Lotta alla tratta: ecco dove sbagliamo
Corte dei conti: in Asia l'Ue ha priorità sbagliate, obiettivi troppo alti e difficoltà nel tempo
Priorità sbagliate, obiettivi troppo ambiziosi, difficoltà a durare nel tempo. Sono i principali errori compiuti dall’Unione europea nel corso di sette anni (2009-2015) di lotta alla tratta di esseri umani in Asia meridionale e sudorientale. Sette anni in cui Bruxelles ha speso in progetti di cooperazione internazionale in quella regione oltre 31 milioni di euro. Lo scrive nella relazione speciale n. 9/2017 pubblicata a fine giugno, “Il sostegno dell’UE alla lotta contro la tratta di esseri umani in Asia meridionale/sudorientale” , la Corte dei conti europea, organismo incaricato di verificare come l’Ue ha utilizzato i soldi dei contribuenti per combattere la tratta di uomini e donne nel continente asiatico.
In particolare, la principale lacuna strategica a livello europeo è quella di non aver previsto alcun partenariato tra l’Ue e i paesi d’origine delle vittime di tratta. Il rischio, quindi, è che l’Europa costruisca una sua agenda per il contrasto a questo crimine senza che ci sia un percorso condiviso con gli Stati di provenienza delle vittime.
Il rapporto cita anche lo studio del Dipartimento di Stato americano sulla tratta a livello globale. Seppur il report statunitense registri complessivamente un miglioramento negli sforzi dei governi dell’area, gli standard mondiali sono rispettati in pieno solo in Pakistan e nelle Filippine (vedi la tabella qui sotto). In Birmania non c’è alcuno sforzo del governo per fermare la tratta, mentre in Thailandia la situazione sta peggiorando. A questo si aggiunge il fatto che i soldi provenienti dalle potenze mondiali non sembrano incidere sulle priorità dei singoli paesi. Invertire la rotta sembra quindi un’impresa particolarmente ardua.
«Circa due terzi dei progetti inclusi nel campione – scrivono i revisori della Corte dei Conti – presentavano debolezze di formulazione degli obiettivi e/o degli indicatori ed alcune debolezze di progettazione non erano state risolte in tempo utile, in particolare prima della firma della convenzione di sovvenzione».
Gli esempi di Filippine, Bangladesh e India
Nello specifico, il rapporto si concentra su alcuni casi particolari. Il primo, denominato progetto Filippine 1, doveva combattere la violenza domestica nelle aree urbane povere dell’arcipelago. Quali sono stati gli effetti? La Corte dei conti non li ha potuti misurare. Gli obiettivi erano troppo vaghi. «Contribuire a un ambiente di governance incentrato sui diritti umani […]» e «accrescere la capacità delle donne di rivendicare i diritti» sono, dice il rapporto, «obiettivi non sufficientemente specifici o misurabili».
Un altro progetto, Bangladesh 5, doveva permettere ai lavoratori delle piantagioni di tè di promuovere i loro diritti. I suoi obiettivi, però, sembravano provenire da un volantino sindacale più che da un progetto di cooperazione internazionale. «Includeva indicatori quali “azioni di diverso tipo portano i lavoratori del tè faccia a faccia con i deputati al Parlamento”, “la voce dei lavoratori del tè diventa più forte” e “i beneficiari finali compiono scelte informate nel selezionare i candidati alle elezioni nazionali”». Per i revisori si tratta di indicatori «non abbastanza credibili, facili da utilizzare o solidi».
Un altro progetto, India 1, aveva obiettivi calcolati su indicatori sbagliati. L’obiettivo era la “diminuzione del costo medio dell’emigrazione per il lavoratore“. «Tuttavia – si legge nel rapporto – al momento della proposta il costo medio dell’emigrazione ha potuto essere stimato soltanto a grandi linee partendo da uno studio del 2008 condotto da un’altra agenzia e da informazioni riportate. L’attività che avrebbe dovuto produrne la stima (il sondaggio delle famiglie di migranti) è stata rimandata e alla fine non effettuata, poiché la concezione del progetto non prevedeva tempo e risorse sufficienti per svolgere lo studio».
La risposta della Commissione europea
In allegato allo studio della Corte dei conti ci sono le risposte della Commissione europea ai rilievi dei revisori. Sulla mancanza di strategia, Bruxelles rimanda a quanto contenuto nelle Agende europee sulla migrazione e la sicurezza: «Le azioni in fase di realizzazione mirano allo sviluppo di un quadro strategico per il periodo successivo al 2016».
Rispetto alle lacune specifiche in termini di sostenibilità economica e durata bel tempo, la Commissione ammette che queste sono nella lista delle preoccupazioni di Bruxelles. A questo si aggiunge che i soggetti che presentano i progetti sono sempre ong locali, con le quali non è sempre facile dialogare per le istituzioni europee.
Da ultimo, il rapporto nasconde una piccola sorpresa: una delle stime più accreditate, inserita tra le premesse, è che il nuovo “mercato degli schiavi” tocchi in tutto 46 milioni di persone. La Commissione predica tutela: «È solo una stima, non solo della tratta di esseri umani, ma anche di altri fenomeni e non rappresenta l’effettiva prevalenza della tratta di esseri umani o il numero di vittime della tratta che sono entrate in contatto con le autorità. Inoltre, come indicato dalla Corte nella nota 5, il termine schiavitù moderna non ha una qualificazione o una definizione giuridica». Una disquisizione che rende quanto sia complicato anche solo definire che cosa sia la tratta.