Centrafrica: tre anni di atrocità

Tra donne, bambini e uomini, nella Repubblica Centrafricana sono stati uccisi 560 civili tra fine 2014 e aprile 2017. Nello stesso periodo sono state distrutte 4.200 case e commessi crimini di guerra e crimini contro l'umanità di qualunque tipo. Lo rivela un nuovo report di Human Rights Watch

Un resoconto globale dei crimini di guerra commessi in tre province centrali della Repubblica Centrafricana tra la fine del 2014 e l’aprile 2017, tra i quali l’uccisione di più di 560 civili e la distruzione di oltre 4.200 abitazioni. È su questi efferati delitti che si concentra un rapporto di 92 pagine, più allegati, dal titolo “Uccidere senza conseguenze: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e la Corte penale speciale per la Repubblica Centrafricana“, pubblicato nei giorni scorsi da Human Rights Watch (Hrw).

Lo studio giunge a breve distanza da un altro report curato dalla Minusca, la Missione di peacekeeping delle Nazioni Unite dispiegata nel paese dal settembre 2014, che su mandato del Consiglio di sicurezza ha indagato sulle violazioni del diritto umanitario e gli abusi dei diritti umani commessi nella Repubblica Centrafricana, coprendo però solo i crimini commessi fino al 2015.

L’indagine di Hrw si estende invece fino alla fine dell’aprile scorso e si basa su centinaia di interviste con vittime e testimoni, soprattutto nella province di Nana-Grébizi, Ouaka, Ouahm e Haute Kotto, fornendo una descrizione dettagliata dei diffusi abusi compiuti nei confronti di civili in queste zone del paese.

Fazioni in lotta: civili uccisi e villaggi rasi al suolo

Secondo le testimonianze raccolte, le tattiche di combattimento più usate da parte degli ex ribelli musulmani della coalizione Seleka e delle milizie cristiano-animiste “anti-Balaka” (“anti-machete” in lingua mandja) sono l’uccisione dei civili e la totale distruzione di interi villaggi. In tutto il paese, i gruppi armati hanno costretto decine di migliaia di persone a lasciare le loro case e rifugiarsi nella boscaglia, dove sono morti a centinaia per assideramento, disidratazione, fame e malattia.

Le persone con disabilità sono quelle che hanno patito di più le violenze perché spesso non sono riuscite a fuggire in tempo per sottrarsi agli assalti delle bande armate. Inoltre, sono le più penalizzate nei campi profughi a causa delle difficoltà per accedere ai servizi igienico-sanitari, cibo e cure mediche.

Il rapporto cita alcuni casi di violenza in particolare, tra i quali l’attacco alla città di Yassine, nella provincia di Ouaka, dove il 20 marzo scorso sono stati uccisi almeno 18 civili dai membri dell’Unione per la pace nella Repubblica centrafricana (Union pour la paix en Centrafrique – Upc), un gruppo appartenente all’ex coalizione ribelle Seleka costituito principalmente da appartenenti all’etnia peul.

Nella relazione è riportato il racconto di un uomo che ha descritto come alcuni membri dell’Upc abbiano massacrato a colpi di fucile la moglie e i quattro figli di 13, 10, 3 anni e un bimbo di soli 7 mesi, che vivevano a Yassine.

Lo studio riassume anche gli abusi commessi dall’altra fazione protagonista delle violenze nelle province prese in esame: il Fronte popolare per la rinascita del Centrafrica (Front populaire pour la renaissance de la Centrafrique – Fprc), capeggiato dagli ex comandanti della Seleka, Michel Djotodia e Noureddine Adam.

L’analisi non risparmia critiche all’operato della Minusca, giudicandolo poco efficace nella protezione dei civili ed evidenziando come negli ultimi mesi la missione Onu sia stata oggetto di ripetuti attacchi da parte dei ribelli, nel corso dei quali, lo scorso maggio, hanno perso la vita sei caschi blu.

Un fragilissimo accordo di pace

Il 19 giugno è stato siglato un accordo di pace tra il governo e 13 dei 14 gruppi armati attivi nel paese. L’intesa raggiunta include il cessate il fuoco e la rappresentanza politica per i gruppi armati. Tuttavia il trattato è stato violato il giorno dopo la firma, quando sono scoppiati aspri scontri nella città mineraria di Bria tra i combattenti anti-Balaka e quelli del Fprc, che hanno provocato circa cento morti.

I crimini documentati da Human Rights Watch rientrano nella giurisdizione della Corte penale internazionale, che ha aperto due indagini nel paese. Ma la Cpi ha solo la possibilità di perseguire gli autori dei crimini più gravi e decine di comandanti delle milizie armate penalmente responsabili di altre atrocità, alcuni dei quali sono citati per nome nel report, non affronteranno mai la giustizia internazionale.

La nuova Corte penale speciale

Per colmare questa lacuna giuridica, nel giugno 2015 il governo ha istituito la Corte penale speciale (Special Criminal Court – Ssc), un tribunale ibrido integrato nel sistema giudiziario nazionale, creato per indagare sui crimini commessi in Centrafrica dai diversi gruppi armati dal 2003 ai giorni nostri.

Il report quindi sottolinea che l’organo giuridico, insediatosi ufficialmente lo scorso 25 maggio a Bangui, è in procinto di diventare operativo sotto la guida del procuratore capo, il congolese Toussaint Muntazini Mukimapa, per perseguire gli autori di migliaia di atroci crimini, rimasti a lungo impuniti.

Hrw ripone fiducia e speranze nella Scc, evidenziando che per esercitare con efficacia il suo mandato avrà bisogno dell’appoggio del governo del presidente Faustin-Archange Touadera, nonché del tangibile sostegno politico e finanziario delle Nazioni Unite e dei singoli governi.

In questo modo, il tribunale speciale potrà garantire la tutela dei testimoni e la sicurezza dei suoi giudici, perseguendo migliaia di crimini impuniti e creando un modello che potrebbe essere adottato per servire la giustizia anche in altri paesi.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.