In origine era il “piazzista d’armi”
Lo ricordo come fosse ieri. Era una sera di gennaio del 1986 nebbiosa e fredda come tante altre nella pianura padana. Come tutti i lunedì, eravamo radunati nello scantinato della palazzina di viale San Martino 6 a Parma per l’incontro di redazione di Missione Oggi, il mensile dei missionari saveriani. Arriva Eugenio, il direttore, e ci dice: «Ho incontrato padre Alex, faremo un editoriale comune. Il titolo dovrebbe essere “Spadolini, piazzista d’armi“». Ci guardammo. Aluisi o Gianni, o forse qualcun altro, commentò: «Avremo da lavorare almeno per una decina d’anni».
Nacque così quella che presto divenne la campagna nazionale “Contro i mercanti di morte”. Una mobilitazione che, grazie soprattutto alle denunce di alcuni lavoratori dell’industria militare tra cui in particolare Elio Pagani e Marco Tamborini che rivelarono le vendite di sistemi militari italiani a paesi sotto embargo come il Sudafrica, scosse le coscienze assopite e svelò alcuni meccanismi ben oleati dei traffici di armi che partivano dal nostro paese e che coinvolgevano anche i vertici di alcune banche, tra cui soprattutto Banca Nazionale del Lavoro, facendo inevitabilmente infuriare più di qualcuno nei palazzi del potere: e qualcuno non mancò di esercitare suadenti pressioni su altri palazzi di potere.
Quella mobilitazione portò il nostro Paese, non senza fatica e dopo una serie di inevitabili mediazioni, a dotarsi il 9 luglio del 1990 finalmente di una legge (la n. 185) che in breve tempo fece il giro delle cancellerie europee. Il titolo è chiarissimo: “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento“. Dove la parola fondamentale è “controllo”. Una legge che, fin dalla sua entrata in vigore, è risultata alquanto indigesta all’industria degli armamenti che per quasi 50 anni aveva potuto fare affari, pressoché indisturbata, con i maggiori dittatori del Pianeta, spargendo per mezzo mondo armi made in Italy tra cui soprattutto le famigerate mine antipersona: dal Regio Decreto n. 1161 dell’11 luglio 1941, firmato da Mussolini, Ciano, Teruzzi e Grandi, l’intera materia delle esportazioni di armamenti era infatti stata sottoposta al “segreto di Stato” e sottratta all’esame del Parlamento e della società civile.
La legge 185/90, sebbene ripetutamente modificata per allentare i controlli democratici, continua a dare fastidio alla lobby armiera nazionale. Non è un caso che, proprio in queste settimane, si stiano tenendo al Senato una serie di audizioni riguardanti lo “Affare sulla normativa in materia di esportazioni dei sistemi d’arma”. L’intento è chiaro e lo ha manifestato senza mezzi termini il segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti, generale di squadra aerea Carlo Magrassi, affermando che «la salvaguardia del comparto Difesa e Sicurezza vede nelle esportazioni un sempre più importante elemento di sostegno, elemento che necessita però di elementi normativi al passo con i tempi ed in linea con gli analoghi strumenti che altri Paesi concorrenti hanno adottato e che attualmente li pongono in una situazione di netto vantaggio sui mercati internazionali». In parole semplici: è necessario cambiare la legge 185.
Ho voluto richiamare questi fatti non solo per l’attualità della questione, ma soprattutto per spiegare ai lettori l’orizzonte e gli argomenti dei miei articoli per questo blog. Parlerò di “Armi e Dintorni“, cioè di tutto quello che riguarda la produzione e il commercio internazionale, europeo e nazionale sia di sistemi militari ma anche delle cosiddette “armi leggere” e delle “armi comuni”. Delle normative che regolamentano queste materie, ma anche dell’impegno e delle mobilitazioni della società civile per un controllo preciso e trasparente. E delle pressioni dei gruppi di potere, a volte esplicite ma spesso nascoste, per allentare questi controlli per favorire interessi di parte che poco hanno a che fare con la sicurezza comune e, in particolare, con i principi conclamanti di autotutela e di rispetto dei diritti umani. Terremo come orizzonte il mondo intero, ma soprattutto il nostro Paese.
Parlando di questi argomenti, a volte un po’ tecnici, vorrei non dimenticare mai le persone. Quelle che soffrono e quelle che lottano per promuovere un mondo migliore, più fraterno e solidale, rispettoso dei diritti delle persone e dei popoli. Quelle che ci mettono la faccia e non si nascondono dietro a sigle o posizioni di potere. Per questo, in questo primo articolo, ho voluto segnalare ai lettori alcuni amici (Eugenio, Alex, Aluisi, Gianni, Elio e Marco…) che ho avuto la fortuna di incrociare sulla mia strada: è con loro, ed insieme a tanti altri, che ho condiviso e continuo a condividere un po’ di strada. Che, con questo blog, vorrei condividere con i lettori di questo portale.