Serbia: 1.500 migranti in un documentario

In Serbia 1.500 migranti sono rimasti bloccati a Belgrado, all'addiaccio, in condizioni disumane, per settimane. È accaduto nel gennaio 2017, dopo la chiusura della rotta balcanica. Lo racconta il documentario Peace.Please. La situazione adesso è stabile, finalmente. Ma i profughi continuano a voler scappare dalla Serbia

Peace.Please è una testimonianza indelebile di ciò che è accaduto a Belgrado all’inizio del 2017. Un documentario di pochi minuti, per immortalare una delle tante pagine nere che compongono il libro delle migrazioni del ventunesimo secolo, di cui per ora non si vede ancora la fine.

È gennaio, è inverno. C’è la neve, fa freddo, molto freddo. Le temperature arrivano a toccare i -20°. Circa 1.500 profughi, soprattutto afghani, pachistani, iracheni e siriani, sono accampati negli edifici abbandonati vicino alla vecchia stazione ferroviaria. Niente acqua, niente servizi igenici, solo tanta immondizia e una nube di fumo perenne all’interno dei depositi abbandonati dove sono costretti a vivere. Dove sopravvivono grazie all’aiuto di alcune ong, che offrono loro cibo, coperte e una minima assistenza sanitaria.

Sono qui perché sono stati beffati dalle mosse fatte sulla scacchiera della politica internazionale. In seguito alla chiusura della rotta balcanica, a marzo 2016, la capitale serba si è infatti trasformata, per alcuni mesi, da città di snodo a punto di arrivo per i migranti. Un limbo di incertezza, precarietà e condizioni di vita disumane.

Serbia: migranti combattono per la vita in Peace.Please

«Please, help me», «We need help», erano le scritte che si leggevano sui muri di quegli alloggi di fortuna che a gran parte del “pubblico occidentale” ricordavano i campi di concentramento. Peace.Please, così hanno intitolato il documentario i due giovani registi sloveni, Tina Lagler e Blaž Miklič.

peace.please documentario
Foto di Tina Lagler

Loro sono «una coppia di giornalisti e filmaker», nel 2013 hanno realizzato un documentario musicale e nel 2015 hanno fondato la Osm Films, che produce video legati all’ambito sportivo e al turismo di avventura. Ma in quei giorni critici di gennaio del 2017 hanno deciso di lasciare Lubiana per vedere con i propri occhi cosa stava succedendo a 500 km da casa loro, appena fuori dai confini europei.

Oggi quei muri non ci sono più, sono stati abbattuti. Le tracce di ciò che è accaduto lì, cancellate. Le immagini riprese da Tina e Blaž, invece, rimangono. «La situazione era terribile, soprattutto perché terribili erano quell’inverno e il posto in cui i profughi erano abbandonati a se stessi. Quando siamo arrivati a Belgrado, la temperatura era di -10°, la settimana prima era scesa a -14°. Circa 1.500 uomini erano lì, in queste grandi stanze a combattere per la loro vita», racconta Tina a Osservatorio Diritti.

Serbia migranti
Foto di Tina Lagler

«Ho visto uomini disposti a tutto pur di avere una vita migliore, ma anche domandarsi perché si trovassero in quella situazione. Lì ho toccato con mano i loro sentimenti, le emozioni, le contraddizioni».

Tina ricorda che il momento peggiore era la notte, quando l’aria diventava irrespirabile a causa del fumo dei falò accesi per scaldarsi. Ma ricorda anche di aver visto «persone disposte ad aiutarsi, uomini che – pur vivendo in condizioni disumane – si trattavano da uomini».

Guarda le foto:
Umanità al confine: migranti a Belgrado

Oltre mille migranti sono ancora a Belgrado

La situazione a Belgrado ora è cambiata. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Unhcr, ad agosto in Serbia si sono registrati 4.405 tra rifugiati, richiedenti asilo e migranti. Di questi, il 93% è ospitato nei 18 centri di accoglienza governativi. «A Belgrado sono più o meno 1.400», spiega Edin Sinanovic, uno dei due fondatori della Refugees Foundation Serbia.

Serbia migranti
Foto: Tina Lagler

«Di questi solo un piccolo numero di persone vive ancora in rifugi informali e si rifiuta di andare nei campi ufficiali», per questo «non credo che quest’inverno si riproporrà la situazione dell’anno scorso, anche se non si può mai dire».

Edin ammette di non sapere di preciso quali siano i piani del governo rispetto agli immigrati presenti in Serbia. «L’unica cosa che posso dire è che sta lavorando per fare in modo di mandare tutti i bambini stranieri a scuola all’inizio dell’anno scolastico».

Per lui questa è una cosa importante. L’ong che dirige è attiva da agosto 2016 ed è stata la prima a occuparsi dell’educazione dei minori stranieri non accompagnati in Serbia. I membri sono per lo più giovani che stanno studiando all’università di Belgrado per diventare psicologi o assistenti sociali.

Tra i vari progetti a cui stanno lavorando c’è il Supporto educativo per i rifugiati in Serbia, sviluppato dall’Unicef e dal Centro delle politiche educative, in collaborazione con il ministero dell’Educazione di Belgrado. L’ong è stata coinvolta per portare e andare a prendere i minori stranieri a scuola e per dare un supporto in classe laddove ce ne fosse bisogno, organizzando corsi di inglese e serbo proprio per i bambini.

Per approfondire:
Balcani violenti con i migranti

Serbia: i migranti si sentono ancora «in prigione»

Anche se quasi tutti i migranti adesso sono alloggiati nei campi governativi, non significa che abbiano vita facile. Silvia Maraone, operatrice dell’ong Ipsia (Istituto pace sviluppo innovazione Acli) al Centro di transito per richiedenti asilo di Bogovadja, racconta che molte delle persone con cui ha a che fare dicono di sentirsi in «prigione» o allo «zoo».

In generale «la maggior parte dei migranti presenti in Serbia, continua a considerare questo un paese di transito». Solo che i tempi per ottenere i documenti relativi alla richiesta di asilo sono lunghi e incerti. E comunque, anche una volta ottenuti, non potrebbero entrare in Europa, non rientrando la Serbia nel Trattato di Schengen.

«Le giornata qui sono tutte uguali, gli ospiti non possono fare niente, neanche farsi da mangiare. La nostra presenza qui serve proprio a questo, a rendere meno monotono il loro tempo e lo facciamo organizzando attività ricreative per i bambini e corsi per gli adulti, per fare in modo che apprendano un mestiere».

Migranti in fuga verso Ungheria, Croazia, Romania

A gennaio si era registrato il picco massimo di presenze di migranti in Serbia (l’Unhcr parla di 7.800, anche se per Medici Senza Frontiere secondo dati non ufficiali potevano essere anche più di 8.500). Ora, secondo i dati diffusi dall’Unhcr si parla di 4.400 migranti ad agosto. Questo calo drastico secondo Maraone è dovuto «al tentativo di fuga da parte dei migranti in coincidenza con la bella stagione».

Serbia migranti
Dati Unhcr sulle presenze di migranti in Serbia

Nel campo dove lavora lei «da giugno hanno ricominciato a muoversi per tentare di entrare in Croazia, Ungheria o Romania».

I migranti allocati nei campi governativi hanno libertà di movimento per massimo tre giorni, trascorsi i quali non possono più entrare. «Ma alla fine – dice Silvia – li riprendono tutti. La linea è quella di riprendere le persone perché più persone significano più soldi. Per ogni migrante il governo o la Croce Rossa serbi stanziano più o meno 20 euro a migrante al giorno». I soldi arrivano dall’Unione europea, che tra il 2015 e il 2016 ha già stanziato per la crisi migratoria in Serbia fondi pari a 50 milioni di euro.

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