Italia “campione” in spese militari
Nuovo rapporto Sipri: nel 2016 destinati 1.686 miliardi di dollari in armamenti nel mondo
L’Italia ha un posto d’onore nel nuovo rapporto sulle spese militari nel mondo diffuso lunedì 24 aprile dal Sipri, l’Istituto di ricerca internazionale sulla pace di Stoccolma, una delle istituzioni più autorevoli in materia. Stando agli ultimi dati diffusi, infatti, il nostro paese è quello che ha fatto segnare uno dei maggiori incrementi, battendo a livello percentuale qualunque altra nazione dell’Europa Occidentale.
A livello globale la spesa militare è cresciuta dello 0,4% nel giro di dodici mesi, raggiungendo la cifra di 1.686 miliardi di dollari a fine 2016. Da notare l’inversione di marcia anche in Nord America, dove non si registrava un aumento su base annuale dal 2010. Nell’Europa Occidentale, invece, questa tendenza si era già avuta tra il 2014 e il 2015.
Gli analisti del Sipri fanno notare che il dato non cresceva per due anni consecutivi dal 2011, «quando la spesa aveva toccato il picco di 1.699 miliardi di dollari». L’andamento, in ogni caso, è diverso da paese a paese. «La spesa continua a crescere Asia e Oceania, Europa Centrale e Orientale e Nord Africa», mentre «diminuisce in America Centrale e Caraibi, Medio Oriente (considerando i paesi per i quali ci sono dati disponibili), Sud America e Africa sub-sahariana», sintetizza l’istituto svedese.
RECORD A STELLE E STRISCE
«Gli Stati Uniti restano il paese con la maggiore spesa miliare annua nel mondo», si legge nel rapporto. Nel dettaglio, Washington ha registrato un aumento dell’1,7% tra il 2015 e il 2016, raggiungendo quota 611 miliardi di dollari. Ma a preoccupare davvero pare sia la tendenza sul lungo periodo. «La crescita delle spese dell’esercito americano nel 2016 può essere un segnale della fine di un trend di decrescita della spesa, che era effetto della crisi economica e dell’uscita delle troppe statunitensi da Afghanistan e Iraq», scrive il Sipri.
La spesa registrata negli Usa nel 2016 resta di circa il 20% inferiore rispetto al picco registrato nel 2010. «Nonostante i continui vincoli legali sul budget Usa nel suo complesso, gli incrementi nella spesa militare sono stati decisi subito dal Congresso e future voci di spesa restano incerte a causa della mutevole situazione politica negli Stati Uniti», ha dichiarato Aude Fleurant, direttore del programma Spese in armi e militari di Sipri (Amex).
LA CLASSIFICA
La seconda nazione con valore assoluto di spesa in armamenti è la Cina, con 215 miliardi e un aumento del 5,4%, «un tasso molto inferiore alle crescite degli anni precedenti», sottolineano i ricercatori. Al terzo posto si trova poi la Russia, con 69,2 miliardi e una crescita del 5,9 per cento.
Un caso particolare che emerge dai nuovi dati è quello dell’Arabia Saudita. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare a causa del conflitto in corso in Yemen, infatti, il paese è passato dalla terza posizione del 2015 alla quarta del 2016 facendo registrare spese per 63,7 miliardi, con una riduzione del 30 per cento.
La quinta nazione, sempre quanto a cifre spese in armamenti nel corso dell’anno scorso, è l’India, che ha registrato 55,9 miliardi e una crescita consistente, pari all’8,5 per cento.
Completano la classifica dei primi 15 paesi: Francia (55,7 miliardi), Gran Bretagna (48,3), Giappone (46,1), Germania (41,1), Corea del Sud (36,8), Italia (27,9), Australia (24,6), Brasile (23,7), Emirati Arabi Uniti (22,8) e Israele (18).
In tutto, dunque, i primi 15 paesi spendono in armamenti 1.360 miliardi di dollari, su un totale mondiale di 1.686 miliardi.
L’EUROPA HA PAURA
L’istituto di Stoccolma fa sapere che in Europa Occidentale è stata registrata una crescita nelle spese militari per il secondo anno consecutivo. Nel 2016, l’aumento è stato del 2,6 per cento. E ad aver proprio esagerato sembra esserci l’Italia: tra il 2015 e il 2016 la crescita è stata dell’11%, più di qualunque altra nazione di questa area del mondo. In cifra assoluta, la spesa è stata pari a 27,9 miliardi di dollari.
«Questo può essere attribuito in parte al supporto alla sua industria d’armi locale attraverso il finanziamento ad acquisizioni interne». È da notare anche, per contro, che prendendo in considerazione il periodo 2007-2016, il nostro paese ha registrato un calo del 16 per cento. In Europa Occidentale tutti i paesi, con l’eccezione di appena tre, hanno incrementato la propria spesa militare nell’ultimo anno.
Nel complesso, i paesi con i maggiori tassi di crescita si trovano nell’Europa Centrale, aumentata in media del 2,4 per cento nel corso del 2016 (il primato assoluto spetta alla Lettonia, dove l’aumento è stato del 44%). «L’aumento nella spesa da parte di diversi paesi dell’Europa Centrale può essere attribuito in parte alla percezione che la Russia rappresenti una grande minaccia, nonostante il fatto che la spesa della Russia nel 2016 è stata pari solo al 27% del totale dei paesi europei membri della Nato messi insieme», ha detto Siemon Wezeman, ricercatore senior del programma Amex.
IL PETROLIO FRENA LE ARMI
Il ricercatore Nan Tian ha fatto notare come «la caduta delle entrate e i conseguenti problemi economici legati allo shock dei prezzi del petrolio hanno costretto molti paesi esportatori di petrolio a ridurre la propria spesa militare». Tra il 2015 e il 2016, dice ancora Tian, l’Arabia Saudita ha registrato il maggiore decremento assoluto nella spesa, pari a 25,8 miliardi di dollari.
A livello percentuale, invece, il taglio maggiore di paesi esportatori di petrolio è stato registrato in Venezuela, che ha diminuito il budget destinato a questa voce di spesa del 56% (nel paese sudamericano è in corso anche una grave crisi sociale, economica e politica). Seguono Sud Sudan (-54%), Azerbaijan (-36%), Iraq (-36%) e, come detto, Arabia Saudita (-30%).
Altri decrementi considerevoli, concludere il Sipri, si sono avuti in Angola, Ecuador, Kazakistan, Messico, Oman e Perù. «Solo due dei 15 paesi con le maggiori cadute nella spesa nel 2016 non sono esportatori di petrolio». Nonostante questo, però, «una minoranza di paesi esportatori di petrolio, come Algeria, Iran, Kuwait e Norvegia, sono messi meglio economicamente per poter affrontare gli shock dei prezzi del greggio e potrebbero continuare con i loro piani di espansione di spesa».