Taranto: hotspot prigione per minori

Quattordici minori stranieri non accompagnati sarebbero stati trattenuti illegalmente nell’hotspot di Taranto a giugno. Non è la prima volta che accade. Ma ora la Corte europea dei diritti dell’uomo è chiamata a occuparsene e a giudicare l’Italia. Osservatorio Diritti ha potuto leggere in anteprima il ricorso presentato alla Cedu

Nel giugno scorso l’hotspot di Taranto si sarebbe trasformato in una sorta di prigione per quattordici minori stranieri non accompagnati. I giovani migranti, provenienti da Bangladesh, Gambia, Mali, Senegal, Ghana e Costa d’Avorio, sono stati trattenuti per alcune settimane all’interno della struttura senza poter uscire o contattare qualcuno, né telefonicamente, né via web. Da quando l’hotspot è stato istituito, nel febbraio del 2016, non è la prima volta che accade. Ma ora la questione è finita davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), come Osservatorio Diritti è in grado di documentare in anteprima in questo articolo.

Il ricorso è stato presentato da Dario Belluccio. La decisione è stata presa dopo che l’avvocato del foro di Bari e componente del direttivo nazionale dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha visitato la struttura a inizio luglio.

«Quel giorno erano presenti nell’hotspot 84 minori e 420 adulti, anche se la capienza massima del centro è di 400 posti. I ricorrenti sono 14, tutti minori soli, a cui per diverse settimane è stato persino vietato di mettersi in contatto con i parenti, oltre che essere trattenuti in una struttura non idonea per l’accoglienza ai minorenni».

Per questo, dice Belluccio, «al termine della stessa visita, insieme alla collega Marina Angiuli, abbiamo deciso di presentare ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo».

Hotspot di Taranto e minori: i motivi del ricorso

«Abbiamo potuto visitare il centro di Taranto il 1° luglio di quest’anno soltanto perché accompagnati da una parlamentare, Annalisa Pannarale. A parte le persone autorizzate a gestire il centro e le forze di polizia lì presenti, infatti, non è consentito l’ingresso agli avvocati, ai giornalisti né ai parenti delle persone trattenute», spiega Belluccio.

All’interno non ci sono telefonici pubblici e, inoltre, la convenzione stipulata tra il Comune di Taranto e l’ente gestore della struttura, la cooperativa Noi & Voi, non prevede l’erogazione né di schede telefoniche né del pocket money (il bonus giornaliero di 2,5 euro massimo che viene dato agli stranieri nei centri di accoglienza).

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Hotspot di Taranto – Foto © Luciano Manna

 

Dunque, per i minori trattenuti in teoria non vi è alcuna possibilità di contattare qualcuno, neanche un familiare, che sia in Italia o all’estero. Non solo. Secondo l’avvocato «la libertà personale dei ricorrenti è stata violata in quanto l’hotspot non è, comunque, un luogo deputato al trattenimento amministrativo delle persone».

«Lì dentro non possono essere ospitati minorenni, per di più senza un provvedimento scritto che ne giustifichi un trattenimento così prolungato».

Per questo i legali hanno chiesto con urgenza al governo il loro trasferimento in una delle comunità deputate alla presa in carico delle persone minori di età. Cosa che effettivamente è poi avvenuta. Anche se il procedimento davanti alla Cedu continua.

Le violazioni contestate al governo italiano

Al governo italiano viene contestata la violazione degli articoli 3, 5, 8, 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, oltre che quella dell’articolo 13 della Costituzione italiana. Questo prevede che la libertà personale possa essere limitata solo su ordine di un giudice o, in casi eccezionali e qualora ciò sia previsto dalla legge, dalle autorità di pubblica sicurezza con successivo avallo della autorità giudiziaria competente.

In pratica, la contestazione riguarda nello specifico il trattenimento di minori nell’hotspot di Taranto in modo illegale e ingiustificato, ma anche in condizioni materiali inumane e degradanti, in relazione alla loro condizione di minorenni appena giunti in un paese straniero. Non solo. Secondo l’avvocato «si è evidenziata la situazione di promiscuità fra minori e adulti, aggravata dal sovraffollamento della struttura».

Inoltre, conclude Belluccio, è conclamato che «i minori non abbiano avuto accesso ad una adeguata assistenza legale, sociale, sanitaria e psicologica, anche in quanto potenziali vittime di tratta».

Minori stranieri non accompagnati: cosa dice la legge

L’ordinamento italiano prevede che «per esigenze di soccorso e di protezione immediata, i minori non accompagnati siano accolti in strutture governative di prima accoglienza a loro destinate». Come recita l’articolo 19, comma 4, del decreto legislativo n.142 del 2015 «è vietato il collocamento presso i centri governativi di prima accoglienza per adulti». Norma che, per analogia, può trovare applicazione anche per quanto riguarda i centri di accoglienza straordinari per adulti (Cas) e per i centri senza una disciplina specifica come nel caso dell’hotspot di Taranto.

Lo stesso articolo, al comma 5, stabilisce che «l’autorità di pubblica sicurezza dà immediata comunicazione al giudice tutelare per la nomina del tutore e al Tribunale per i minorenni per la ratifica delle misure di accoglienza predisposte». In Italia, quindi, i minori stranieri non accompagnati hanno diritto all’accoglienza e non possono essere né espulsi, né trattenuti.

Per approfondire:
Diritti violati nell’hotspot di Taranto
Migranti soli in fuga da guerre e fame
Minori non accompagnati cercansi

Migranti e hotspot: la storia dei punti di crisi

Agli inizi del 2016, su sollecitazione della Commissione europea (inizialmente senza alcuna codificazione giuridica) sono stati istituiti in Italia quattro punti di crisi, i cosiddetti hotspot, a Pozzallo, Lampedusa, Trapani e Taranto. Altri ne sono nati su alcune isole greche, tra cui Lesbo. Queste strutture sono state poi codificate soltanto con il decreto legge 13/2017, poi convertito nella Legge n. 46/2017, meglio nota come decreto Minniti-Orlando.

In particolare, l’articolo 17 dispone che «lo straniero, rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna, ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi (o hotspot)».

Tuttavia, non vi è nessun cenno, nei decreti, sulla possibilità di essere trattenuti senza l’avallo del giudice oltre il tempo previsto ( 48 ore) dalla normativa italiana. Ciò vale per qualsiasi persona e, dunque, anche per i minori.

Taranto: hotspot fabbrica di violazioni per i migranti

L’hotspot di Taranto si trova nella zona di un vecchio parcheggio nei pressi della zona industriale tarantina, una delle aree più inquinate d’Italia. È una struttura realizzata su circa 10 mila metri quadrati al varco nord del porto. Qui dentro, tra tende e container, all’ombra delle ciminiere di Ilva e Cementir, vengono svolte le operazioni di prima assistenza e di identificazione dei migranti che sbarcano per la prima volta in Italia. Ma soprattutto sono identificate le persone che provengono da Ventimiglia.

La struttura era già finita nel mirino della Corte europea per i diritti dell’uomo nel febbraio scorso per il meccanismo che è alla base del suo funzionamento. Quella volta lo stesso Dario Belluccio, insieme a un altro legale di Asgi, Salvatore Fachile, erano volati a Khartoum, capitale del Sudan, per incontrare e raccogliere le testimonianze di alcuni tra i quaranta cittadini sudanesi rimpatriati dall’Italia nell’agosto del 2016. Cinque di loro, poi, scelsero di ricorrere alla Cedu. Dice Fachile: «Anche la loro storia era cominciata a Taranto, in quella fabbrica di esclusione e di violazioni dei diritti umani chiamata hotspot».

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