Usa-Cina, scontro sui diritti umani
Gli Usa inseriscono la Cina tra i paesi più arretrati nella lotta alla tratta di esseri umani. Un atto dal forte significato politico visto che l’anno scorso John Kerry, segretario di Stato dell'amministrazione Obama, aveva “salvato” Pechino dall'inferno del “Livello 3”. È uno dei dati che emergono dal Rapporto sulla Tratta degli esseri umani 2017
Gli Stati Uniti inseriscono la Cina nella lista dei paesi più arretrati nella lotta alla tratta di esseri umani. Un atto dal forte significato politico visto che lo scorso anno John Kerry, segretario di Stato dell’amministrazione Obama, aveva “salvato” Pechino dall’inferno del “Livello 3”: l’amministrazione statunitense può infatti comminare sanzioni economiche a chi si ritrova in questa lista. Per Washington è possibile bloccare gli aiuti umanitari e chiedere la sospensione di quelli economici garantiti da Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. I funzionari dei Paesi al terzo livello possono anche essere cacciati da programmi di scambio culturale e di aggiornamento organizzati dagli Stati Uniti (qui sotto la mappa dei paesi che hanno perso posizioni nell’ultimo anno).
Le regole del Rapporto sulla Tratta degli esseri umani
La Cina, secondo le regole del Rapporto sulla Tratta degli esseri umani 2017 (TIP Report), di cui è appena stata pubblicata l’edizione annuale, già lo scorso anno avrebbe dovuto rientrare in questa categoria. Infatti, Pechino si ritrova già da due anni nella “watchlist” dei paesi di secondo livello. Sono gli stati sotto la lente di ingrandimento dei funzionari americani, che devono adeguarsi agli standard minimi previsti dalle Nazioni Unite per la lotta alla tratta, ma ai quali ancora viene concesso un tempo di adeguamento.
Dopo due anni, scatta automatica la “retrocessione”, a meno che il Segretario di Stato non utilizzi il proprio diritto di veto per bloccare la retrocessione e concedere un’altra opportunità al Paese. John Kerry l’aveva fatto, il segretario di Stato di Donald Trump, Rex Tillerson, no.
Insieme a quest’ultimo, alla cerimonia di lancio del rapporto, il primo luglio, era presente anche la figlia Ivanka Trump (qui sotto il tweet inviato per l’occasione), sempre più first lady dell’amministrazione Trump. Ambasciatrice americana per la lotta alla tratta internazionale è invece Susan Coppedge, nominata in epoca Obama, ormai sempre più in minoranza.
Today I joined Secretary Tillerson & policy leaders at the State Department in the global fight against human trafficking. #EndTrafficking pic.twitter.com/Ho8JNotG1a
— Ivanka Trump (@IvankaTrump) 27 giugno 2017
Le definizioni: tratta e traffico di esseri umani
Il rapporto, come ogni anno, dedica una sezione per distinguere la tratta di esseri umani dal traffico di migranti. Nel primo caso si tratta di persone che finiscono nelle reti di organizzazioni criminali, quando pensavano invece di ottenere un’occupazione o la possibilità di viaggiare. Sono gli schiavi moderni. Il caso più evidente, per l’Italia, è quello delle donne provenienti dalla Nigeria o dall’Europa Orientale a cui viene promesso un lavoro e poi, al contrario, vengono costrette a prostituirsi.
I migranti vittime di organizzazioni criminali, invece, si mettono volontariamente nelle mani dei trafficanti. Una differente consapevolezza delle vittime che rende più pesante il reato per chi tratta in esseri umani.
I numeri della tratta globale
Secondo le fonti di polizia raccolte dal Dipartimento americano, che provengono soprattutto dai paesi che rispettano in pieno gli standard mondiali di lotta alla tratta, nel mondo sono oltre 66.500 le vittime di tratta, circa 12 mila meno dell’anno precedente.
Le indagini in corso sulle vittime di tratta sono quasi 15 mila (4 mila in meno del 2015) e le condanne oltre 9 mila (6.600 l’anno precedente). Tra le vittime, 18.200 vengono dall’Africa, 11.400 Europa e da ultimo quasi 10 mila in Asia e Sudest asiatico.
Qui sotto la tabella con i dati suddivisi per anni e ripartiti per procedimenti, condanne, vittime identificate e legislazioni nuove o emendate.
La Cina e gli altri paesi del terzo livello
Nel terzo livello, insieme alla Cina, compaiono paesi come Siria, Iran, Russia, Venezuela e Corea del Nord (qui sotto la lista completa). Un elenco di Paesi “nemici” (Iran, Venezuela e Corea del Nord) o con i quali i rapporti diplomatici sono molto complessi (Cina, Russia e Siria).
La Cina viene definita nel rapporto «paese di origine, destinazione e transito» della tratta di lavoratori forzati (in particolare in miniere di carbone e piccole fabbriche) e schiave del sesso. Il rapporto si concentra sul caso dei minori che vivono nelle aree rurali del paese, i più esposti al rischio di finire adescati dalle reti criminali.
«La Cina è stata retrocessa a livello tre nel rapporto di quest’anno in parte perché non ha fatto seri passi in avanti per finire la sua complicità di Stato alla tratta di esseri umani», ha detto il segretario di Stato Rex Tillerson ai media americani.
Tra le vittime più numerose, ci sono i lavoratori che entrano illegalmente nel paese dalla Corea del Nord, uno dei paesi incluso nella lista di chi non ha ancora adottato la Convenzione Onu per il contrasto alla tratta di esseri umani. Tra i paesi inclusi, anche il Giappone.
La “Scorecard diplomacy”
Perché il più importante organismo dell’establishment americana si mette a dare i voti ai paesi sul loro atteggiamento nella lotta alla tratta di esseri umani? La professoressa Judith Kelley definisce questo tipo di attività “scorecard diplomacy”, “diplomazia dei cartellini con il voto”. Secondo Kelley, queste valutazioni sono un modo per creare pressioni sui paesi che vengono inseriti nella lista nera.
Accanto a un significato più “tecnico” dei livelli, quindi, ce ne sarebbe uno più politico. Per Kelley questo soft power è uno degli strumenti attraverso cui portare cambiamenti nelle amministrazioni internazionali. E questo spiega, da punto di vista dell’accademica statunitense, perché ci sono numerosi casi di paesi che pubblicamente criticano il rapporto, ma in privato continuano a collaborare con gli americani, scrive sul Washington Post.
Le critiche delle ong
Ma a mettere in discussione la validità del rapporto non sono solo i paesi criticati dall’amministrazione a stelle e strisce. La statunitense Atest (Alliance to End Slavery and Trafficking), un network di 13 ong che si battono contro la tratta, mette in discussione l’affidabilità del rapporto del Dipartimento di Stato. In un comunicato del 28 giugno Atest afferma i propri dubbi per il terzo anno consecutivo.
Le ong antitratta non ritengono infatti corretta la promozione di alcuni dei 27 paesi che hanno migliorato il loro livello nel rapporto Tip (vedi mappa qui sotto). Alla sbarra sono Qatar, Afghanistan, Iraq e Malesia. Quest’ultimo, in particolare, è il paese in cui a detta di Atest le condizioni di sfruttamento lavorativo sono più evidenti. Il gruppo etnico più a rischio tratta è quello dei Rohingya, musulmani discriminati in Birmania che spesso cercano di fuggire con i barconi in Australia, paese che ha chiuso le frontiere e aperto centri di detenzione per migranti.
Gli stessi Rohingya sono discriminati anche in Malesia e Thailandia, dove emigrano alla ricerca di condizioni di vita migliori e un impiego. Discorso simile per il Qatar, dove il governo secondo Atest non ha fatto passi in avanti a tutela degli immigrati in cerca di lavoro.