Carcere: un suicidio a settimana

Da inizio 2017 si sono suicidate dietro le sbarre 27 persone, una a settimana. Troppi morti. Tanto che il Garante dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, ha preso una decisione senza precedenti: dichiararsi parte offesa nelle indagini. «La situazione merita approfondimenti per perfezionare il sistema di prevenzione del ministero della Giustizia»

In media una morte a settimana, con 27 persone che dall’inizio dell’anno si sono tolte la vita dietro le sbarre. Un dato preoccupante e in crescita che ha spinto il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, ad avviare un’azione che non ha precedenti: intervenire come parte offesa nelle indagini relative a tutti i casi di suicidio, a cominciare dall’anno in corso.

«Pur considerando la difficoltà di ricondurre eventi del genere a un’unica matrice e di fermarli completamente – spiega Mauro Palma – ritengo che la situazione meriti tutti gli approfondimenti necessari per perfezionare il sistema di prevenzione elaborato dal ministero della Giustizia con la Direttiva del 3 maggio 2016. Per questo, come titolare della tutela dei diritti delle persone detenute e, di conseguenza, di persona danneggiata dalle violazioni dei diritti protetti, interverrò come parte offesa nelle indagini relative a tutti i casi di suicidio, a cominciare dall’anno in corso, per fornire il mio eventuale contributo di conoscenza e per seguire gli accertamenti che saranno condotti. Nei prossimi giorni invierò le relative richieste di informazioni sullo stato dei procedimenti alle diverse procure della Repubblica competenti per i vari casi».

Questo provvedimento non ha precedenti. Come pensa di contribuire alle indagini?

Sì, non ha precedenti anche se nei casi di denuncia di maltrattamento alcune procure hanno già considerato il Garante nazionale come parte offesa. Questo porta, per esempio, a informare l’ufficio della chiusura degli atti, dando, quindi, la possibilità di presentare opposizione o meno. Sia chiaro: ho piena fiducia in tutte le procure che indagano sui suicidi e non ho alcuna velleità di mettere in dubbio le varie ricostruzioni. I suicidi sono situazioni molto spesso imperscrutabili. Ma c’è un problema

Qual è il problema di cui parla?

Quello di aver avuto solo quest’anno 27 suicidi in carcere e uno in una Rems (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, ndr). E sono numeri che fanno pensare. Tanto più che lo scorso anno il ministro stesso aveva emanato una direttiva sulla prevenzione ponendo l’attenzione su molti elementi: per esempio sui trasferimenti “passivi”, cioè non richiesti dalla persona, sull’accoglienza o sul momento del rilascio. Chi ha il compito, come il Garante nazionale, di tutelare i diritti, ha anche il compito e il dovere di guardare come sono avvenute le cose e aiutare le procure. Anche per contribuire a togliere un po’ i sospetti che vengono rimbalzati, come leggo spesso sui social. Insomma, una figura di garanzia che tiene sott’occhio la questione secondo me è di aiuto ed è un segnale della gravità del problema.

I numeri del sovraffollamento tornano a salire: questo incide sull’andamento dei suicidi?

Non credo ci sia una relazione diretta. In generale tutte le interpretazioni, parlo anche per i fatti che avvengono fuori dal carcere, rispetto a questo gesto estremo sono sempre, tra virgolette, illazioni, perché possono esserci tanti i fattori. È chiaro che le situazioni sovraffollate e sotto organico rendono difficile un rapporto di prossimità più continuo. Né si può scaricare la responsabilità su chi in carcere lavora: penso alla polizia penitenziaria che già fa molto, anche calcolando quanti sono i tentati suicidi e quante le persone salvate.

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Cosa si può fare per affrontare la situazione?

È tutto il sistema che deve mandare segnali di maggiore attenzione. E mi auguro che le commissioni (nominate dal ministro per la riforma dell’Ordinamento penitenziario, ndr) riescano a fare anche questo lavoro, che non è solo tecnico, ma anche di comunicazione. Ho visto in carcere una certa delusione rispetto alle speranze nate lo scorso anno con gli Stati generali. Noi, dall’esterno, capiamo che ci sono i tempi della politica, ma dentro c’è una sensazione di abbandono. Mi auguro, proprio sul piano della comunicazione, che si inverta questa sensazione. E mi sembra un buon segno che siano state nominate le commissioni e un gran bel segno di continuità che le coordini Glauco Giostra.

Oltre alla comunicazione, su quali punti si può lavorare?

Io distinguo tre piani e questo è quello della cultura, della costruzione di una fiducia che aiuta a diminuire il rischio della depressione e del suicidio. Poi c’è il piano organizzativo, con le risorse e una gestione quotidiana sufficiente perché le strutture riescano a dare attenzioni ai soggetti. Infine il terzo piano, quello delle procure, in primo luogo, ma anche del garante, attraverso il quale capire perché certi fatti avvengono. Perché solo comprendendo le ragioni di un fatto si può diminuire il rischio che avvenga di nuovo.

Trattamento, misure alternative, affettività: nello studio delle commissioni e nella ricerca che arriva dagli Stati generali ci sono le indicazioni per rendere la detenzione meno afflittiva. Seguendo queste proposte si potrebbe rendere migliore la qualità della vita interna?

Sicuramente sì, se riusciamo a tradurle in norme immediatamente applicabili, e sono convinto che le commissioni ci riusciranno. Perché un conto è l’indicazione culturale e un conto sono le norme. Un esempio: discutiamo di affettività e diamo le indicazioni in merito, ma se poi non è scritto da nessuna parte che dev’esserci un ambiente idoneo e un impegno da parte dell’amministrazione a realizzarlo, rischiamo di tornare al punto di partenza. Non mi vorrei trovare nella situazione in cui, dopo tutto il discorso, passa la norma ma non ci sono gli spazi né il personale per applicarla. Non dimentichiamo che abbiamo un buon regolamento di esecuzione, datato 2000, siamo nel 2017 e ancora non siamo riusciti a portare gli istituti a essere come indicato nel testo. Le norme saranno ben scritte non solo se saranno coerenti, ma anche se saranno ben applicabili.

(Fonte: Teresa Valiani per Redattore Sociale)

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