Togo, prove di una rivoluzione
Il Togo è sceso in piazza per cacciare Faure Gnassingbé, dal 2005 ininterrottamente al potere. Nei 30 anni precedenti, il presidente è stato suo padre. Il Paese africano è un feudo della famiglia: povero, corrotto e infelice. Ma ora la speranza del cambiamento ha un nome: Tikpi Atchadam
Cinquant’anni di persecuzioni politiche. Di violenze e di censure. Trascorsi in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse. Oggi, però, i cittadini del Togo hanno occupato le piazze delle loro città per cambiare regime. Per chiudere con la famiglia che ha governato ininterrottamente, quasi dall’indipendenza ad oggi: gli Gnassingbé padre e figlio. Nonostante tra il 19 e il 20 agosto ci siano stati due morti nelle manifestazioni. Il governo, per altro, sta correndo ai ripari: internet è bloccato e i media più importanti, come France24, sono stati espulsi dal Paese.
La dittatura silenziosa dei Gnassingbé
Dal 1963 nel Paese africano governa la famiglia Gnassingbé: prima il padre Gnassingbé Eyadéma, che l’ha conquistato con un golpe, poi il figlio Faure, a cui è stato ceduto in una notte, nel gennaio del 2005, quando moriva il padre.
«Finora non c’è mai stato nessuno in grado di unire le opposizioni – spiega a Osservatorio Diritti Gado Ali, rifugiato politico a Varese e membro dell’Associazione togolesi in Italia – Gnssingbé è sempre stato in grado di dividere il Nord dal Sud».
In questo modo, ha evitato che qualunque opposizione potesse mettere in pericolo il suo potere. La richiesta è semplice: ristabilire la vecchia Costituzione del 1992, fatta a brandelli dai Gnassingbé. Anche la diaspora, da lontano, appoggia le proteste: con manifestazioni sia in Italia, sia a Bruxelles, dove a fine agosto hanno depositato alcuni documenti per denunciare la privazione dei diritti in cui sono costretti a vivere i loro parenti in patria. E per chiedere che l’Europa, Francia in primis, non appoggi più il regime.
Tikpi Atchadam: la speranza di un nuovo presidente
Ma ora a Lomé c’è l’uomo della provvidenza: si chiama Tikpi Atchadam, «l’infaticabile», come lo chiamano in Togo. Nel 2014, a 47 anni, dopo una vita già spesa in politica (anche in coalizione con i partiti che sostenevano Gnassingbé), ha fondato il Partito nazionale panafricano. Ha iniziato a percorrere in lungo e in largo il Togo, cercando di tessere legami laddove non ce n’erano più.
Per riuscirci, però, ci sono voluti tre anni dalla fondazione del partito e due dalle ultime elezioni. Era l’aprile 2015: a contestare il posto da presidente, all’epoca, era Jean-Pierre Fabre, che ha denunciato brogli ed elezioni truccate. Ma gli osservatori internazionali dell’Unione europea hanno convalidato l’esito delle urne: Gnassingbé ha vinto con il 58% e un tasso di astensione al 40 per cento.
Con Atchadam, però, la musica è cambiata. L’oppositore della famiglia Gnassingbé ha saputo unire le anime del Togo – Paese da 7 milioni di abitanti e 113 partiti – con in mente una data come apice della sua protesta: il 6 settembre. In quel giorno, il primo presidente del Togo, Sylvanus Olympio, avrebbe compiuto 115 anni. Una data simbolica. Gli scontri, e i primi feriti, sono cominciati tra il 19 e il 20 agosto.
Ma il suo governo si è chiuso con un colpo di Stato, nel 1963, che ha portato al potere il militare Emmanuel Bodjollé. Gnassingbé Eyadéma, che aveva parte dei golpisti, diceva di aver ucciso lui stesso il vecchio presidente. Quattro anni dopo, si è preso il potere con un secondo golpe.
A Lomé una Costituzione mai rispettata
«Chiediamo che venga rispettata la costituzione del 1992, votata da oltre il 90% dei togolesi, eppure cambiata da Feure Gnassingbé per rimanere al potere», spiega Gado Ali. La Costituzione del 1992 avrebbe previsto un doppio turno nelle elezioni e soprattutto un numero di mandati limitato: due. Invece, accusano gli oppositori di Gnassingbé, il dittatore ha fatto finta di scendere a compromessi con l’opposizione nel 2006, con gli Accordi politici globali. Ma sono rimasti lettera morta.
Le elezioni, secondo Ali, sono state sempre solo una formalità. Gnassingbé si è proclamato vincitore ancora prima che lo spoglio fosse completato. Questa gestione del potere ha ovviamente spaccato il Paese. Una situazione che ricorda il Gambia di Yahya Jammeh, il dittatore caduto con le ultime elezioni di gennaio 2017.
Gnassingbé, secondo i suoi detrattori, vive asserragliato, ha costruito un Paese a suon di mazzette. «Chi sta dalla sua parte, ha una carriera pubblica assicurata. Per gli altri è impossibile», aggiunge Gado. Una condizione che contribuisce a rendere il Togo uno dei Paesi più tristi del mondo: al 150esimo posto del World Happiness Index 2017.
Le sparizioni e gli omicidi
Poi c’è la pagina più scura della storia del Paese, cominciata con il 1967 e diventata ancora più drammatica con gli anni Novanta, quando è nato il multipartitismo: gli omicidi di Stato, la sparizione di oppositori politici, intellettuali dissidenti e uomini che potevano mettere in pericolo il potere dei Gnassingbé.
Dal 2002 in avanti, ogni evento elettorale, sia per le presidenziali, sia per le legislative, ha visto la popolazione civile vittima di violenze e repressioni. Nel 2005, con la morte del padre dell’attuale presidente, gli scontri più importanti: secondo alcune ong occidentali, come Amnesty International, le vittime sono state 500, per l’opposizione togolese almeno 800. La stessa Amnesty, nel rapporto 2017, indica ancora detenzioni arbitrarie, una legge molto repressiva per ogni forma di assemblea pubblica e l’impunità delle forze di polizia.
Da ultimo, si aggiunge il fatto che il porto di Lomé, uno dei più importanti per l’Africa occidentale, è diventato uno snodo della rotta della droga che dall’America Latina arriva in Europa. In più, ricorda Gad Ali, è il punto di ingresso principale delle armi che alimentano le guerre del continente. Una circostanza che rende la crisi in Togo ancora più delicata.