Il prezzo dei nostri risparmi

Dovremmo prendere la buona abitudine di domandarci chi paga ciò che noi risparmiamo. Forse basterebbe chiederselo quando la differenza appare tanto clamorosa da non ammettere troppi giri di parole.

Come tutti sappiamo, nel nostro paese proliferano da alcuni anni ristoranti giapponesi, ve ne sono diverse migliaia in tutta la Penisola e sembrano crescere come funghi. In genere vengono gestiti da cinesi e si può mangiare a sazietà approfittando della formula, piuttosto allettante, all you can eat.

In pratica, pagando una cifra fissa e molto modesta, in genere vicina ai 10 euro, si può consumare tutto ciò che è contenuto nel menù, sempre piuttosto ricco, facendo un’infinità di repliche.

Se l’occhio è appena allenato si comprende che i margini sono strettissimi e qualche volta, quando i commensali somigliano a dei pozzi senza fondo, non ci sono nemmeno quelli. Nel locale che frequentavo fino a qualche mese fa vi erano almeno quindici dipendenti, tutti cinesi. Costoro, se fossero pagati con stipendi sindacali, comporterebbero un costo per il gestore vicino ai 4/500 mila euro all’anno. Se a questo aggiungiamo l’affitto del locale, l’energia, l’acquisto delle materie prime e annessi vari, i conti sono presto fatti e, per l’affluenza che riscontravo solitamente, il locale non avrebbe potuto stare in piedi.

Eppure in piedi ci sta, mentre noi mangiamo spendendo una miseria e il salmone guizza nei piatti, insieme a tutte le specialità che vengono offerte. Domandarsi chi paga davvero il conto non sarebbe male: potremmo scoprire che sono proprio quei ragazzi timidi, non di rado tristi e di poche parole, che ci portano i piatti.

Ps1. A dire il vero non mi sono mai imbattuto in un controllo a sorpresa, volto a verificare la regolarità dei contratti di lavoro e le condizioni di vita di quei ragazzi.

Ps2. Non mangio più all you can eat, spendo una decina di euro in più e prendo poche portate, ma almeno il conto lo pago solo io.

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