Rio de Janeiro: in favela scuole sotto tiro
Nelle scuole di Rio le lezioni vengono sospese sempre più spesso per sparatorie per le strade con armi e munizioni da guerra. Negli ultimi mesi 5 cinque giovanissimi sono stati uccisi da pallottole vaganti. Una situazione con un forte impatto psicologico sui ragazzi e che ha già visto il Brasile accusato per violazione di diritti umani
Troppe volte quest’anno migliaia di telefoni hanno squillato quasi contemporaneamente nelle case di tante famiglie povere di Rio de Janeiro con un annuncio terribile: «È in corso una sparatoria intorno alla scuola, i bambini non sono al sicuro, venite a prenderli. Le lezioni sono sospese». Un avvertimento pieno di angosce per i genitori, consapevoli che negli ultimi mesi già cinque giovanissimi sono stati vittime di pallottole vaganti e che rimanere troppo a lungo accovacciati sotto i banchi non mette i figli al riparo dalla violenza che impazza all’esterno. È una situazione ormai fuori controllo quella della megalopoli brasiliana, che mette a rischio sia lo sviluppo psicologico dei ragazzi, sia il loro diritto allo studio.
I dati diffusi dalla segreteria municipale all’Istruzione di Rio rivelano che dalla ripresa dell’anno scolastico dello scorso 2 febbraio al 12 luglio, ben 382 scuole delle 1.537 che compongono la rete municipale sono state chiuse o hanno dovuto interrompere le lezioni almeno per un giorno. Lasciando un totale di 129.504 alunni senza lezioni. Per 97 dei primi 105 giorni di scuola a Rio de Janeiro, infatti, sparatorie e violenza hanno portato alla chiusura o alla sospensione immediata delle lezioni in almeno una scuola.
Una politica violenta e inefficace
Sono le conseguenze di una politica di pubblica sicurezza violenta e inefficace contro la criminalità, peggiorata dalla crisi economica post-olimpica che si è abbattuta sulla città brasiliana. Gli scontri tra fazioni criminali che si contendono il traffico di droga e le azioni di guerra portate avanti dalla polizia più letale del mondo, soprattutto nelle favelas, causano quotidiane e serrate sparatorie in molte aree della metropoli.
L’utilizzo di armi e munizioni da guerra da parte di tutti gli attori in campo genera rischi anche per chi si trova all’interno delle strutture in muratura. Così, quando iniziano gli scontri che potrebbero durare per ore, le lezioni vengono sospese o si tengono chiuse le scuole.
La mappa della violenza nelle favelas di Rio de Janeiro
Le pallottole vaganti, dunque, quando non uccidono, negano il diritto allo studio a migliaia di bambini della rete municipale carioca. La regione più violenta della città secondo la mappa, è quella Acari, nella zona nord, intorno alla quale sorgono le favelas “Morro do Chapadão”, “Gogò de Ema” e “Morro da Pedreira”, tra le comunità più pericolose della città. Le favelas sono infatti controllate da fazioni criminali diverse e tra loro in lotta, che tentano di invadere e conquistare il territorio altrui reciprocamente da mesi.
In quest’area, dove tra l’altro opera il 41esimo battaglione della polizia militare di Rio, in assoluto il più letale del Paese, la violenza ha fatto saltare quasi un terzo delle lezioni: 29 giorni.
Nel Complexo da Marè, seconda favela in classifica, interruzioni ci sono state per 18 giorni, 15 nel Complexo do Alemão e 14 a Vila Kennedy e Cidade De Deus. E sono anche queste, secondo i dati del municipio, le aree dove maggiore è il grado di evasione scolastica. In tutto sono stati 821 alunni di 20 diverse scuole in aree di rischio ad abbandonare già gli studi.
Per l’Unicef c’è «forte impatto psicologico sui bambini»
Dopo la diffusione dei numeri da parte del municipio carioca, l’Unicef ha pubblicato una nota in cui si è detta preoccupata per l’impatto della violenza sullo sviluppo dei bambini a Rio de Janeiro. L’organizzazione ha anche citato studi che dimostrano quanto le ripetute interruzioni delle lezioni in ambienti violenti influenzino negativamente la capacità dei bambini di concentrarsi e di imparare senza paura.
«Dover cercare riparo e nascondiglio per difendersi dalle pallottole ha un forte impatto psicologico sui bambini: molti hanno manifestato sindromi da stress, come incubi e attacchi d’ansia».
Secondo gli esperti dell’agenzia Onu per l’infanzia «crescere in un ambiente con frequenti episodi di violenza armata può far sì che i bambini percepiscano la violenza come la normale procedura per la risoluzione dei conflitti».
Futuro compromesso per i ragazzi di Rio de Janeiro
I ragazzi meno fortunati di Rio de Janeiro sono a grande rischio di non essere in grado di sviluppare il loro potenziale, come dimostra lo studio della fondazione Getulio Vargas, riportato dal quotidiano Folha de S.Paulo: «Gli studi mostrano che la capacità di concentrazione dei bambini prima e dopo le sparatorie è completamente differente. Ci sono conseguenze reali per lo sviluppo delle abilità e per la capacità di apprendimento».
Il terapeuta sociale ed educatore Reinaldo Nascimento, presidente dell’associazione di Pedagogia di emergenza in Brasile, con esperienza nei territori di guerra come Gaza, Siria e Iraq, ha sottolineato quanto i bambini esposti alla violenza spesso possono sviluppare sintomi e comportamenti imprevisti o addirittura trasformarsi in casi clinici.
«La paura può causare shock e sindrome da panico. In alcuni casi i bambini manifestano sindromi post-traumatiche diventando troppo tranquilli o troppo attivi, aggressivi, irrequieti, oppure assumono atteggiamenti da neonati, come succhiare il pollice e aver paura di dormire da soli».
I professori seguono corsi per “aree di crisi”
La situazione è tanto critica che il Comitato internazionale della Croce Rossa a Rio ha offerto un corso di formazione gratuito di “insegnamento in aree di crisi” per i professori delle scuole carioca, al quale finora hanno partecipato 41 insegnanti. L’idea è che questi poi agiscano come moltiplicatori, mettendo a disposizione le conoscenze acquisite ad altri insegnanti e al personale scolastico.
Il corso è adatto a chi opera in contesti di violenza urbana e ha formato gli insegnanti per ridurre la vulnerabilità in ambienti di conflitto e di violenza armata. I professori sono stati invitati a creare una metodologia di lavoro nelle scuole e persino simulare le azioni necessarie nei casi di violenza, in particolare l’evacuazione.
Bambini uccisi da pallottole vaganti
Solo quest’anno sono stati già cinque i bambini uccisi da pallottole vaganti. Ventidue dal 2015 ad oggi. Numeri che hanno spinto il segretario all’Istruzione del municipio, Cesar Benjamin, a criticare le operazioni della polizia additandole come «disastrose, sgargianti e inutili».
Oltre alla violenza dei narcotrafficanti e alla diffusione di armi da fuoco, tra le cause della violenza ci sono infatti il razzismo e le politiche di sicurezza pubblica votate alla guerra al narcotraffico. In Brasile, e a Rio in particolare, la sicurezza pubblica non è vista come garanzia e tutela di diritti umani, ma solo come attività repressiva, portata avanti da una polizia militarizzata, che opera con modalità di guerra soprattutto nelle favelas, viste come luoghi di eccezione del diritto, dove si combatte contro un nemico rappresentato dall’intero territorio e dalla popolazione che lo abita, non contro il crimine organizzato che lo infesta.
Violenza in Brasile: più morti che nella guerra in Siria
In Brasile è urgente una risposta in termini di sicurezza e tutela della vita. Tra il 2011 e il 2015 il paese ha registrato più morti violente che la Siria in guerra. Secondo l’annuario del forum brasiliano di pubblica sicurezza, infatti, in Brasile ci sono stati 278.839 morti. Nello stesso periodo in Siria, secondo l’Osservatorio dei Diritti Umani si sono registrate 256.124 morti. E a pagare un prezzo altissimo sono proprio gli adolescenti.
L’ultimo dato ufficiale è risale al 2012: in quell’anno sono stati ammazzati 30 mila ragazzi tra i 15 e i 29 anni, il 77% neri. E nel corso degli anni il trend, secondo le stime, non è cambiato. Secondo una Commissione parlamentare d’inchiesta del Senato, il numero di assassinii di giovani nel 2016 è stato di 23.100. Circa 63 al giorno, uno ogni 23 minuti.
Soluzioni credibili, però, non sembrano essere all’orizzonte. Dopo la sparatoria dello scorso aprile costata la morte alla tredicenne Maria Eduarda Alves da Conceição, uccisa dalla polizia mentre si trovava a scuola, il sindaco Marcelo Crivella, ha proposto solo di costruire alti muri intorno alle scuole per proteggere i bambini.
Da anni le autorità federali e quelle statali di Rio vengono richiamate dalle agenzie per la tutela dei diritti umani delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione degli stati americani, oltre che da numerose ong, e invitate a trovare soluzioni concrete. Eppure finora non è stato raggiunto alcun risultato. E i 21 miliardi di buco nel bilancio dello Stato non faranno altro che portare altri tagli a sicurezza, sanità e istruzione.