Migranti: le crepe della protezione internazionale in Europa
Il nuovo rapporto di Anci, Caritas, Cittalia e Fondazione Migrantes analizza la protezione internazionale in Italia e in Europa. E rileva anche qualche campanello d'allarme, come il «il sistematico respingimento alle frontiere ai danni dei richiedenti asilo», la «violazione dei diritti umani» e la demonizzazione dell'accoglienza dei migranti
«Il sistematico respingimento alle frontiere ai danni dei richiedenti asilo, le misure di polizia attuate in violazione dei diritti umani, in particolare, in alcuni paesi, come Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, cioè negli stati del gruppo di Visegrad, risultano gravi e preoccupanti». È l’allarme lanciato ieri dal Rapporto sulla protezione internazionale 2017, il dossier redatto da Anci, Caritas, Cittalia, Fondazione Migrantes insieme al Servizio centrale dello Sprar e con Unhcr.
«L’aumento del controllo delle frontiere e la costruzione di ostacoli fisici e giuridici che limitano l’accesso alla protezione per le persone che fuggono dalla guerra sono le risposte date da un numero sempre più crescente di Stati europei», denuncia il documento.
Protezione internazionale: i diritti umani nell’Est Europa
Per dirne una: «In Repubblica Ceca, l’unica frontiera esterna con i Paesi terzi si trova nella zona di transito dell’aeroporto di Praga. Qui è stato rilevato che la polizia negherebbe quasi totalmente la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale. Nell’ultimo anno le domande ammesse sono state ventiquattro».
Va persino peggio la situazione in altri stati dell’Europa orientale. L’Ungheria, ad esempio, soltanto da luglio a dicembre 2016 ha negato a 20 mila persone la possibilità di presentare domanda di protezione, nonostante la maggior parte di loro provenisse da Siria, l’Iraq o Afghanistan. Per i respingimenti collettivi verso il confine con la Serbia e gli abusi e le violenze commessi sui migranti da parte della polizia del premier Orban, proprio l’Ungheria è stata di recente condannata dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.
In Slovenia, sotto la scure di diverse organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani, è finita la pratica della detenzione nei confronti dei minori stranieri non accompagnati. Inoltre, è apparsa contraria agli stessi fondamenti dell’Ue, la nuova legge in materia di protezione internazionale, la quale prevede che si possa procedere all’espulsione automatica dei richiedenti asilo alla frontiera sulla base di una semplice delibera adottata dal Parlamento che dichiari la situazione migratoria, in quel preciso momento storico, una grave minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna.
Più centri di detenzione per migranti in Europa e Africa
Tutti gli stati dell’Unione europea, e anche quelli contigui, negli ultimi due anni hanno rafforzato i loro sistemi di detenzione per i migranti. Il rapporto sulla protezione internazionale fa presente che «dal 2011 al 2016 la capienza totale dei centri censiti è passata da 32.000 a 47.000 posti». E, come ha denunciato di recente una ricerca della ong Migreurop, «il numero dei centri continua a crescere nei paesi africani ai quali l’UE subappalta la gestione dei migranti. E, coloro che operano all’interno di questi luoghi fanno capo ad agenzie e amministrazioni dai contorni poco chiari».
Immigrazione: demonizzata l’accoglienza dei migranti
In tutta Europa, si legge ancora nello studio, dalla costruzione dei muri ai continui attacchi alle organizzazioni umanitarie, si osserva «una tendenza che tende a demonizzare le pratiche di solidarietà attuate nei confronti dei migranti». In altri termini, chi si occupa dei migranti e di salvare le vite in mare è sempre più sotto attacco. Come ha già avuto modo di rilevare anche Michel Forst, relatore speciale per le Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, che ha parlato di «campagna diffamatoria contro le Ong» e «criminalizzazione dei cittadini solidali».
La solidarietà agli immigrati dell’Europa meridionale
Il rapporto di Anci, Caritas e Fondazione Migrantes proietta dunque inquietanti ombre sull’intera politica europea in tema di protezione internazionale. Critiche che giungono al modello d’asilo, in particolare di alcuni stati. Anche se nella prefazione che accompagna la ricerca i toni sono smorzati. Claude Moraes, presidente della Libe, la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, infatti, scrive:
«Le misure promosse dall’Unione europea si sono scontrate con gli egoismi da parte di diversi stati membri. Anche se è da elogiare la solidarietà giunta dai paesi del Sud Europa, dalla Germania e dalla Svezia, questi ultimi due Paesi che accolgono un gran numero di rifugiati».
Moraes sottolinea anche «l’impegno di tutte le componenti della società italiana, dai cittadini, agli enti locali, alle organizzazioni e le istituzioni le quali stanno affrontando, in questo senso, una difficile ma necessaria sfida, con particolare riferimento all’integrazione dei rifugiati».
Migranti in Italia: diritto a protezione, vivono in strada
Il violento sgombero della polizia dello scorso agosto del palazzo di piazza Indipendenza a Roma, che era abitato soprattutto da cittadini eritrei, ha posto l’attenzione sulla sorte di coloro che non accedono al sistema di accoglienza, oppure ne escono senza che il loro percorso di integrazione sia compiuto. Ha permesso di rilevare, cioè, le situazioni di chi rimane escluso dai circuiti di assistenza ed è costretto a cercare soluzioni abitative di fortuna, spesso in condizioni di vita inaccettabili.
In questo senso, ci sono due diverse tipologie di insediamento. La prima è quella di chi è appena entrato in Italia, in attesa di accedere al sistema di accoglienza, e vive all’aperto (parchi, piazze, sottopassaggi, stazioni ferroviarie, boschi).
Una seconda, invece, è quella che interessa i migranti che stazionano in edifici in disuso, container, baraccopoli di rifugiati. Si tratta, in questo secondo caso, di persone presenti in Italia da diversi anni, mai entrate nel sistema di accoglienza, oppure uscite senza aver concluso un efficace percorso di inserimento sociale.
Il rapporto sulla protezione internazionale ha censito in totale 1.819 insediamenti informali, per un totale di qualche centinaia di migliaia di persone straniere che vivono oggi, in Italia, in condizioni igieniche e di salute precarie. Molti di questi insediamenti sorgono in prossimità di città di confine, come Trieste, Gorizia e Udine fino a Trento e Bolzano.
È una vera e propria mappa dell’esclusione migrante, da Nord a Sud, l’istantanea scattata nel Rapporto sulla protezione internazionale 2017. Laddove emerge con chiarezza che in Italia «la titolarità di una protezione internazionale non è sufficiente a garantire anche una opportunità di vita dignitosa».