Migranti: a Roma è “crisi umanitaria”
«Le istituzioni di Roma sembrano essersi dimenticate dei migranti più vulnerabili». Lo denuncia in una lettera a sindaca e prefetto l'associazione Medu. Che rivela: a Tiburtina si presentano 150 migranti al giorno in condizioni di «estrema precarietà». Per affrontare il problema, l’associazione Baobab experience chiede spazi alle Ferrovie
A Roma ai migranti non ci pensa nessuno. Soprattutto a quelli che avrebbero più bisogno di aiuto. A partire, giusto per dirne una, dall’assistenza sanitaria. O dal sostegno psicologico per i traumi riportati a causa delle torture in Libia. A sostenerlo è Medici per i diritti umani (Medu). Che denuncia anche una difficoltà nella comunicazione con l’amministrazione comunale.
Lo scorso 11 luglio, infatti, Medu aveva scritto alla sindaca della capitale, Virginia Raggi, e alla prefetta, Paola Basilone, segnalando la grave situazione in cui si trovano centinaia di migranti nella zona della stazione Tiburtina. «È urgente predisporre un presidio umanitario per i migranti più vulnerabili a Roma», si legge nella missiva. Una lettera alle istituzioni che non ha ancora avuto una risposta ufficiale, se non una prima richiesta di incontro da parte del Comune per inizio agosto arrivata proprio ieri.
«Se si eccettuano i ripetuti sgomberi messi in atto senza soluzioni alternative, anche quest’anno le istituzioni sembrano essersi dimenticate dei migranti più vulnerabili che giungono nella capitale. L’unico supporto arriva dai cittadini e da associazioni come Baobab Eperience, Medu e la Rete legale», dice l’organizzazione.
A Tiburtina 150 migranti al giorno in condizioni precarie
Medu conosce bene la situazione intorno alla stazione di Roma, visto che tre volte la settimana è presente con la sua clinica mobile in zona stazione Tiburtina-piazzale Spinelli/Chiaramonte. Ebbene, proprio in questa area «ogni giorno circa 150 migranti si trovano costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà».
Una situazione, peraltro, che pare essere peggiorata nel tempo. Scrive ancora l’associazione: «Negli ultimi mesi, in concomitanza con l’aumento degli sbarchi, si è assistito infatti ad un progressivo ma significativo aumento delle presenze. Nel solo mese di giugno i medici della clinica mobile hanno effettuato 180 visite a 107 pazienti, riscontrando in molti casi importanti vulnerabilità».
Secondo i dati raccolti nel corso delle attività dell’organizzazione, la popolazione presente è costituita soprattutto da migranti arrivati dall’Eritrea, che costituiscono ben il 60% del totale. Seguono quelli arrivati da Sudan e Sud Sudan, 30% in tutto, seguiti da somali, curdi iracheni, etiopi, siriani e, in generale, persone dell’Africa centrale e occidentale. Un dato piuttosto allarmante, inoltre, è che il 9% dei pazienti sono minori stranieri non accompagnati. Il 4% è costituito da donne.
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Lesioni, infezioni e traumi i problemi più diffusi
I migranti che si sono rivolti a Medu presentavano problematiche sanitarie legate sia alle condizioni di vita attuali, sia al viaggio fatto per raggiungere l’Italia. La gran parte di loro, infatti, ha dichiarato di essere stata sottoposta a tortura o ad altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti in Libia lungo le rotte migratorie e nei luoghi di detenzione. La maggior parte, dunque, si trova in condizioni psico-fisiche estremamente precarie.
E questa non è l’unica problematica riscontrata. Molti dei migranti visitati, infatti, presentavano lesioni e ustioni legate al viaggio in mare e, spesso, durante i naufragi. Inoltre, sono tanti quelli che si sono presentati con segni di percosse o colpiti da infezioni e malattie dermatologiche legate alle scarse condizioni igieniche.
«Il susseguirsi delle operazioni di sgombero della zona (6 negli ultimi 3 mesi), ha comportato un peggioramento delle condizioni di vita pur non evitando che il numero di persone presenti nell’insediamento aumentasse», sottolinea Medu.
Vivono per strada, ma hanno i documenti in regola
Tutte le persone incontrate dall’organizzazione sono state sottoposte alle procedure di identificazione al momento dello sbarco. Nessuno di loro, dunque, vive nell’anonimato. Le ragioni per cui sono finiti per strada, infatti, sono di tutt’altro genere: la difficoltà di accedere alla procedura di relocation per gli eritrei, la volontà di raggiungere altri paesi europei, in particolare la Francia, per i sudanesi.
Il 54% degli eritrei racconta di essere stato accolto alcune settimane o alcuni mesi in centri di accoglienza di vario genere in diverse parti d’Italia subito dopo lo sbarco, ma di non aver ricevuto alcuna informazione e alcun sostegno in merito al programma di accoglienza. Le persone, in maggioranza sudanesi, che tentano di attraversare il paese diretti in Francia, arrivano invece a Roma a pochi giorni dallo sbarco in condizioni di estrema vulnerabilità.
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Accoglienza migranti: a Roma serve presidio umanitario
«Riteniamo fondamentale che le istituzioni di Roma Capitale e la Cabina di regia recentemente istituita presso la prefettura si impegnino – per quanto possibile nell’ambito di una situazione determinata da fattori e politiche nazionali e internazionali – a trovare una soluzione adeguata a quella che possiamo definire una “crisi umanitaria permanente” nella nostra città che rende le persone coinvolte sempre più esposte a violenze e abusi ed esaspera e polarizza il dibattito politico e sociale sul tema della migrazione», si legge nella lettera.
In particolare, per Medu è «assolutamente necessario garantire immediata accoglienza alle persone che stanno seguendo, o cercano di avviare, la procedura di relocation, per il breve tempo necessario al trasferimento, come misura di urgenza in attesa che sia garantito l’accesso al programma da tutte le Questure del Paese, e che venga garantito alle persone in transito l’accesso all’informazione e ai diritti di base».
In estrema sintesi, dunque, la richiesta è quella di istituire un presidio umanitario che si occupi di prima accoglienza, assistenza socio-sanitaria e informazione/orientamento legale.
E Baobab experience scrive alle Ferrovie
Il 23 giugno anche l’associazione Baobab experience aveva cercato di muovere le acque dell’accoglienza capitolina. In questo caso, però, scrivendo una lettera-appello alle Ferrovie dello Stato. Anche in questo caso, la richiesta finale è sempre quella dell’istituzione di un presidio umanitario. Così come l’analisi della situazione è, ancora una volta, la denuncia di situazioni di degrado. Aggravate dai continui sgomberi.
«I venti sgomberi forzati che Baobab Experience ha subito nei suoi due anni di vita hanno prodotto ulteriori disagi e sofferenze sui migranti, e non hanno risolto alcuno dei problemi che oggi in tanti a loro attribuiscono. Dopo venti sgomberi, non è aumentata la sicurezza della nostra città. Non ne è aumentato il livello di pulizia e decoro. Non è diminuita la marginalizzazione e l’esclusione di chi arriva, né i rischi ad esse associati. E soprattutto, gli arrivi non si sono fermati, e non si fermeranno».
Alle Ferrovie, Boabab chiede di concedere l’utilizzo del parcheggio per bus abbandonato in via Giovanni Chiaromonte, dietro la Stazione Tiburtina. Un’area che volontari e migranti hanno ribattezzato “Piazzale Maslax” per ricordare il ragazzo somalo che si è tolto la vita dopo essere stato strappato alla sorella in Belgio per essere riportato in Italia.
«Saremo pronti ad attrezzare un presidio umanitario in pochissime ore grazie all’aiuto delle associazioni mediche e legali con cui condividiamo questo percorso da ormai due anni, con Ong internazionali e le cittadine e i cittadini che ci sono solidali: abbiamo già un progetto che saremmo contenti di presentarle in un incontro», conclude la lettera.