L’Onu e le bombe italiane in Yemen
Pochi ne parlano e quasi mai in prima pagina o in prima serata. A differenza di quelli in Siria, Iraq e Libia, quello dello Yemen è un conflitto dimenticato. Volutamente dimenticato. Perché solleva troppe domande che celano molti interessi. Non solo quelli dei «soliti noti» (Stati Uniti e Russia), ma degli stessi paesi europei. E soprattutto dell’Italia.
Eppure, la situazione è tragica e le Nazioni Unite parlano di «catastrofe umanitaria»: dopo due anni di scontri sono oltre 4.600 i morti solo tra i civili, oltre 8.100 i feriti e gli sfollati superano i tre milioni. Mentre incombe «un grave rischio di carestia», sono già 17 milioni gli yemeniti che necessitano di urgenti aiuti alimentari e oltre 430 mila i bambini che soffrono di grave malnutrizione.
«I bombardamenti aerei condotti dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita hanno devastato le infrastrutture civili in Yemen, ma non sono riuscite a scalfire la volontà politica dell’alleanza Houthi-Saleh a continuare il conflitto». Lo ha messo nero su bianco il Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen, che il 27 gennaio scorso è stato trasmesso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Un rapporto fortemente osteggiato dai sauditi e si capisce il motivo. «Il conflitto – scrivono gli esperti – ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti e ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall’Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale».
E tra questi gli esperti annoverano gli attacchi effettuati con bombe italiane. Il rapporto dell’Onu, infatti, documenta il ritrovamento, a seguito di due bombardamenti a Sana’a nel settembre 2016, di più di cinque «bombe inerti» sganciate dall’aviazione saudita contrassegnate dalla sigla “Commercial and Government Entity (CAGE) Code A4447”. Quest’ultima è riconducibile all’azienda RWM Italia S.p.A. con sede in via Industrale 8/D, 25016 Ghedi (Brescia), Italia. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, «l’utilizzo di queste armi rivela una tattica precisa, volta a limitare i danni in aree in cui risulterebbero inaccettabili».
Nelle scorse settimane, la Farnesina ha deciso di stanziare 3 milioni di euro per «attività di distribuzione di cibo da parte del PAM e per assicurare assistenza nel settore della salute e supporto agli ospedali». Nel frattempo è partita da Cagliari una nuova nave cargo piena di bombe destinata all’Arabia Saudita: nel 2016 ne sono state inviate per oltre 40 milioni di euro, ha segnalato l’Osservatorio OPAL di Brescia.
Proprio come ai bei tempi di Spadolini, Craxi e Andreotti: con una mano un po’ di aiuti, con l’altra un consistente carico di bombe. E, come ai bei tempi, continuano a chiamarla «cooperazione allo sviluppo».