Francia, antiterrorismo ammazza-diritti

Amnesty International: lo stato d'emergenza sta impedendo le manifestazioni pubbliche

La Francia vive sotto uno stato di emergenza quasi permanente. Emanato il giorno dopo gli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015, il provvedimento è stato rinnovato per cinque volte dal parlamento e il neo presidente Emmanuel Macron ha annunciato di voler prolungare ancora una volta il decreto.

La misura straordinaria prevede poteri speciali per i prefetti, che sono in grado di dichiarare il coprifuoco, interrompere la libera circolazione degli individui e, soprattutto, impedire qualsiasi forma di manifestazione pubblica. E sulla base di questo divieto sono stati vietati 155 cortei, mentre a 639 cittadini francesi è stato impedito di scendere in piazza (di questo tema aveva parlato anche il relatore speciale per le Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, Michel Forst, in un’intervista a Osservatorio Diritti).

«In nome della lotta al terrorismo, il governo ha adottato centinaia di misure ingiustificate allo scopo di limitare la libertà di movimento e il diritto di manifestazione pacifica», denuncia Amnesty International nel suo nuovo report “A right not a threat” (Un diritto, non una minaccia).

E quando, nonostante le limitazioni, molti continuano ancora a manifestare, «nei loro confronti le forze di sicurezza ricorrono spesso a una forza eccessiva o non necessaria: manganelli, proiettili di gomma e gas lacrimogeni sono stati usati contro manifestanti pacifici che non sembrava stessero minacciando l’ordine pubblico», continua l’organizzazione non governativa.

«Lo stato d’emergenza è un provvedimento legittimo, ma deve essere mirato a garantire la sicurezza pubblica – spiega il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury – e l’idea che le misure speciali introdotte dalla normativa vengano utilizzate per reprimere i diritti è semplicemente inaccettabile. Impedire le manifestazioni e colpire gli attivisti non rispetta i principi di proporzionalità e necessità, che devono essere alla base di un provvedimento di questo tipo».

Contro la legge sul lavoro non si manifesta

A essere colpiti dallo stato di emergenza sono soprattutto manifestanti e attivisti contro la legge sul lavoro, adottata a fine luglio 2016 dal parlamento francese. Il 31 marzo dell’anno scorso, il movimento studentesco Nuit debout ha occupato Place de La Republique a Parigi. Da quel momento, numerosi cortei e sit-in si sono tenuti su tutto il territorio nazionale. E secondo il rapporto di Amnesty le forze dell’ordine hanno attaccato con forza e violenza i manifestanti.

Senza dimenticare i provvedimenti restrittivi nei confronti di 574 attivisti e sindacalisti ai quali è stato impedito di lasciare la propria abitazione o la città di residenza per impedire la loro partecipazione ai cortei. Come è successo a Hugo, ricercatore dell’università di Rennes e membro del movimento di sinistra Ensemble-Front de Gauche. Per questo motivo, dal 16 al 31 maggio 2016, all’uomo è stato impedito di recarsi nel centro della città bretone. Il prefetto del dipartimento Ille et Villaine voleva impedire all’attivista di partecipare alle manifestazioni.

«Con la scusa dello stato d’emergenza, è stato ingiustificatamente impedito di prendere parte alle proteste a centinaia di attivisti, ambientalisti e sindacalisti», scrive in un comunicato ufficiale il ricercatore di Amnesty Marco Perolini.

Violenza senza motivo

Da marzo a settembre 2016, solo a Parigi, più di mille persone sono state ferite dalla polizia. Una cifra calcolata sulla base delle stime rilasciate dai volontari sanitari presenti durante le manifestazioni. Il ministero dell’interno, infatti, non è in grado di rilasciare dati ufficiali.

E la tecnica più utilizzata dalle forze dell’ordine è quella di circondare e contenere i cortei impedendogli di avanzare. Il 15 settembre 2016, a Parigi, un gruppo di manifestanti contro la riforma del lavoro stava cantando slogan contro la polizia. Tra loro c’era anche Laurent, un membro del sindacato Solidaires Sur. Nonostante gli attivisti non rappresentassero una minaccia, i poliziotti hanno prima lanciato due ordigni al gas lacrimogeno e poi, mentre i manifestanti stavano lasciando Place de la Republique, una granata non letale è stata lanciata dal blocco delle forze dell’ordine. Alcuni frammenti hanno colpito il sindacalista, rendendolo cieco da un occhio.

Se da Parigi ci spostiamo a Rennes, il 9 aprile 2016, Sandrine e il suo ragazzo Romuald stavano manifestando nel centro del capoluogo bretone, quando, senza alcun preavviso, la polizia ha iniziato a caricare i manifestanti.

«Eravamo disarmati, ma le forze dell’ordine hanno iniziato a picchiare quelli che erano accanto a me. Mi sono messa a correre e un poliziotto è riuscito a raggiungermi, prima mi ha insultato e infine mi ha colpito con il manganello», ha raccontato la donna ai ricercatori di Amnesty.

Gildas invece vive a Nantes, ha cinquant’anni e di mestiere fa il professore universitario. Nel giro di pochi giorni (il 5 e il 9 aprile 2016), è stato colpito prima da una granata non letale, poi da un proiettile di gomma lanciati dalla polizia. In entrambi i casi, l’uomo era disarmato e dopo il lancio di molotov e oggetti contundenti da parte di alcuni manifestanti, stava lasciando il centro città poco prima della carica della polizia.

Attacco ai giornalisti

Secondo l’organizzazione internazionale che si batte per la difesa dei diritti umani, a essere sotto il mirino delle autorità giudiziarie è anche la libertà d’espressione. Durante le manifestazioni, giornalisti e fotografi sono stati oggetto «dell’uso arbitrario della forza».

Joel e Natalie ad esempio, sono due filmmakers al lavoro su un documentario sul movimento. Il 17 maggio 2016 erano a una manifestazione a Parigi e stavano filmando l’arresto di un attivista da parte della polizia, quando un poliziotto ha lanciato una granata contro di loro.

Vincent, invece, è un fotografo indipendente e il due giugno 2016 era a Rennes, a documentare il passaggio del corteo di attivisti nel centro della città. Nonostante fosse facilmente identificabile come fotografo, è stato accerchiato dalle forze dell’ordine e picchiato con il manganello.

«Alla luce di quanto abbiamo documentato, ci sembra chiaro e palese l’utilizzo dello stato di emergenza come strumento per reprimere il dissenso nel paese. La salvaguardia della sicurezza pubblica è solo un pretesto. Sono già in vigore norme antiterrorismo che conferiscono poteri straordinari ai prefetti, senza il bisogno di prolungare all’infinito il provvedimento», conclude Noury.

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