Guerra in Siria, civili sotto assedio costretti alla fame

Il regime di Assad tiene sotto assedio le città ribelli per sfiancare i nemici e costringerli alla resa. I trattati detti di "riconciliazione" sono l'arma politica usata per riconquistare terreno, ma a farne le spese è la popolazione. Amnesty International racconta la situazione nel paese oggi nel suo ultimo report attraverso le voci dei profughi

«Il regime non ha più credibilità. Sappiamo la brutalità di cui è capace. Abbiamo visto i massacri che ha condotto nella Città vecchia a Homs. Abbiamo visto come persino chi ha firmato per i nuovi “insediamenti” è scomparso. Loro (le forze governative, ndr) non fanno alcuna distinzione fra combattenti e civili, né risparmiano donne, bambini e anziani».

Sono le parole di un giovane di 27 anni che un tempo abitava ad al-Waer, un sobborgo a 5 chilometri dal centro di Homs, una delle prime città che nel 2011 si è sollevata contro il regime di Bashar al Assad. Uno dei luoghi che più ha patito questi sei anni di guerra civile in Siria. Oggi il ragazzo vive a Nord di Aleppo, in un campo profughi, con la moglie incinta, la madre e il resto della famiglia allargata.

Accordi di riconciliazione: Amnesty svela la strategia

La sua vita, come quella di centinaia di migliaia di sfollati siriani, sarebbe dovuta tornare alla normalità dopo le evacuazioni previste dagli accordi di riconciliazione tra le forze di Bashar al Assad e le milizie ribelli, siglati sotto l’egida diplomatica di Iran e Russia. Ma l’ultimo rapporto di Amnesty International, Andiamo o moriamo, dimostra il contrario.

Al-Waer, Daraya, Aleppo est, Madaya, Zabadani, Kefraya e Foua sono le città di provenienza delle 134 persone intervistate dai ricercatori di Amnesty tra aprile e settembre 2017. Testimonianze di crimini contro l’umanità che l’organizzazione incrocia con immagini satellitari e fonti giornalistiche.

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Homs, 8 aprile: civili siriani e membri delle forze d’opposizione aspettano di essere evacuati da Al-Waer – Foto: Judy Arash/Anadolu Agency/Getty Images

Questa indagine dimostra che gli accordi «sono diventati una delle principali strategie del governo siriano per costringere l’opposizione alla resa», scrive Amnesty. Presentati come sforzo di riconciliazione, «i trattati hanno permesso al governo di rivendicare il controllo del territorio attraverso prima l’aver messo alla fame (la popolazione) e poi la rimozione degli abitanti che rifiutano le regole».

A rincarare la dose anche le parole dell’ex segretario dell’Agenzia Onu per il coordinamento degli affari umanitari, Stephen O’Brien:

«Gli accordi che hanno causato l’evacuazione di massa dei civili dopo un lungo periodo di assedio non sono conformi al diritto umanitario internazionale e alle normative sui diritti umani. Cerchiamo di essere chiari: tutti gli assedi, una tattica medievale, devono essere rimossi».

Assedi senza fine delle forze governative di Assad

A Homs, l’assedio delle forze governative è cominciato nell’ottobre 2013. Per quasi quattro anni, una popolazione stimata tra le 70 e le 100 mila persone è stata costretta a vivere in un luogo in cui, dal 2016, non arrivava nemmeno il pane.

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2 settembre 2016: Civili siriani si preparano a lasciare la città di Daraya per essere evacuati a Moadamiyet al-Sham – Foto: LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images

Tra il 18 marzo e il 21 maggio 2017 la popolazione rimasta ha lasciato la città: 7.500 civili si trovano a Jarabulus, nei pressi del confine turco, nel campo profughi di Zoghara. In 600 vogliono ritornare a Homs pur di non vivere in quella situazione. Un mese dopo l’inizio dell’assedio, è stato colpito anche l’ospedale cittadino, con un missile terra-terra che ha provocato 12 morti.

L’assedio di Aleppo, la capitale del Nord della Siria

Aleppo, un tempo considerata la capitale del Nord, oggi è una città frantumata. La battaglia del 2012 ha diviso la città tra una zona Est in mano ai ribelli e una ovest fedele a Bashar al-Assad. La guerra si è conclusa dopo quattro anni, ma il 7 luglio 2016 è cominciato l’assedio: almeno 250 mila persone sono rimaste intrappolate nella zona orientale della città.

A dicembre, in gran segreto, sono iniziate le trattative per un armistizio, ricorda Amnesty: da una parte la Russia, dall’altra una delle sigle che racchiude le milizie islamiste salafite, Ahrar al-Sham. In 3.700 hanno lasciato Aleppo e ora vivono nel governatorato di Idlib.

«L’assedio era terribile per chi, come la mia famiglia, non aveva alcun reddito. Le organizzazioni umanitarie del posto non erano più in grado di lavorare a causa degli attacchi incessanti, anche contro i loro magazzini… Era molto difficile reperire generi fondamentali per i neonati, come il latte e i pannolini. Il costo della verdura era inaffrontabile per me. L’assedio non ha tanto colpito me, quanto i bambini», spiega una donna intervistata da Amnesty.

Daraya e l’accordo delle quattro città

A Daraya, 10 chilometri da Aleppo, dal novembre 2012 all’agosto 2016 circa 7.000 persone sono rimaste assediate all’interno della città. Oggi si sono spostate in maggioranza nella regione di Idlib, come gli abitanti di Aleppo. La fase più tremenda della guerra l’hanno vissuta nei primi giorni di agosto, quando le forze governative hanno compiuto un massacro, secondo la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite.

A Madaya, Zabadani, Kefraya e Foua è in atto “l’accordo delle quattro città”: un negoziato che lega a doppio filo i destini dei centri abitati. Le prime due erano in mano alle forze fedeli ad Assad, le altre ai ribelli (Hay’at Tahrir al-Sham, altra formazione islamista, e Ahrar al-Sham). Nelle prime due, l’assedio è cominciato a luglio 2015, nelle ultime due a marzo.

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Mappa sugli effetti dei bombardamenti a Daraya tra il 31 ottobre 2015 e il 23 aprile 2016 – Immagine: OpenStreetMaps.

Una maestra di Madaya racconta ad Amnesty la situazione che si viveva prima dell’evacuazione della città:

«Seguivamo le notizie giorno e notte. Non lasciavamo le nostre case quando leggevamo che qualcuno era morto a Kefraya e Foua nella battaglia. Se c’erano feriti lì, significava che ne avremmo avuti anche noi. I cecchini si attivavano ogni volta che c’era un attacco contro Kefraya e Foua».

I numeri della guerra in Siria: le vittime degli assedi

L’Onu a settembre 2017 stimava un totale di 513.420 persone ancora sotto assedio in Siria, un numero in forte crescita rispetto ad appena due mesi prima. Di queste, 399.300 sono sotto attacco delle forze governative, in particolare intorno a Damasco.

A Yarmouk, il campo profughi palestinese dentro la capitale, ci sono 12.520 persone ostaggio sia del governo, sia dei ribelli (leggi la storia dei profughi scappati da Yarmouk in Brasile). Altre 8.100 si trovano ancora a Keyfraya e Foua, sotto assedio dei ribelli. Altre 93.500 sono a Deir al-Zour, nelle mani dell’Isis fino al 3 novembre.

Già un anno fa le Nazioni Unite denunciavano l’uso sistematico degli assedi come strategia militare, come strumento per riprendersi le città dopo aver ridotto il nemico allo stremo. Poco importa se si coinvolge anche la popolazione civile. Il primo tentativo di questi accordi di riconciliazione era stato fatto a Homs a inizio 2014: era durato solo fino a febbraio, poi le ostilità erano ricominciate più intense di prima.

La guerra in Siria oggi causa anche una forte inflazione

La guerra ha anche provocato una mostruosa inflazione: a febbraio 2016, a Daraya, ad esempio, il pane era scomparso dagli scaffali delle case degli abitanti e quando appariva nei mercati costava 8 dollari americani a busta, 30 volte il prezzo normale.

Per un chilo di riso si poteva spendere anche 66 dollari, 36 volte quello che si pagava in tempo di pace. Per lo zucchero, rispetto ai canonici 2 dollari al chilo, il prezzo era arrivato a 233 dollari. Il tutto da comparare con uno stipendio che, per due persone che lavorano in famiglia, arriva in media a 140 dollari al mese.

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