Cecenia, giornalisti sotto attacco

Ufficiali e autorità religiose minacciano la Novaya Gazeta per gli articoli sugli abusi sui gay

Ufficiali ceceni e autorità religiose locali minacciano i giornalisti che hanno svelato la campagna di abusi su uomini accusati di essere gay da parte della polizia in Cecenia. Lo ha denunciato l’Organizzazione non governativa Human Rights Watch.

Ad essere in pericolo, secondo la ricostruzione della Ong, sarebbe dunque lo staff della Novaya Gazeta, la stessa testata per cui lavorava Anna Politkovskaya, la giornalista uccisa 11 anni fa da un killer. Lo scorso 1° aprile il giornale aveva pubblicato un primo articolo in cui documentava gli abusi dei poliziotti su persone omosessuali, detenuti in prigioni segrete e sottomessi a umiliazioni e torture di vario genere. E nei giorni seguenti, in seguito alla pubblicazione di altre prove di quanto stava accadendo, erano arrivate le condanne da parte di Nazioni Unite, Consiglio d’Europa, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, Unione Europea, Stati Uniti.

«Le minacce alla Novaya Gazeta per avere divulgato gli scioccanti eventi in Cecenia sono estremamente serie», ha dichiarato Hugh Williamson, direttore per l’Europa e l’Asia Centrale di Human Rights Watch. «La storia di minacce e violenze contro giornalisti della carta stampata che lavorano in Cecenia – ha detto – rendono la situazione estremamente allarmante».

La giornalista che ha condotto l’inchiesta è Elena Milashina, già conosciuta per le sue denunce di violazioni di diritti umani in Cecenia che le hanno portato altre minacce di morte in passato.

I FATTI

Lo scorso 15 aprile, ricorda la Ong, una lettera del ministro ceceno della Stampa e dell’informazione, Jambulat Umarov, chiedeva al giornale di «scusarsi con il popolo ceceno» per aver insinuato che tra i ceceni esistono degli uomini gay, definendo questa notizia una «provocazione oscena». La lettera chiedeva anche che l’organo di informazione rivelasse le proprie fonti e minacciava che, se il giornale non avesse smesso di pubblicare «isterie» relative a «inesistenti minacce», avrebbero potuto occuparsene persone che sono «più infastidite dal vostro giornale di quanto non lo siamo noi».

Ora, che cosa questa minaccia significhi di preciso non è possibile saperlo. Ma va ricordato che si tratta della seconda volta in due settimane che i giornalisti che si sono occupati dell’inchiesta hanno ricevuto minacce. Il 3 aprile scorso, infatti, la televisione cecena aveva mostrato un raduno di leader religiosi e personaggi pubblici a Grozny, la capitale del Paese, organizzato per protestare contro l’articolo. «In un discorso alla folla – dice Human Rights Watch – un consigliere di Ramzan Kadyrov, il forte leader della Cecenia, aveva accusato il giornale di diffamazione e aveva definito i giornalisti “nemici della nostra fede e delle nostra madre patria”». Alla fine di quell’evento, i partecipanti avevano approvato una minaccia di castigo contro i giornalisti «ovunque si trovino e senza alcuna previsione di prescrizione».

Insomma, pare che la tensione continui a salire, tanto che il 14 aprile lo staff della Novaya Gazeta ha dichiarato di temere per la propria incolumità. Lo stesso giorno, inoltre, il portavoce del presidente russo Vladimir Putin, Dmitry Peskov, aveva fatto sapere che il Cremlino stava seguendo la situazione da vicino e che deplorava qualunque azione «che minacciasse la vita o la sicurezza dei giornalisti». Allo stesso tempo, Peskov aveva dichiarato di non avere ricevuto conferme rispetto alla veridicità degli abusi contro i gay.

GLI ABUSI E IL CONTESTO

Secondo quanto riportato dalla Novaya Gazeta, la polizia trattiene gli uomini per periodi che vanno da un giorno a diverse settimane e in molti casi ne rivela l’omosessualità alle famiglie di origine, incoraggiando i parenti a riportare l’onore in famiglia attraverso, appunto, «omicidi d’onore». L’inchiesta ha rivelato anche che almeno tre uomini sarebbero morti proprio in seguito alle epurazioni. Human Rights Watch ha confermato la veridicità di queste notizie, anche attraverso interviste alle vittime.

L’organizzazione che lavora in difesa dei diritti umani precisa che «la orribile campagna iniziata a fine febbraio si sta svolgendo nel contesto della tirannia che Kadyrov ha costruito in dieci anni di potere, con la tacita approvazione del Cremlino». In particolare, il regime di Kadyrov «tocca virtualmente tutti gli aspetti della vita sociale, compresa la politica, la religiose, i discorsi accademici e gli affari di famiglia». E ogni forma di dissenso è «punita brutalmente».

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