Un muro di gomma chiamato Viminale

Due casi di informazione opaca del ministero dell'Interno lasciano spazio a leciti sospetti

Il ministero dell’Interno sembra avere grossi problemi di comunicazione. Negli ultimi giorni, infatti, Osservatorio Diritti si è scontrato in almeno un paio d’occasioni con una informazione opaca da parte delle strutture del Viminale. E questo, in una democrazia, è un problema. Perlomeno per chi pensa che le istituzioni debbano essere al servizio dei cittadini e lavorare per il bene del paese. Senza agire nell’ombra e senza lasciare spazio a sospetti.

L’ultimo caso risale proprio a ieri, 20 giugno 2017. In un centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Magenta (Milano) che ospita un centinaio di richiedenti asilo era previsto un momento di conoscenza e di festa per i profughi e la popolazione locale. Un evento tra i tanti organizzati in tutta Italia in occasione della Giornata mondiale del rifugiato.

La proposta arrivava da Intrecci, la cooperativa sociale collegata a Caritas Ambrosiana che gestisce il Cas, e dalla rete “Convochiamoci per la pace”, un insieme di associazioni e privati cittadini della zona nata per far conoscere sia i vissuti dei richiedenti asilo, sia la realtà del sistema di accoglienza in Italia e per costruire percorsi di integrazione. L’evento aveva il patrocinio del Comune di Magenta.

Ma qualcosa è andato storto. Il giorno prima dell’incontro, il 19 giugno, poco dopo l’ora di pranzo, è iniziata a circolare la notizia che la prefettura competente, quella di Milano guidata da Luciana Lamorgese, aveva negato l’uso del Cas per l’evento. Ed è a questo punto che sono iniziati i problemi di trasparenza della struttura che, come ogni prefettura, fa capo al ministero dell’Interno.

Contattata da Osservatorio Diritti per capire le ragioni di questa scelta, la prefettura aveva dato questa prima versione dei fatti: «La cooperativa Intrecci non ci ha dato un congruo preavviso per poter fare l’istruttoria di rito e ricevere per tempo l’autorizzazione da parte del ministero dell’Interno, che è necessaria visto che si tratta di centri governativi e visto che vi abitano persone con una certa fragilità».

Da un punto di vista pratico, dunque, «non è possibile fornire l’autorizzazione perché non ci sono stati i tempi per poter inoltrare la richiesta al ministero dell’Interno: la richiesta ci è arrivata solo venerdì 16 giugno per un evento del 20, con un weekend nel mezzo, oltretutto, per cui era impossibile farcela perché il ministero ha sempre bisogno di qualche giorno per dare la risposta».

Una risposta convincente, a prima vista. Ma la prefettura si è dimenticata di dire una cosa: la prima domanda della cooperativa Intrecci era stata inviata il 7 giugno, quindi quasi due settimane prima dell’evento.

Quando Osservatorio Diritti lo ha scoperto, ha richiamato la prefettura di Milano per avere una spiegazione. Ebbene, la risposta è stata questa:

«La richiesta che abbiamo ricevuto il 7 giugno era incompleta, per cui abbiamo poi chiesto altre informazioni».

Questa domanda di documentazione aggiuntiva, però, era stata fatta proprio dalla prefettura venerdì 16 e la cooperativa aveva risposto il giorno stesso. Cosa avrebbe dovuto fare, dunque, Intrecci, se l’ulteriore richiesta della prefettura è arrivata così tardi? «Noi non abbiamo solo il Cas di Magenta da gestire e, in ogni caso, questo evento potrà essere fatto benissimo in un secondo momento». Scusi, ma la Giornata mondiale per il rifugiato è oggi. «Noi non stiamo parlando delle Giornata del rifugiato, ma di un evento nel Cas di Magenta. E non c’è il tempo per completare l’istruttoria».

Per la cronaca, alla fine l’incontro è stato ospitato da un oratorio della città, ma l’amarezza era tanta: la gente del posto non ha potuto visitare il Cas e avvicinarsi quindi alla realtà dei rifugiati e la maggior parte dei richiedenti asilo non ha potuto partecipare per problemi organizzativi di vario genere.

Ora, anche soprassedendo sulle motivazioni date dalla prefettura, la questione della mancanza di trasparenza da parte del ministero dell’Interno resta tutta. Perché non è stato detto subito che la richiesta era stata fatta il 7 giugno, ma si è detto che risaliva al 16 giugno?

Il sospetto che il motivo del diniego non sia quello del «mancato congruo preavviso», a questo punto, è più che lecito. Ed infatti è stato sollevato proprio a inizio serata, nel corso della presentazione dell’evento, durante la quale si è ricordato che non molto tempo fa c’è stata una interrogazione da parte della Lega proprio in merito all’ingresso nel Cas di Magenta di persone non autorizzate. Un’interrogazione che, quindi, potrebbe aver fatto pressione sul ministero dell’Interno in senso restrittivo. Mentre tra le panchine dei partecipanti altri ipotizzavano un tentativo di boicottaggio di questi eventi da parte della prefettura.

Insomma, una volta che si iniziano a dire mezze verità, ogni altra interpretazione diventa lecita. E questo crea un clima che un’istituzione dovrebbe contrastare, non alimentare.

Silenzio totale sui migranti egiziani

Il secondo caso di reticenza nella comunicazione in cui è incappato di recente Osservatorio Diritti riguarda invece il rimpatrio di un gruppo di venti egiziani sbarcati a Lampedusa. La questione era di quelle importanti, che hanno a che vedere con il rispetto dei diritti umani, e che hanno quindi bisogno di grande chiarezza e tempestività nelle informazioni. Osservatorio Diritti, infatti, aveva saputo di un gruppo di profughi, che, nonostante avessero intenzione di presentare richiesta di protezione umanitaria, stavano per essere rispediti al loro paese in base agli accordi bilaterali Italia-Egitto del 2007.

Alla fine i profughi sono stati effettivamente rimandati indietro, nonostante le proteste dell’avvocata nominata da Associazione diritti e frontiere e nonostante la presa di posizione contraria al rimpatrio espressa da Amnesty International.

Anche in questo caso, notiamo che il ministero dell’Interno ha cercato di tenere tutto nascosto. La conferma della notizia del rimpatrio, infatti, è arrivata a Osservatorio Diritti tramite una fonte confidenziale vicina al dossier e ben informata di ciò che stava accadendo. Ma è un problema per la nostra democrazia il fatto che né il ministero dell’Interno di Roma, né la questura di Agrigento (responsabile per Lampedusa), che risponde dunque al Viminale, abbiano mai risposto alle richieste di informazione inoltrate sia per telefono, sia per email, da parte di questa testata giornalistica.

E, ancora una volta, questo comportamento rende lecito qualunque sospetto. Perché non sono state date informazioni al riguardo? E il ministero dell’Interno era al corrente di quella che sembra essere una palese violazione del diritto internazionale (a nessuno può essere negata la possibilità di richiedere asilo e le espulsioni di massa sono vietate dall’art. 4, protocollo 4, della Corte europea dei diritti dell’uomo)?

È raro che un giornale scriva apertamente di questi black-out di informazione da parte delle istituzioni pubbliche, perché di solito si valuta che quelle stesse fonti potranno tornare utili per ottenere altre informazioni in futuro. Un gioco di convenienza, dunque. Un gioco a cui però, a nostro avviso, è importante porre un freno quando rende leciti gravi sospetti nei confronti di un’istituzione e ne mina pesantemente la credibilità.

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