Un giornalista francese in Turchia

Il film Dönüş-Return ha vinto il premio Reset-Diritti Umani del Festival dei diritti umani 2017

Jérôme Bastion è un reporter francese che da 20 anni abita in Turchia. Il suo è un lavoro intenso: tra Rfi, France24 e giornali. Ormai la sua vita è a Istanbul, dove ha anche trovato l’amore. Ovviamente di una collega: curda, nata nelle valli più ostili al governo di Ankara. Il mondo di Bastion collassa con la svolta autoritaria del governo di Recep Tayyip Erdogan. E così, dopo le elezioni del novembre 2015, quelle che hanno definitivamente consegnato le chiavi del paese al partito islamista Akp, è costretto a lasciare la Turchia. Una decisione lunga e sofferta, ma inevitabile. Nove mesi prima dell’ulteriore svolta autoritaria del governo di Ankara, giustificata dal dichiarato tentativo di colpo di Stato di  Fethullah Gülen, ex alleato che ha voltato le spalle al Sultano del Bosforo.

“Dönüş-Return” è un documentario che racconta il modo con cui il giornalista francese Bastion vive, pensa e soffre come fosse un cittadino turco. Racconta dell’empatia, della solitudine, della frustrazione che viene dall’essere tanto vicino all’oggetto del proprio racconto. Dal conoscerlo bene, eppure dall’impossibilità di salvarlo da un futuro facile da intuire. La regista Valeria Mazzucchi ha seguito per diversi mesi il lavoro quotidiano del giornalista, riuscendo a descrivere il mestiere del corrispondente, retaggio, ormai,di un’epoca giornalistica sul viale del tramonto. Bastion sullo schermo rende tutta la fatica, l’adrenalina, la gioia e la frustrazione di quello che resta, persino oggi e persino quando è messo in discussione, il mestiere più bello del mondo. Il film coglie la poesia del giornalismo, il fascino di stare accanto alla storia mentre si svolge.

Il film è ben costruito, con alcuni elementi – come l’acqua e il ricordo – che ritornano in questa contrapposizione tra la borghese e ordinata Bretagna, buen retiro forzato del reporter, giustapposta alla popolarità caotica e disordinata della Istanbul pre elettorale. Il discorso si sviluppa in due ambienti lontani, eppure così vicini dal fondersi in un’unica esistenza. Così il ritorno del titolo rimanda – forse – a una possibilità di ricominciare, nonostante tutto.

Il film, prodotto e distribuito da Berta Film, è stato presentato per la prima volta al Festival dei diritti umani di Milano grazie all’associazione Sole e Luna che l’ha scelto. La regista Valeria Mazzucchi, al suo primo mediometraggio, si è aggiudicata con la sua opera il premio di Reset DOC, tra i partner del festival, per i diritti umani. E il film, in effetti, è perfettamente centrato sul tema della libertà di stampa, ormai un lusso al di là del Bosforo.

Jérôme Bastion è, a modo suo, un eroe romantico, un combattente uscito temporaneamente sconfitto da un regime che è troppo forte per una persona sola. Ma il suo esempio lascia una traccia. Tanto da far sperare in un ritorno. La libertà di stampa che ha per le mani il giornalista francese, però, non ha mai smesso di interrogarlo. A tratti Bastion appare schiacciato dalla responsabilità di raccontare un paese all’esterno, così come appare impotente di fronte alla banalità del male (e del potere). Però non si arrende, in fondo. E continua a cercare una strada, anche se il giornalismo sembra sempre più alle corde, in termini di utilità sociale e di capacità di denuncia. Paradossale, vista la pervasività dei mezzi di comunicazione e dei social.

Lontano anni luce dall’equidistanza britannica, Jérôme Bastion è un giornalista che sta dentro i fatti, ne soffre e ne gioisce. Professionale e integerrimo, ma partigiano. Come confessa sul finale, mentre naviga con la sua barca a vela, il suo modello – nella vita professionale è Philippe Viannay. Partigiano della Resistenza francese, fondatore di una scuola di giornalismo nel dopoguerra, così come della scuola di vela Les Glénans. Era convinto che giornalismo e vela fossero legati: entrambi hanno a che fare con la libertà, entrambi richiedono consapevolezza di ciò che ti sta attorno, entrambi richiedono curiosità. Erano, secondo Viannay, le due più grandi mancanze della guerra alla fine della Seconda guerra mondiale. Forse, anche oggi.

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