Minori soli in fuga da guerre e fame
Tra il 2011 e il 2016 arrivati 62 mila minorenni e oggi rappresentano un sesto degli sbarchi
Dal 2011 al dicembre 2016 sono sbarcati sulle coste italiane 62.672 minori stranieri non accompagnati. I piccoli migranti rappresentano ormai un sesto del totale di persone che affrontano la rotta del Mediterraneo Centrale. Nel 2011 erano il 6 per cento. In numeri assoluti, passano dai 4.209 arrivati sei anni fa, ai 25.846 dello scorso anno.
Nonostante con il trascorrere degli anni siano diventati sempre più numerosi, le strutture in grado di ospitarli sono ancora insufficienti, il che rappresenta uno dei nervi scoperti del sistema d’accoglienza italiana. Lo scrive nero su bianco Save the Children nel suo primo “Atlante minori stranieri non accompagnati in Italia“, uno strumento attraverso il quale l’organizzazione non governativa analizza lo sviluppo della migrazione dei minori soli.
L’esercito degli “invisibili”
Il rischio più grosso per i minori stranieri non accompagnati, sottolinea l’ong, è quello di diventare “invisibili”. Sono tutti i minori passati dall’Italia di cui le autorità hanno ormai perso le tracce, oltre 10 mila secondo quanto dichiarato da Europol alla fine dello scorso anno.
Negli periodo 2011-2016 sono “scomparsi” dai radar delle autorità europee 11.251 bambini eritrei, 5.618 somali, 2.927 siriani e 2.790 afghani. Come denunciato anche dall’associazione di avvocati immigrazionisti Asgi e da Amnesty International Svizzera, la situazione nel 2016 si è ulteriormente aggravata, in particolare al confine tra Italia e Svizzera, dove sono stati “riammessi” in Italia oltre 5 mila minori solo tra maggio e novembre: il Corridoio Nord si è progressivamente chiuso e questo ha fatto fiorire il mercato dei trafficanti che promettono ai minori di aggirare i blocchi.
Tra coloro di cui si sono perse le tracce ci sono anche tanti ragazzi arrivati dall’Egitto, che gli operatori di Save the Children temono possano essere finiti in qualche rete di sfruttamento lavorativo nelle grandi città, come Roma e Milano. Su Osservatorio Diritti, peraltro, avevamo già raccontato lo strano caso dei minori egiziani che dalla città di Assyut si trasferiscono a Pavia.
Le età di chi arriva
Otto minori su dieci sono vicini alla maggiore età, tra i 16 e i 18 anni. E questo pone un problema al sistema d’accoglienza: i percorsi di integrazione hanno durata triennale e per questo, se vogliono continuare a essere seguiti dagli educatori, devono riuscire a ottenere un permesso di soggiorno per motivi di studio o lavoro.
La tendenza generale, però, è che a sbarcare siano bambini sempre più piccoli. Gli under 14 nel 2012 erano 698, nel 2016 sono diventati 2.050. In crescita anche le femmine: da 440 a 1.832. Tra loro, la maggioranza sono bambine nigeriane (717), considerate dall’ong a rischio di diventare vittime di tratta. Seguono le bambine eritree, 440.
I Paesi di provenienza
Nel 2011, la mappa delle provenienze era molto diversa da oggi. L’unica costante è la presenza dei bambini egiziani, all’epoca la seconda nazionalità per numero di arrivi (560), dopo i tunisini,1.067. Oggi i tunisini non compaiono tra le prime dieci nazionalità, mentre sono aumentati gli eritrei (nel 2016 erano 3.832, con una presenza costante al primo posto già dal 2014, quando arrivarono 3.394 minori).
Il Corno d’Africa continua a essere un bacino di bambini in fuga perché è ancora molto alto il rischio di malnutrizione, epidemie, povertà estrema e violenze. Per di più, nel futuro di tutti i ragazzi maschi c’è sempre scritto “leva militare” e una vita alle dipendenze di Isaias Afeworki, il “Kim Jong-Un d’Africa”, come viene definito dai media occidentali il dittatore eritreo.
«Il viaggio per raggiungere l’Italia può costare 5-6.000 dollari, che comprendono l’imbarco in Libia o in alcuni casi in Egitto, ma non il riscatto dai frequenti rapimenti e le estorsioni da parte delle bande che si scambiano i migranti come merce al confine tra Sudan, Libia o Egitto o lungo il percorso di più di 2.500 km nel deserto», si legge nel rapporto di Save the Children.
Al secondo posto nel ranking 2016 compaiono i bambini del Gambia, paese di provenienza di 3.257 piccoli migranti arrivati durante lo scorso anno. E il Gambia è diventato sempre più importante dal 2012 ad oggi, scalando posti nella classifica delle nazionalità di provenienza.
Al terzo posto c’è poi la Nigeria con 3.040 bambini sbarcati, dieci volte tanto quanti ne arrivarono nel 2011 (all’epoca la Nigeria era al quarto posto).
Segue l’Egitto, con 2.467 minori che fuggono principalmente dalla crisi economica che ha investito in modo particolare il Sud rurale del Paese. E spesso sono le stesse famiglie a far salpare i figli.
Le condizioni dei migranti in Italia
Come per gli adulti, l’Italia è sia paese d’arrivo, sia paese di transito. Per chi si ferma, l’Italia significa soprattutto Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna e Campania. Chi arriva qui e non scappa nuovamente viene inserito negli hotspot di Trapani, Pozzallo, Lampedusa e Taranto, le stesse strutture destinate ai migranti adulti.Questo è un primo limite del sistema d’accoglienza italiano: i tempi di permanenza in queste strutture dovrebbero essere di pochi giorni, invece molto spesso, secondo quanto raccolto da Save the Children, le permanenze si allungano a dismisura, a seconda dei tempi necessari alle prefetture per reperire un posto in comunità per minori.
Non che fuori dagli hotspot, per altro, ci siano tante strutture adeguate: i progetti specializzati, in tutto il Paese, sono 21, mille posti in totale sparpagliati nella penisola, a cui se ne aggiungono altri duemila in strutture Sprar (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, il cosiddetto percorso ordinario dell’accoglienza).
Accanto a questi pullulano strutture ricettive straordinarie, che finiscono per diventare uno dei canali principali dell’accoglienza. Condizioni che spingono spesso a continuare il viaggio, anche per una serie di difficoltà burocratiche.
«Difficoltà e lentezza delle procedure per la riunificazione familiare e una colpevole assenza della possibilità di accedere al programma di ricollocamento previsto dall’Unione Europea – si legge nel rapporto – privano questi minori, anche giovanissimi, di una via legale e sicura per raggiungere la meta e si vedono così costretti riconsegnarsi nelle mani dei trafficanti esposti al rischio di violenze e sfruttamento».
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