Noi, i Neri: Senegal e ritorno in 90 minuti
In un'ora e mezza il docufilm di Maurizio Fantoni Minnella racconta la migrazione uscendo dal sensazionalismo dell'emergenza. Un viaggio che ha inizio da Gorée, in Senegal, da dove salpavano gli schiavi verso le Americhe. E che in Senegal si conclude. Nel mezzo, un passaggio per Varese, Italia. Dove comincia un lento percorso d’integrazione
«Si può vivere in Africa? Si può, ma non è facile». Si parla così nel documentario di Maurizio Fantoni Minnella, “Noi, i Neri”: senza retorica e senza calcare la mano dove non serve. Questo film del 2017, proiettato di recente a Milano alla rassegna Africa. Racconta un mondo, racconta la migrazione con un’ottica che prova a uscire dal sensazionalismo dell’emergenza e dalla necessità di trovare a tutti i costi tutte le risposte. Perché, qualche volta, la risposta più sincera a una domanda è un’altra domanda ancora.
Per risalire alle ragioni primarie della migrazione, il regista varesino va non tanto nei luoghi degli sbarchi e nemmeno in quelli di detenzione, ma laddove si parte e nei posti in cui si crea il transito. Realizzando un docufilm dall’aspetto circolare, 90 minuti in tutto, Maurizio Fantoni Minnella va e torna in Senegal, sulla costa occidentale dell’Africa.
Un paese dove non c’è emergenza, né guerre dichiarate. Un paese che, però, con le partenze ha molto a che fare: dal Senegal infatti partivano le navi schiaviste per le Americhe; dal Senegal, ancora oggi, si parte per arrivare in Europa. Filo conduttore del film sono le storie di un aspirante scrittore, fuggito dalla regione della Casamance per motivi politici; e di un musicista congolese che sogna di diventare un artista.
Senegal-Varese-Senegal: un film in tre parti
La storia si divide in tre sezioni. Si inizia sull’isola di Gorée, un luogo simbolo: l’isola da cui partivano gli schiavi diretti nelle Americhe. Qui la macchina da presa del regista fruga le stanze delle carceri, comprese le celle destinate alle donne ai bambini.
Repentinamente (forse troppo?) si arriva in Italia, a Varese, dove i neri (senegalesi ma non solo) imparano la lingua e si confrontano con la cultura che si lasciano alle spalle così come con quella che andranno a incontrare. Entriamo nelle aule in cui si apprende l’italiano, dove i migranti sono invitati a parlare della propria terra di origine e a conoscere quella di approdo. Un percorso lentissimo, quello dell’integrazione, al quale lavorano decine di volontari.
La sezione del film dedicata a chi lavora con i migranti non ha la forza poetica della prima – malinconica – parte, ma è un racconto diretto ed efficace di queste professioni. I mediatori si confrontano con lingue, usi, abitudini e costumi differenti non solo da quelli occidentali, ma anche tra di loro. Sì, perché i migranti arrivano da zone diversissime tra loro, le cui caratteristiche qualche volta sono complicate da far convivere.
Nel terzo atto il film torna in Senegal. Il regista cammina per le strade senza asfalto e lungo le spiagge infinite di questo paese affacciato sull’oceano, incontrando vecchi e bambini, rottami e abitazioni, automobili e pescherecci. Qui le voci di chi non vede l’ora di partire si incontrano con quelle di coloro che in Africa ci sono tornati e desiderano restarci. Partenze e ritorni.
Noi, i Neri: l’Africa che cambia
Il docufilm di Fantoni Minnella, una produzione FreeZone realizzata con il patrocinio di Unesco, Amnesty International, fondazione Cariplo e consiglio regionale della Lombardia, è una finestra aperta su un mondo. Di cosa parliamo quando parliamo di Africa? Di un continente, di popoli diversi, diverse religioni, diversi paesaggi, diversi modi di vivere.
Maurizio Fantoni Minnella racconta un’Africa non in rivolta, ma in cambiamento, destinata a incontrare il Vecchio Continente non solo quando vi si scontra addosso. Se vogliamo trovare una soluzione al nostro problema non possiamo dire: «Sono in Europa, non è più un mio problema». Questa frase, una delle più importanti fra quelle pronunciate dai personaggi di “Noi, i Neri”, sembra perfetta non solo per gli africani, ma anche per gli europei.
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