez, María Patricia Romero Hernández, Norma Aidé Jiménez Osorio, Claudia Hernández Martínez, Bárbara Italia Méndez Moreno, Ana María Velasco Rodríguez, Yolanda Muñoz Diosdada, Cristina Sánchez Hernández, Patricia Torres Linares e Suhelen Gabriela Cuevas Jaramillo. E sono loro ad aver costretto il governo messicano a difendersi.

Violenza sulle donne di Atenco ancora impunita

Un comunicato del Centro diritti umani Miguel Augustin Pro, che ha accompagnato 5 delle 11 “sopravviventi” all’udienza, specifica che «gli interventi della Commissione interamericana per i diritti umani, quelli delle rappresentanti delle vittime e anche quello dello Stato messicano, hanno reso evidente di fronte alla Corte che su questo caso ad oggi regna la totale impunità».

violenza sulle donne

Conferenza stampa tenuta nel 2007 in difesa delle donne arrestate ad Atenco in seguito ai fatti del 2006 – Foto: contralatorturaccti (via Flickr)

Un’impunità coltivata per 11 lunghi anni, durante i quali Enrique Peña Nieto, governatore dello Stato del México nel 2006, è diventato presidente della Repubblica messicana (in carica dal dicembre del 2012).

Nessuna indagine sui poliziotti coinvolti nelle violenze

Il governo del Messico ha disatteso la sentenza della Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh). L’organismo, infatti, nel 2015 aveva concluso l’analisi avviata dopo la denuncia delle 11 vittime invitando lo Stato a realizzare un’inchiesta penale. Le autorità, dunque, avrebbero dovuto investigare gli appartenenti alle forze dell’ordine impegnati ad Atenco e Texcoco il 3 e 4 maggio 2006.

Ma non lo hanno fatto. Ed è proprio per questo che la Cidh nell’ottobre 2016 ha invitato il caso alla Corte, che dovrebbe emettere la propria sentenza nella primavera del 2018.

La sentenza «dovrà essere osservata»

«Per quei Paesi come il Messico che riconoscono la giurisdizione della Corte interamericana, che è un tribunale internazionale, la sentenza che verrà emessa dovrà essere necessariamente osservata. Non si tratta di raccomandazioni, ma di disposizioni equiparabili a quelle di una Corte Suprema o di un Tribunale federale, e pertanto da rispettare», spiega a Osservatorio Diritti Araceli Olivos Portugal, avvocata del Centro diritti umani Miguel Augustin Pro.

La richiesta delle vittime di stupro a Corte diritti umani

Le 11 donne che hanno denunciato il governo federale hanno rifiutato ogni offerta di risarcimento. Dice ancora Araceli Olivos Portugal: «Chiediamo di riconoscere che non si è investigato, non si è cercato di capire chi ha inviato quasi 3 mila elementi di polizia federale e statale, che avrebbero dovuto “riportare l’ordine”. Chi ha pianificato quell’operazione, chi ha deciso di non prevenire gli abusi il giorno 4 maggio, nonostante sapessero quanto era successo il giorno 3, durante le proteste del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco. Chi non fece niente per evitare gli abusi, la detenzione arbitraria e le torture nei confronti di oltre duecento fermati. Pratiche che avrebbero potuto essere evitare, dato che tutta l’operazione era monitorata in tempo reale.

Si chiede l’avvocata: «Possibile che nessuno si rendesse conto? Ricordiamo che il 90% delle donne fermate ha denunciato violazioni».

Messico: presidente di fronte alla Corte interamericana

L’importanza del giudizio in corso è confermata anche da Emilio Álvarez Icaza, che è stato segretario esecutivo della Corte interamericana per i diritti umani. Intervistato da Newsweek, ha ricordato che «la discussione riguarda oggi un elemento, ovvero la violenza e gli abusi sessuali nei confronti di molte donne, e riguarda non solo gli autori materiali ma anche chi ordinò quelle azioni. Oltre alla responsabilità attiva c’è anche quella passiva, legata al controllo, e la giurisprudenza interamericana affronta i due aspetti in modo diverso. Questo però non cancella l’importanza di un aspetto: colui che oggi è titolare del potere esecutivo, il presidente della Repubblica, è giudicato di fronte a un tribunale internazionale. Questo non è normale. E rende il caso paradigmatico».

violenza sulle donne

Emilio Álvarez-Icaza – Foto: Juan Manuel Herrera / OAS (via Flickr)

Una condanna dello Stato potrebbe obbligare il Messico a prendere dei provvedimenti per evitare che il 98% dei delitti restino impuniti. O per rafforzare i controlli nei confronti dei membri delle diverse forze di polizia (municipali, statali, federali). O per equiparare la violenza di genere, la violenza sessuale, a una forma di tortura.

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