Bahrain, attivista perseguitata dal regime
Ebtisam al-Saegh, una delle più note attiviste per i diritti umani del Bahrain, è stata arrestata e nessuno sa dove si trovi. È la seconda volta che viene incarcerata dal regime e ora si teme che possa essere molestata sessualmente e torturata. Come era già avvenuto lo scorso maggio
Lorena Cotza è responsabile comunicazione della rete In Difesa Di e assistente campagne e comunicazione dell’ong Front Line Defenders. Con questo articolo comincia una collaborazione tra Osservatorio Diritti e la rete In Difesa Di, una coalizione di oltre 30 ong e movimenti italiani che si dedica al supporto e alla protezione dei difensori e delle difensore dei diritti umani
Il 3 luglio, poco prima di mezzanotte, la casa di Ebtisam è stata presa d’assalto. Venticinque agenti di sicurezza hanno circondato l’edificio. Poi alcuni uomini, senza divisa ma armati, hanno fatto irruzione e hanno messo a soqquadro ogni stanza. Senza presentare alcun mandato, hanno arrestato Ebtisam e l’hanno portata via. Quando la donna ha chiesto loro la ragione dell’arresto, gli agenti hanno solo detto: «Non c’è bisogno che tu parli, lo scoprirai quando sarai in prigione».
Ebtisam al-Saegh è una delle più note attiviste del Bahrain. Nonostante le minacce subite e i precedenti arresti, Ebtisam ha sempre rifiutato di cedere alle pressioni del governo e oggi la sua è una delle poche voci libere del paese. L’attivista lavora per l’organizzazione non-governativa Salam for Democracy and Human Rights (Salam Dhr) e si occupa di documentare e denunciare le violazioni dei diritti umani in Bahrain e in particolar modo gli abusi e le torture commessi nelle carceri.
Imprigionata in un luogo segreto
Ebtisam è imprigionata da quasi una settimana, ma alla famiglia non è ancora stato detto in quale carcere si trovi. Inoltre il 6 luglio alcuni agenti con il viso coperto hanno fatto una seconda irruzione a casa dell’attivista e hanno portato via tutti i cellulari. Alcune ore prima, la famiglia aveva presentato una contestazione ufficiale all’Istituto nazionale dei diritti umani.
Alcune detenute dicono di aver intravisto Ebtisam nella prigione di Isa Town e di aver notato delle ferite, ma le guardie hanno rifiutato di prendere i vestiti e alcuni oggetti personali portati dal marito, dicendo che la donna non si trovava lì. In un messaggio inviato alla famiglia con l’aiuto di un detenuto, Ebtisam ha scritto: «Dite a tutti che la mia situazione è estremamente grave. Mi hanno punito intensamente».
Torturata e molestata sessualmente
Questa non è la prima volta che Ebtisam viene arrestata. Lo scorso maggio l’attivista era stata convocata dall’Agenzia nazionale di sicurezza a Muharraq, nel nord dell’isola. Dopo averla bendata, gli agenti che la interrogavano l’hanno molestata sessualmente, insultata e picchiata.
Per ore e ore le hanno dato calci in faccia e nello stomaco. Le hanno chiesto informazioni su altri attivisti e attiviste con cui lavora. E l’hanno minacciata: le hanno detto che se non avesse interrotto il suo lavoro in difesa dei diritti umani l’avrebbero stuprata. Quando hanno visto che non cedeva, hanno minacciato di colpire su marito e i suoi figli.
In un’intervista con Bird (Bahrain Institute for Rights and Democracy), Ebtisam ha raccontato:
«C’era più di un uomo e hanno usato le loro mani. Potevo sentire il suono e il calore di un accendino vicino a me. C’era un agente che ha fumato per tutto il tempo dell’interrogatorio e continuava a usare di continuo l’accendino e io pensavo: “Mi brucerà?”. Era molto vicino a me. Potevo anche sentire il suono di un apparecchio che dava scosse elettriche. Non lo hanno usato, ma lo sentivo».
Quando Ebtisam ha provato a chiedere alle guardie di smettere di toccarla, le hanno risposto: «Non sono violazioni, questo è un interrogatorio. E in un interrogatorio facciamo quello che vogliamo».
Dopo diverse ore di tortura fisica e psicologica, Ebtisam è stata liberata e immediatamente portata in ospedale. A causa della violenza subita, riusciva a malapena a camminare.
Il regime attacca i difensori dei diritti
A qualche giorno dal suo rilascio, in una telefonata con l’ong irlandese Front Line Defenders, Ebtisam aveva detto:
«Non mi sono ancora ripresa dallo shock. E ho paura che possa succedere di nuovo, su Twitter ricevo di continuo minacce, leggo messaggi di persone che chiedono alla polizia di torturarmi di nuovo. In Bahrain non c’è alcuna protezione per i difensori e le difensore dei diritti umani. Quando sono stata arrestata, ho temuto di essere uccisa. E ho pensato a tutte le vittime di questi anni, alle persone torturate con i metodi peggiori, in edifici isolati, edifici da cui non poteva arrivare il suono delle loro grida».
Ebtisam sapeva di essere un obiettivo del regime e sapeva che prima o poi sarebbero tornati a cercarla. Eppure, con coraggio, su Twitter aveva continuato a denunciare gli abusi del governo e delle forze di sicurezza e aveva parlato pubblicamente delle torture subite.
Andrew Anderson, direttore dell’ong Front Line Defenders, ha detto: «Siamo incredibilmente preoccupati per la sicurezza di Ebtisam e per il rischio di ulteriori torture, perché coloro che l’hanno torturata e molestata sessualmente a maggio restano in libertà. La crudele persecuzione di Ebtisam da parte del governo del Bahrain rivela ancora una volta la paura del regime nei confronti dei pochi difensori dei diritti umani che vivono nel paese, dopo oltre 6 anni di arresti, torture ed esili forzati di coloro che chiedono dei cambiamenti. Ebtisam deve essere immediatamente liberata».
Bahrain, ancora alleato dell’Occidente
In seguito alla rivoluzione del 2011, la situazione dei diritti umani in Bahrain è peggiorata drammaticamente. Centinaia di difensori e difensore dei diritti umani sono stati minacciati, arrestati, torturati o costretti all’esilio. Molti, per salvarsi, hanno dovuto interrompere le proprie attività pubbliche.
Ma è mancata una condanna seria da parte della comunità internazionale: nonostante le evidenti violazioni dei diritti umani, il Bahrain continua a essere un cruciale alleato politico e commerciale per le grandi potenze occidentali.
Nel 2011 gli Stati Uniti avevano temporaneamente interrotto la vendita di armi. Nel 2015 però l’embargo è stato completamente sollevato, nonostante centinaia di attivisti per i diritti umani e oppositori politici siano dietro le sbarre e continuino a subire torture di ogni tipo.
Storia di Abdulhadi: condannato, torturato, violentato
Tra i numerosi difensori dei diritti umani in carcere c’è anche Abdulhadi Al-Khawaja, arrestato il 9 aprile 2011 nella brutale campagna di repressione delle proteste pro-democrazia. Abdulhadi è uno dei difensori più noti del Bahrain, che da sempre si è battuto per la resistenza non-violenta e la difesa dei diritti di tutti. È il fondatore del Gulf Center for Human Rights (Gchr), ex-presidente del Bahrain Centre for Human Rights (Bchr) ed ex-coordinatore del programma di protezione del Medio Oriente e Nord Africa per Front Line Defenders.
Sei anni fa, Abdulhadi è stato condannato all’ergastolo. In prigione, è stato torturato, violentato, e gli sono state negate le necessarie cure mediche. Anche la famiglia di Abdulhadi, e in particolar modo le sue due figlie attiviste Mariam e Zainab, sono state prese di mira. L’anno scorso, Zainab era stata imprigionata per tre mesi, insieme al figlio di un anno, per aver strappato due volte la foto del re del Bahrain.
La lotta continua
Nonostante la brutale repressione del regime, i difensori e le difensore dei diritti umani ogni giorno continuano la loro pacifica, rivoluzionaria battaglia con quotidiani atti di ribellione. Gli attivisti detenuti organizzano corsi di educazione sui diritti umani in carcere o aiutano i loro colleghi a documentare le violazioni nelle prigioni.
Quelli in esilio continuano a denunciare ciò che succede nel regno del Bahrain e cercano di non far spegnere i riflettori sui crimini del governo. Altri hanno scelto la via dell’anonimato, ma continuano a pubblicare tweet di denuncia e scrivere report sui continui abusi. E i colleghi di Ebtisam, che conoscono bene il suo coraggio e la sua determinazione, sanno che appena sarà liberata l’attivista tornerà tra le file di quelli che resistono, di quelli che non si piegano nemmeno sotto le torture e le minacce.