Olio di palma: comunità contro impresa Usa
L’arresto di un difensore dei diritti umani in Camerun ha riacceso l’opposizione alla piantagione di palma da olio della compagnia statunitense Herakles Farms. Dal 2009 il progetto di agribusiness limita l’accesso alla terra e alle risorse
È partita a fine settembre la mobilitazione internazionale per chiedere la liberazione di Nasako Besingi, attivista e difensore dei diritti umani in Camerun. A lanciare l’appello, a cui hanno aderito numerose organizzazioni, è stata Front line defenders, una ong irlandese che sostiene i difensori dei diritti umani in tutto il mondo.
L’arresto illegittimo dell’attivista Nasako Besingi
Secondo la ricostruzione dei fatti fornita da dall’organizzazione irlandese, Nasako Besingi è stato prelevato dalla polizia mentre si trovava nel suo ufficio e portato al commissariato. I gendarmi avrebbero sequestrato i suoi documenti e il computer. A preoccupare i difensori dei diritti umani è il fatto che l’uomo sia stato poi caricato su un’auto e portato in prigione, senza chiarire le accuse nei suoi confronti.
Nasako Besingi era già stato arrestato in passato, con l’accusa di diffamazione e condannato a pagare una multa molto salata. Ad incriminarlo era stato un articolo in cui l’attivista denunciava l’uso della violenza nei suoi confronti da parte di alcuni dipendenti di una compagnia di agribusiness statunitense.
Olio di palma in Camerun: comunità senza terra
I contorni poco chiari dell’arresto di Nasako Besingi sono collegati al suo impegno a sostegno delle comunità impattate da un progetto di coltivazione della palma da olio. Grazie alla sua ong Struggle to Economize the Future Environment, ha sostenuto la lotta contro la piantagione statunitense Herakles Farms, proprietà del fondo di investimenti Blackstone.
La compagnia si è installata nel sud-ovest del Camerun nel 2009 dove, attraverso la sua controllata SG Sustainable Oils Cameroon, ha ottenuto una concessione di 73.000 ettari, per 99 anni. Sin dalla firma del contratto la società ha incontrato l’opposizione delle comunità locali, alle quali era impedito l’accesso alla terra.
Le mobilitazioni ottennero una vittoria nel 2013, quando il governo modificò l’accordo con la compagnia riducendo a 20.000 gli ettari in concessione. La scadenza del contratto venne fissata al novembre 2016, ma passata quella data le autorità del Camerun non hanno comunicato la decisione riguardante il rinnovo o meno della concessione.
Nel frattempo la compagnia sembra proseguire le sue operazioni sul terreno. Sul suo sito internet la SG Sustainable Oils Cameroon descrive gli investimenti e le installazioni già in funzione: 2.500 ettari di piantagione e un impianto di trasformazione.
Campi distrutti dai bulldozer e nessuna compensazione
Le comunità locali rivendicano il diritto di poter coltivare i campi e di poter accedere ai prodotti della foresta. Gli abitanti delle comunità impattate, in una ricerca sul campo realizzata nel 2012 dal centro studi californiano The Oakland Institute, sostenevano di non essere stati consultati in merito al progetto e all’installazione della piantagione.
Nel documento di impatto ambientale di Herakle Farms si parla di impatto minimo sulle comunità che vivono di agricoltura tradizionale, raccolta dei frutti della foresta e pesca. Secondo l’azienda di agribusines gli eventuali danni alle attività economiche sarebbero stati compensati dalle opportunità di lavoro create dalla piantagione. Le testimonianze raccolte da Greenpeace, però, raccontano di aree coltivate distrutte dai bulldozer e di non aver ricevuto alcuna compensazione per i danni subiti.
La piantagione tra proteste e divisioni
Proprio l’attivista Nasako Besingi, in una delle sue testimonianze, evidenzia l’emergere di conflitti tra la popolazione locale e i lavoratori della società statunitense in relazione alla definizione dei confini della concessione. Nel 2016 duecento contadini dei villaggi confinanti con la piantagione annunciarono una protesta collettiva per chiedere a Herakles Farms di rispettare la zona cuscinetto di 5 chilometri intorno ai campi coltivati delle famiglie locali. Alcuni contadini denunciarono a una corte locale che i loro terreni erano stati acquisiti dalla compagnia senza alcuna consultazione e in assenza del loro consenso.
Il difensore dei diritti racconta anche delle conflittualità nate tra villaggi che avrebbero dato il consenso per l’uso di terreni afferenti ad altre comunità. La concessione, infatti, avrebbe attribuito erroneamente alcuni territori generando confusione tra villaggi di una medesima area. La compagnia avrebbe acuito le tensioni interne, secondo Nasako Besingi, intavolando incontri riservati con alcuni capi villaggio, con membri delle élite locali e delle amministrazioni per ottenere il consenso ad operare nei territori concessi.
Deforestazione per l’olio di palma
La SG Sustainable Oils Cameroon è stata accusata da Greenpeace di aver tagliato e commercializzato illegalmente il legname proveniente dall’area della concessione. Alcune zone della foresta sarebbero state tagliate completamente, per lasciare spazio alla piantagione di palme.
Deforestazione in Camerun. Foto: J.G. Collomb, World Resources Institute, 2001 (via Flickr)
Questa deforestazione non selettiva avrebbe provocato la scomparsa di alberi che garantiscono il sostentamento delle comunità, come denunciano le testimonianze raccolte da ong locali e internazionali. Il taglio illegale degli alberi è stato riportato anche da un osservatorio indipendente dell’Unione Europea per il controllo forestale. Secondo gli esperti, la compagnia avrebbe raso al suolo illegalmente almeno 60 ettari di foresta, per un danno complessivo di circa 45.000 dollari.
Contro l’olio di palma non si può protestare
Gli arresti e le intimidazioni sono le modalità adottate dalla polizia per reprimere le proteste della popolazione locale. Un report del 2012 del centro studi californiano The Oakland Institute, realizzato in collaborazione con Greenpeace International, denuncia l’uso sproporzionato della forza da parte dei gendarmi.
In occasione della visita del governatore della regione, i manifestanti in protesta sarebbero stati convocati in commissariato e diversi villaggi sarebbero stati circondati per giorni dalla polizia. Secondo Greenpeace International la compagnia, oltre alla violenza e alle minacce, avrebbe utilizzato anche metodi legali per mettere a tacere chi si opponeva al progetto. In un rapporto del 2015 l’ong sottolinea la decisione della società statunitense di affidare le cause nei suoi confronti a un arbitrato basato a New York. Nel documento Greenpeace sottolinea la pressione che avrebbe esercitato Herkles Farms nei confronti delle élite camerunesi per bloccare i processi in corso.