Kenya: elezioni annullate in paese a pezzi

La Corte Suprema del Kenya ha annullato l'esito delle ultime elezioni per la prima volta nella storia del paese. La crisi politica ha radici etniche e nelle manifestazioni post elettorali sono già morte almeno 28 persone. L'alta tensione si aggiunge a una situazione già devastata anche sul piano sociale ed economico

«La Corte dichiara questa elezione nulla». Il concetto, in inglese, è stato espresso con tre sinonimi: «Null, invalid, void». Il giudice capo della Corte Suprema di Nairobi David Maranga il 1° settembre ha annullato le elezioni in Kenya per la prima volta nella storia del Paese. Il voto per decidere chi sarà il nuovo presidente andrà ripetuto entro 60 giorni.

Nairobi a questo punto è in un limbo: c’è il pericolo che le tensioni etniche sempre accese possano divampare in qualcosa di più violento. Il Kenya è il paese locomotiva dell’Africa orientale, ma è anche uno dei più corrotti al mondo. In particolare nei piani alti del sistema giudiziario, spesso troppo complice del potere dominante. In più, sulla costa patisce una forte influenza delle milizie islamiste di al-Shabaab, che hanno destabilizzato soprattutto le zone costiere.

L’8 agosto il paese africano avrebbe dovuto scegliere il presidente per i prossimi cinque anni tra due storici concorrenti: l’uscente Uhuru Kenyatta e l’eterno rivale perdente Raila Odinga. Secondo gli esiti ufficiali dello spoglio, il vincitore è stato Uhuru Kenyatta, con oltre dieci punti di scarto. Gli osservatori internazionali non hanno mai eccepito sulla legittimità del voto. Ma alla Corte suprema hanno messo in discussione un terzo delle schede.

Kenya elezioni
Il sito tuko.co.ke pubblica un documento di un collegio elettorale che si ritiene sia stato falsificato. Il documento manoscritto è stato ripreso dalla stessa Commissione elettorale del Kenya

 

Il timore che ci fosse qualcosa di strano nel voto era cominciato a serpeggiare il 31 luglio 2017, quando fu scoperto il cadavere del responsabile informatico della Commissione elettorale del Kenya, Chris Msando. La ricostruzione della polizia ipotizza un «triangolo amoroso» di cui Msando sarebbe stato vittima. Versione che pare di comodo.

Agosto 2017: la macchina del voto si è inceppata

Le ripercussioni della dichiarazione del giudice Maraga sono ovviamente di una portata imprevedibile. Tra le opposizioni a Uhurhu, c’è chi definisce il giudice un eroe nazionale per la libertà. Il presidente uscente ha detto alla stampa che «aggiusterà» la Corte suprema, nel caso in cui dovesse vincere le elezioni. E in un raduno di suoi supporter ha definito i giudici della Corte «furfanti».

La Commissione elettorale keniana aveva appurato la vittoria di Kenyatta e del suo Jubilee Party con un ampio margine di 1,4 milioni di voti. L’ente aveva anche affidato alla francese Safran Morpho un appalto milionario per la gestione di un sistema biometrico che avrebbe dovuto impedire frodi. Ma nel post voto sono spuntate schede di collegi elettorali compilate in modo poco chiaro.

 

Kenya elezioni

Uhuru Kenyatta nel 2015. Foto: © WTO. Courtesy of Admedia Communication (via Flickr)

Sospetti sulla legittimità del voto ce ne sono da tempo. L’azienda di auditing Kpmg aveva già segnalato in giugno tra gli elettori la presenza dei nominativi di circa un milione di morti. In più, rispetto al 2013, indicava l’aumento di 5 milioni di elettori: troppi.

Kenya: un paese frantumato dai conflitti etnici

Raid di forze di polizia speciali, repressioni di piazza, uccisioni. Nei giorni immediatamente successivi al voto, almeno 28 persone sono morte, riporta la Bbc. Persone scese in piazza come sostenitori del candidato sconfitto Odinga, ma anche persone con la semplice colpa di vivere in zone dei Luo, la minoranza etnica a cui appartiene l’oppositore di Kenyatta.

I gruppi etnici principali – Kikuyu, Luhya, Kalenjin, Luo e Kamba – rappresentano il 70% della popolazione keniana. L’appartenenza politica è spesso condizionata da quella etnica. Capire esattamente l’entità delle violenze perpetrate dalla polizia è in questo momento molto difficile. In particolare a Kisumu, altro feudo di Odinga, come segnala anche Human Rights Watch. L’ong sottolinea anche che non è stata rispettata la libertà dei media nel raccontare le violenze subite dagli oppositori di Kenyatta.

Ma l’attuale presidente non è l’unico ad aver sfruttato il conflitto etnico. Dopo il voto del 2013, Raila Odinga ha soffiato sul fuoco del conflitto etnico per mettere in discussione l’esito elettorale. La rivolta dei Luo invocata da candidato sconfitto era partita da due baraccopoli di Nairobi, Mathare e Kibera. In quel caso, però, il sistema giudiziario keniota aveva rigettato le istanze del partito Nasa.

Ma le elezioni che hanno portato il maggior numero di morti risalgono al 2007. Il bilancio è stato di 92.722 morti e oltre 600 mila sfollati interni. A vincere, in quel caso, è stato Mwai Kibaki, candidato che sfidava il presidente uscente Daniel Arap Moi. A mettere la firma su quell’esito, ci fu soprattutto Julian Assange: Wikileaks nasceva quell’anno, con il rilascio di cablogrammi che raccontavano il sistema di corruzione sotto Arap Moi. Il cambio di presidente, però, non ha poi provocato gli effetti sperati.

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Raila Odinga nel 2012, © European Union (via Flickr)

Ma le elezioni che hanno portato il maggior numero di morti risalgono al 2007. Il bilancio è stato di 92.722 morti e oltre 600 mila sfollati interni. A vincere, in quel caso, è stato Mwai Kibaki, candidato che sfidava il presidente uscente Daniel Arap Moi. A mettere la firma su quell’esito, ci fu soprattutto Julian Assange: Wikileaks nasceva quell’anno, con il rilascio di cablogrammi che raccontavano il sistema di corruzione sotto Arap Moi. Il cambio di presidente, però, non ha poi provocato gli effetti sperati.

Kenyatta e Odinga: i due eterni rivali

In Kenya il potere è un affare di pochi. Le sfide elettorali, dalla nascita del paese nel 1963, si è sempre basato su sfide “familiari”. Dal 2013, i contendenti sono Kenyatta e Odinga. Il primo, classe ’61, è figlio di Jomo Kenyatta, il padre fondatore del Kenya. Si autodefinisce “presidente digitale” ed è alla ricerca del suo secondo mandato. La prima volta, nel 2013, l’ha spuntata nonostante una causa in corso alla Corte penale dell’Aja per le violenze del 2007-8, quando aveva sostenuto Kibaki, presidente kikuyu come lui. Uscito con un’assoluzione piena, era stato accusato di aver pagato un’organizzazione criminale – i Mungiki per condurre attacchi contro i non-kikuyu.

Odinga, invece, è figlio dell’ex numero due di Jomo Kenyatta, Jaramogi Oginga Odinga. Ma quell’alleanza kikuyu-luo non è durata a lungo: nel 1966 il padre di Odinga ha lasciato il governo Kenyatta, critico verso le misure economiche socialiste che non garantivano ricchezza. In più, le posizioni più delicate del governo fin dall’inizio secondo i luo sono state affidate ai kikuyu, il 20% della popolazione.

Nel 1982 il figlio Radila Odinga ha anche partecipato ad un tentativo di colpo di Stato contro il presidente di allora, Daniel arap Moi. È stato incarcerato due volte, tra 1982 e l’88 e e tra il 1989 al 1991. Il suo carisma con il carcere si è ulteriormente rinforzato, tanto che in Kenya si parla di Railamania o Railaphobia, vista la capacità di dividere del personaggio.

Kenya sull’orlo del baratro: anche l’economica è in crisi

La crisi politica è spia di una crisi molto più profonda. Le infermiere sono in sciopero da 90 giorni perché chiedono – in sostanza – paghe più alte e turni più brevi negli ospedali pubblici. E il timore è che ci possano essere delle ripercussioni su chi ha partecipato allo sciopero.

In più, il settore turistico – causa paura del terrorismo – è in picchiata. Anche gli imprenditori stranieri che hanno investito da tempo in turismo di lusso – come Flavio Briatore con le sue strutture appena vendute a Malindi, “Lion in the Sun” e “Billionaire” hanno lasciato. Questo mette ulteriormente in ginocchio l’economia della costa.

L’ultimo colpo è stato assestato dal sistema bancario. La Banca centrale di Nairobi sta ancora investigato su alcune banche d’affari legate alla numerosa comunità indiana che vive a Nairobi e che avrebbero permesso operazioni di riciclaggio di denaro sporco.

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