In Sud Sudan è vietato informare
Negato l'ingresso a 20 giornalisti stranieri e media locali sotto attacco: bandite le critiche
Le autorità che controllano i media in Sud Sudan hanno vietato l’ingresso nel paese a venti giornalisti stranieri, accusati di propaganda antigovernativa e di aver diffuso notizie false. Al momento i nomi dei reporter oggetto della restrizione non sono ancora stati resi noti, ma non sono mancati i commenti sulla decisione da parte di giornalisti e attivisti locali per i diritti civili.
In particolare, il provvedimento ha suscitato aspre critiche da parte del direttore del quotidiano indipendente Juba Monitor, Alfred Taban, da anni in prima linea per garantire la libertà d’informazione ai giornalisti sud sudanesi e a capo dell’Associazione per lo sviluppo dei media in Sud Sudan (Amdiss).
«La legge istitutiva dell’Autorità per la comunicazione non dà a questo organismo il potere di negare il visto ai giornalisti che scrivono articoli critici nei confronti del governo». Inoltre, «la decisione avrà un impatto negativo sul paese, che continua indiscriminatamente a reprimere la libertà di informazione».
Il responsabile del Dipartimento per la comunicazione di Giuba, Elijah Alier, ha spiegato ai media locali che «i reporter banditi aveva scritto articoli infarciti di storie infondate e fantasiose, potenzialmente in grado di incitare l’odio e la violenza».
Aggiungendo poi che «alcuni di questi giornalisti non sono mai nemmeno venuti nel Sud Sudan. E che bisogna avere rispetto per lo Stato, non limitandosi a etichettarlo in modo negativo».
Secondo Alier, l’autorità per la Comunicazione ha rilasciato più di duecento permessi ai giornalisti stranieri per operare in Sud Sudan, garantendo a ognuno di essi la libertà di riferire su qualsiasi argomento, come la corruzione, il conflitto o la situazione umanitaria. Anche se la trattazione di questi argomenti deve essere ben motivata.
Media e giornalisti sotto attacco
Dichiarazioni ufficiali a parte, quanto i media e suoi operatori siano sotto attacco in Sud Sudan lo dimostrano numerosi episodi, come l’espulsione dal paese nello scorso dicembre del reporter dell’Associated Press, Justin Lynch, reo di aver criticato il governo.
Un mese prima, i servizi di sicurezza sud sudanesi avevano disposto la chiusura temporanea e immotivata di Radio Eye a Giuba. Mentre a settembre le autorità per la comunicazione avevano chiuso il giornale Nation Mirror, sempre senza darne una ragione.
E a luglio dello scorso anno, i servizi di sicurezza del paese avevano arrestato Michael Christopher, direttore del quotidiano indipendente in lingua araba al Watan, per aver pubblicato una serie di articoli che criticavano l’operato del presidente Salva Kiir Mayardit.
Anche lo Juba Monitor è stato chiuso temporaneamente in diverse occasioni e ogni volta Alfred Taban è stato arrestato. Inoltre, nell’agosto 2015, è stata posta fine all’attività del gruppo Free Voice, che produceva spettacoli teatrali per promuovere la cultura della pace.
Senza contare che il Committee to Protect Journalists, il comitato per la protezione dei giornalisti, nel suo Global Impunity Index 2016, intitolato Getting Away With Murder, ha collocato il Sud Sudan tra i primi cinque paesi in cui i giornalisti sono stati assassinati impunemente.
Nel report è ricordato come nel gennaio 2015 cinque giornalisti erano stati uccisi con armi da fuoco e a colpi di machete e i loro corpi bruciati. La loro colpa principale era quella di trovarsi in un convoglio organizzato da esponenti politici dell’opposizione. Come era prevedibile, i colpevoli di questo crimine non sono mai stati scoperti.
Le testimonianze della repressione
Dal luglio 2011, quando il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza dal Nord, nel paese sono stati uccisi 12 giornalisti, ma i problemi seri sono iniziati con lo scoppio del conflitto nel dicembre 2013. Da quel momento, il governo ha cominciato il suo attacco alla libertà di stampa e di espressione, come testimoniano i racconti resi da numerosi redattori locali oggetto di repressione sotto forma di minacce di morte, sequestro di persona, molestie, arresti arbitrari, detenzione e censura.
In questa situazione numerose associazioni di stampa sud sudanesi, tra cui l’Amdiss di Alfred Taban, i giornalisti dell’Unione del Sud Sudan e il Forum nazionale editori, hanno espresso forte preoccupazione per il livello allarmante di impunità per i crimini contro gli operatori dei media.
Nel 2016 cinque delle sette istituzioni sud sudanesi a tutela dei media sono state chiuse e quattro giornalisti sono stati rapiti e torturati, mentre molti altri sono stati costretti a nascondersi o a lasciare un paese che contrasta la libertà d’espressione e la pluralità dei mezzi di comunicazione.