Mosul: forza anti-Isis fa strage di civili
Bombardamenti sui civili, violenze, torture, aggressioni. Amnesty e Human Rights Watch denunciano continue violazioni dei diritti umani a Mosul, l’ex capitale dell’Isis in Iraq. E l'organizzazione terroristica non è l'unica responsabile della situazione: accuse pesanti all'esercito iracheno e alla coalizione a guida Usa
Il 9 luglio il premier iracheno Haider al Abadi ha annunciato la liberazione di Mosul dalle milizie dello Stato Islamico. Partita il 16 ottobre del 2016, secondo i dati l’intelligence curda l’offensiva potrebbe aver provocato la morte di quasi 40 mila civili. Una catastrofe iniziata prima nella zona est della città, poi in quella ovest. Sotto il rischio costante di morire a causa dei bombardamenti, delle sparatorie e delle violenze delle forze in campo, almeno 900 mila persone sono state costrette a scappare e a lasciare l’ex capitale dell’Isis in Iraq. Un numero enorme per una città di un milione e mezzo di abitanti.
La minaccia non arriva esclusivamente dall’Isis, ma anche dalle forze di liberazione. Secondo l’istituto di ricerca Airwars, dal 19 marzo al 19 giugno, solo nella parte ovest della città, almeno 3.706 civili sono stati uccisi dai bombardamenti dell’esercito iracheno e della coalizione guidata dagli Stati Uniti.
A colpire i cittadini di Mosul sono «i bombardamenti indiscriminati, spesso sproporzionati o comunque ingiustificati», scrive Amnesty International in nel rapporto pubblicato l’11 luglio, “Ad ogni costo – La catastrofe civile a Mosul Ovest“. Senza dimenticare le violenze nei confronti di coloro che sono sospettati di far parte dell’Isis e delle loro famiglie.
Al Thawra e Al Tenak: bombardamenti ingiustificati
«Il grande numero di vittime civili durante le operazioni militari per riprendere Mosul, è un aspetto che deve essere preso in considerazione e riconosciuto pubblicamente dal governo iracheno e dagli stati che fanno parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti», scrive Amnesty International.
Al Thawra è un sobborgo della zona ovest della città. La mattina del 20 aprile un bombardamento ha raso al suolo un’abitazione causando 104 morti. Nei giorni precedenti, un miliziano nell’Isis si era nascosto nell’edificio, ma aveva lasciato l’appartamento un’ora prima.
Al Tenak è un altro quartiere posizionato sulla riva destra del fiume Tigri. Lo scorso 20 marzo, un’esplosione ha causato il collasso di due edifici: 11 civili morti. 40 minuti prima, di fronte ai palazzi, stazionava un camion con rimorchio su cui era montata una mitragliatrice. Ma al momento dell’attacco il mezzo dell’Isis non c’era più. E non si tratta del solo bombardamento nel quartiere: il veicolo era stato spostato diverse volte, di conseguenza per colpirlo sono stati lanciati altri attacchi, con il risultato di fare diverse vittime tra uomini, donne e bambini.
I due episodi sono stati raccolti dai ricercatori di Amnesty sentendo diversi testimoni presenti sul luogo dell’accaduto. La stessa organizzazione per la difesa dei diritti umani ha documentato almeno 45 attacchi simili avvenuti a Mosul Ovest, per un totale di 426 civili uccisi.
Mosul, omicidi di Stato in nome della lotta all’Isis
Allo stesso tempo, non sono soltanto le bombe e gli ordigni lanciati dal cielo a mettere in pericolo la vita dei cittadini di Mosul: su di loro pende il sospetto di aver militato nell’Isis o di aver collaborato con gli uomini del Califfo. L’11 luglio scorso, il blog Mosul Eye ha pubblicato un video in cui alcuni soldati dell’esercito iracheno lanciano da un’altezza di 30 metri un uomo sospettato di essere un miliziano dello Stato Islamico. Nelle immagini successive, si vede anche un secondo uomo che giace a terra immobile.
In un’altra clip diffusa sui social network, invece, si vede un soldato dell’esercito iracheno che giustizia con un colpo alla testa un prigioniero disarmato e inginocchiato di fianco a un’automobile.
«Queste orribili segnalazioni di maltrattamenti e omicidi sono accompagnate dal silenzio di Baghdad, solo per favorire la sensazione di impunità tra le forze armate a Mosul», ha dichiarato al quotidiano britannico The Guardian Belkis Wille, ricercatrice di Human Rights Watch (Hrw).
A giugno, Hrw ha denunciato anche il ritrovamento di 26 corpi sepolti in località e zone della città sotto il controllo delle forze governative. I cadaveri erano bendati e avevano le mani legate. Secondo alcuni testimoni, almeno 15 di loro sono stati uccisi dai militari che li avevano in custodia perché sospettati di far parte dello stato Islamico. Mentre per quanto riguarda gli altri, sarebbe proprio il luogo in cui sono stati seppelliti a far ricadere le responsabilità sulle autorità irachene.
Iraq, campi di detenzione e famiglie recluse
Durante i mesi di assedio centinaia di persone sarebbero state imprigionate in campi di detenzione non ufficiali. Ma il governo non ha mai fornito alcuna documentazione sulle persone detenute e sui reati di cui sono accusate. E non solo, la colpa ricade anche sui familiari, che Hrw riferisce che sono costretti a vivere in un campo di “riabilitazione ideologica e psicologica”.
Localizzato a 20 chilometri a est di Mosul, nel centro di Bartella sono recluse almeno 170 famiglie, composte per la maggior parte da donne e bambini. Gli ospiti vivono in condizioni molto difficili, con un’unica clinica medica e poco altro. E, soprattutto, senza la presenza di scuole o programmi di riabilitazione e istruzione. Infine, riferisce Human Rights Watch, una decina di donne e bambini sarebbe morta per disidratazione.
Insomma, il rispetto dei diritti umani della popolazione rappresenta un fattore fondamentale anche per evitare il ritorno di movimenti estremisti come lo Stato Islamico. «Se le autorità irachene e la coalizione guidata dagli Stati Uniti vogliono davvero eliminare l’Isis, non devono solo impegnarsi militarmente, ma porre fine all’impunità per coloro che compiono gli abusi», ha detto detto Belkis Wille a The Observer.