India: 12mila contadini suicidi ogni anno
Dodicimila contadini si suicidano in India ogni anno strangolati da debiti e altre questioni relative alla produzione agricola. Tra i responsabili c'è anche il cambiamento climatico, che ha portato alla morte di 60.000 agricoltori in 30 anni. Sul banco degli imputati c'è il sistema economico agricolo del paese
Dal 2013, ogni anno, 12.000 contadini indiani si suicidano. A dare queste cifre da capogiro sono fonti ufficiali. Secondo i dati del National Crime Record Bureau del ministero dell’Interno indiano, tra contadini e lavoratori agricoli, nel 2015 si sarebbero tolte la vita 12.600 persone, il 9% del totale dei suicidi nel Paese. Le vittime sono in netta maggioranza uomini, tra i 30 e i 60 anni, in piena età produttiva.
L’analisi del National Crime Record Bureau delinea anche le cause principali che spingono i contadini a compiere il gesto estremo: la bancarotta o l’indebitamento, nel 38% dei casi, e questioni relative alla produzione agricola, per il 19%.
Secondo le statistiche del ministero, più della metà dei contadini che si toglie la vita è un piccolo produttore o un proprietario di terre “marginali”, da meno di un ettaro. In India l’agricoltura rappresenta ancora la principale fonte di reddito per la maggioranza della popolazione, e contribuisce al 14% del Pil. Il ministero dell’Interno attribuisce l’indebitamento e la bancarotta a un’agricoltura caratterizzata da piccoli proprietari, dipendente dalle precipitazioni e arretrata dal punto di vista tecnologico.
Indebitamento senza fine per i contadini indiani
Nel 2013 il National Sample Survey Office pubblicò un report sullo stato dell’indebitamento in India. Secondo i numeri riportati dalla ricerca, le famiglie che vivono nelle campagne contraggono debiti più facilmente rispetto a quelle in città. In area rurale mediamente il denaro dovuto alle banche supera i mille euro all’anno, mentre difficilmente i guadagni annui di un contadino superano i 700 euro.
Gli agricoltori si indebitano per fare investimenti nella produzione e nelle attività collaterali come l’allevamento e l’apicoltura, oltre a chiedere prestiti per ripagare un debito precedente. I contadini indiani contraggono debiti con le banche e con le società cooperative, ma anche tramite soggetti non istituzionali.
L’economista Raj Patel nel suo libro “I padroni del cibo” descrive come l’indebitamento per le famiglie rurali cresca di anno in anno: basta un raccolto difficile, un periodo di siccità o la necessità di un investimento inaspettato. Spesso le attività agricole ereditano un debito dall’anno precedente, chiedono un prestito per ripagarlo o per realizzare gli investimenti necessari ad avere un buon raccolto, aumentando in questo modo la loro esposizione nei confronti delle banche e degli istituti informali che prestano denaro. L’impossibilità di ripagare il debito spinge gli agricoltori ad impegnare i loro beni, ovvero: la casa e il terreno che lavorano.
Il gruppo di Vandana Shiva parla di «problemi sociali»
I suicidi dei contadini generano problemi sociali in tutta la comunità, come spiega a Osservatorio Diritti Ruchi Shroff, direttrice di Navdanya International, un’associazione internazionale nata in India e presieduta dalla scienziata e attivista Vandana Shiva:
«Spesso la famiglia allargata non riesce a occuparsi della vedova e dei figli, che finiscono per strada senza terra e senza casa».
L’organizzazione si occupa proprio di dare sostegno alle vedove donando loro dei semi per poter dare vita a piccoli orti e a cooperative di produzione. Come spiega la direttrice, si tratta spesso di famiglie a rischio malnutrizione e esclusione sociale a causa dell’insicurezza alimentare e della mancanza di attività generatrici di reddito.
Il cambiamento climatico responsabile di 60 mila suicidi
Uno studio pubblicato a luglio dall’Università californiana di Berkeley sulla rivista scientifica “Proceeding of the National Academy of Science” sostiene che l’aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico abbia contribuito direttamente al suicidio di 60.000 contadini indiani in 30 anni.
La ricerca ha analizzato le conseguenze dell’aumento della temperatura in un giorno, anche solo di un grado, durante la stagione agricola. Un grado in più sul termometro avrebbe provocato il suicidio di 67 persone. Il riscaldamento climatico non avrebbe ricadute, invece, nei periodi in cui i campi sono a riposo.
Secondo gli esperti, le temperature in India potrebbero aumentare di altri 3 gradi entro il 2050, con conseguenze preoccupanti per il settore agricolo e per il tasso di suicidi. «Lo scorso anno la maggior parte del raccolto di grano è andato perduto a causa della riduzione delle piogge stagionali» spiega Ruchi Shroff. «Se i monsoni non arrivano, o arrivano al momento sbagliato, si rischia la siccità e i contadini indiani sono estremamente vulnerabili» .
I contadini chiedono di annullare i loro debiti
Il governo è corso ai ripari nel 2016, proponendo un sistema di assicurazione che dovrebbe garantire il contadino in caso di fallimento della produzione o di cattivo raccolto, incidendo così sulle cause che portano al suicidio. Secondo il nuovo sistema, gli agricoltori pagherebbero l’1,5% del valore del raccolto e avrebbero così il diritto a un rimborso totale in caso di danno ai campi per cause naturali.
Anche quest’anno si sono diffuse in diversi stati indiani le proteste dei contadini che chiedevano un riconoscimento maggiore dei loro prodotti, prezzi migliori e la liberazione dai loro debiti. A giugno, nello stato del Madhya Pradesh, la polizia ha sparato contro un gruppo di agricoltori in protesta, uccidendo cinque persone.
Lo scorso aprile i contadini dello stato di Tamil Nadu, nel sud del paese, hanno protestato per quasi 60 giorni a Delhi. Gli agricoltori in quell’occasione hanno portato in piazza ossa e teschi per mostrare al governo i morti causati dall’impossibilità di ripagare i prestiti, per chiedere sostegno per affrontare i periodi di siccità e finanziamenti per realizzare infrastrutture irrigue.
«Il sostegno dello stato è inesistente», denuncia Ruchi Shroff. Secondo la direttrice di Navdanya International, le politiche statali a sostegno degli agricoltori, come il “prezzo di approvvigionamento” e “il prezzo minimo di supporto” sono ininfluenti quando il valore del prodotto è dettato dal mercato mondiale.
«I contadini non possono competere con prezzi bassissimi che si impongono a livello globale. Nonostante alcuni stati abbiano rinunciato a riscuotere i prestiti dati ai contadini, si tratta di un sollievo parziale. Le famiglie si indebitano con più soggetti contemporaneamente e difficilmente riescono ad estinguere i debiti con tutti», dice la direttrice di Navdanya International.
Pesticidi, arma di morte per i contadini suicidi
In diversi casi riportati dalla stampa locale e internazionale, i contadini indiani si tolgono la vita bevendo prodotti tossici, spesso pesticidi, facilmente reperibili sul mercato. Lo conferma anche uno studio del 2012 pubblicato sulla rivista scientifica Lancet, che analizza i suicidi nel paese asiatico. Secondo la ricerca, almeno la metà delle persone che si toglie la vita lo fa per avvelenamento e i pesticidi sono i prodotti più utilizzati e accessibili, soprattutto nelle aree rurali.
Il frutto della rivoluzione verde
«Il modello di agricoltura più diffuso nel paese prevede alti costi per l’acquisto dei semi e dei pesticidi ma un bassissimo sostegno ai contadini da parte dello stato», spiega ancora la direttrice di Navdanya International. Il modello a cui Ruchi Shroff si riferisce è quello nato dalla Rivoluzione Verde che prevede un elevato utilizzo di acqua, di fertilizzanti e agenti chimici. «I contadini indiani per poter comprare i semi necessari per l’annata devono chiedere prestiti, che difficilmente riescono a ripagare».
«Se prendiamo in considerazione il Punjab, che è lo stato della Rivoluzione Verde, osserviamo che la produttività è una delle più alte al mondo, ma è anche al secondo posto per tasso di suicidi nel paese. Si tratta di un problema sistemico, quindi».
Secondo la direttrice di Navdanya International il sistema spinge i contadini a contrarre debiti per poter attuare un modello di agricoltura basato su prodotti da reddito, che richiedono molta acqua e molta chimica.
I “cash crop”, inoltre, risentono fortemente dei prezzi del mercato e rendono vulnerabile l’agricoltore. «Se il raccolto va perduto, cosa mangerà il contadino che non ha previsto anche una produzione per il consumo familiare?», si chiede Ruchi Shroff.
Il caso del cotone geneticamente modificato
Tra le monocolture che hanno generato più debiti c’è il cotone, che in India in più del 90% dei casi è geneticamente modificato. «Nella zona di coltivazione del cotone si concentrano la maggioranza dei suicidi», dice Ruchi Shroff. E aggiunge: «I semi di cotone BT sono spesso sterili e quindi rendono i contadini ancora più dipendenti dalle aziende produttrici».
La direttrice di Navdanya International spiega come per anni le compagnie produttrici di sementi e i governi abbiano spinto, anche attraverso campagne pubblicitarie, la coltivazione e la scelta di cotone BT al posto delle varietà tradizionali.
Secondo Navdanya International, che lavora con i contadini che conservano i semi e diversificano le colture, l’unica soluzione che possa renderli indipendenti è la transizione verso un modello agricolo che punta alla biodiversità, che rinuncia alla chimica e valorizza il ruolo dell’agricoltore.